Andrea Camilleri, un nome, un uomo, un maestro: ad un anno esatto dalla sua morte, avvenuta proprio il 17 Luglio di un anno fa, è sempre vivo nei ricordi e nei sentimenti collettivi di ammirazione per la sua arte, come in quelli di rimpianto e di mancanza. Un grande scrittore che ha dato alla sua (e nostra, dal momento che siculi siamo) sicilitudine un respiro universale, riconosciuto dal mondo intero.
E non pensare a questo punto che sono la solita siciliana fiera ed orgogliosa della propria matrice culturale, sicuramente è vero, com’è vero che lo era anche lui, il maestro Camilleri e a ragione, fiero ed orgoglioso di appartenere ad una terra bella e maledetta.
Per ricordarlo e omaggiarlo, oggi voglio usare parole come musica, voglio usare quel dialetto che Andrea Camilleri ha fatto diventare lingua attraverso i suoi libri e i suoi personaggi, quel dialetto che rende tutto il senso di un artista legato a filo doppio alle sue radici. Voglio farlo pensando che dal posto dove lui è adesso, perchè sono convinta che c’è ancora, la sua visuale è ben più ampia della nostra, ristretta ed angusta, rinchiusa nei confini del mondo dei vivi. E voglio farlo così come credo sarebbe piaciuto a lui, grande affabulatore e cuntastorie, raccontandogli anch’io una storia.
Un omaggio ad Andrea Camilleri
E pui, caru frati mio, pi sempri/ stracuddau u suli ri nna l’uocchi tui/ e l’ummira scura si purtau a to vuci/ addabbanna ra muntagna chi sparti/ a vita ra morti;/ morti chi s’agghiutti a vita/ e o vivu cci sbacanta u cori./ (XVI)
Accussì cuomu quannu a terra/ si metti a paru ri suli e luna/ e l’ummira ammuccia tutta a luna/ po’ essiri ca l’armi ri muorti vanu a pusari/ nna ‘n-puostu chi nuaddi nun virimu,/ pirchì ssu fattu ca luna sempri cc’è/ e nuaddi ogni tantu n’a virimu/ forsi e na specie ri parabbula ri Ddiu./ (XXII)
Ma siddu ssu puostu ‘n-cielu cc’è,/ mu rici, frati miu, cuomu è fattu?/ […] Cu è, dduocu, chi ti fa cumpagnia?/ Ti veni ogni tantu u risidderiu/ ru tiempu chi passasti’n-terra?/ Nni sienti musica?/ Canti cuomu cantavi ri carusu?/ C’è a banna musicali nna ssu puostu?/ Sona cuomu sona cca/ o puru arrivannu dduocu,/ cancia pi sempri ogni sunata?/ (XXIII)
-E poi, caro fratello mio, tramontò/ per sempre il sole dai tuoi occhi/ e l’ombra scura si portò la voce/ oltre la montagna che divide/ la vita dalla morte;/ morte che ingoia la vita/ e al fratello svuota il cuore./ (XVI)
Così come quando la terra/ allineata in mezzo a luna e sole/ alla terra eclissa la vista della luna/ potrebbe darsi che l’anima dei morti vada/ a collocarsi in un posto che non vediamo/ perchè questo fatto che la luna c’è/ e noi ogni tanto non riusciamo a vederla/ e forse una parabola di Dio./ (XXII)
Ma se in cielo esiste tale posto,/ me lo dici fratello com’è fatto?/ […] Chi è là che ti fa compagnia?/ Provi un poco di nostalgia/ per il tempo vissuto sulla terra?/ Ascolti musica?/ Canti come cantavi da ragazzo?/ Esiste lì la banda musicale?/ Suona essa come suona in terra/ oppure, arrivando là,/ niente di tutto ciò ha più alcun significato?/ (XXIII)-
Ricordando Andrea Camilleri
Sorridi maestro Camilleri nel leggere questi versi espressi nella tua stessa lingua, quella lingua madre e nativa che hai immortalato nelle tue opere e hai fatto in modo che fosse per sempre il tuo tratto distintivo? Penso di sì, penso che sorridi, sorridi e sei curioso di sapere chi e perché, ha scritto questi versi da me adattati alla tua memoria, in questo giorno che ha visto la tua rinascita in altri lidi, un anno fa.
I versi che hai letto sono tratti da un poemetto in lingua sicula. Dico lingua. E so che saresti d’accordo. Il poemetto si intitola Riepitu e tu da siciliano di razza sai cosa significa. Anzi, se non ricordo male mi sembra di averti sentito in qualche intervista televisiva, parlare e spiegare ‘u riepitu: un’antichissima usanza siciliana di parecchie generazioni fa che vedeva ‘riepitare’, cioè ricordare e raccontare la vita e le gesta del defunto attraverso il pianto, nelle veglie funebri.
Un’antica usanza, eredità araba della nostra Sicilia che rinserra e racchiude in sé usi e costumi di varie dominazioni, retaggi e tracce indelebili nel territorio, nella cultura e nel DNA dei siciliani. Lo sai maestro vero? Lo sai tu per primo e lo hai così ampiamente ‘cuntato’ (raccontato) alla tua Sicilia e al mondo intero. I tuoi cunti, l’ultimo dei quali quella meraviglia che corrisponde al titolo di Conversazione su Tiresia, valicano i confini del campanile e sono entrati a far parte delle cose più preziose di questa terra che ti ha dato orgogliosamente i natali.
Soddisfo la tua curiosità se vuoi, anche se penso che la poesia è multitasking, come mi piace dire usando una parola estera, non storcere il naso, per favore, so che a te piacerebbe sentir dire accummarabbile (adattabile) e quindi non ha importanza se Filippo Giordano, autore di Riepitu, ha dedicato il poemetto al fratello scomparso improvvisamente e prematuramente. Io oggi compio un “furto autorizzato” e dedico a te il mio personale “riepitu” nel primo anniversario della tua morte e sono certa che gradisci.
Penso che in fondo non ti sia andata male essere passato a miglior vita il 17 Luglio 2019: ti sei, in questo stranissimo 2020, risparmiato le distanze obbligate del covid19 e, cosa che sono sicura ti fa rivoltare nella tomba, non hai visto la grande contraddizione di veder affidata la cultura della tua Sicilia a chi non ne conosce la storia, gli usi, le tradizioni, l’afflato, il sangue.
Su certe scelte scellerate, su questa tua e nostra Sicilia che sarebbe dovuta diventare bellissima, il cui ‘chirurgo’ ha sbagliato lifting, si potrebbero aprire tavole rotonde, quadrate e rettangolari, a scelta. In fondo, maestro, ti sei risparmiato un sicuro attacco di bile cosa che è stata impossibile da evitare per qualcuno di noi.
In questo momento è una fortuna essere ciechi e non vedere certe facce che seminano odio.
Tu che vedevi molto lontano pur essendo negli ultimi anni, diventato cieco, avresti commentato questo omaggio alla tua memoria con un: “Chi minchia cci trasi, ora, stu scassamentu di cabbasisi?“ Ti avrei risposto, tra l’intimorito per aver osato e il vergognoso, con un: “Niente maestro Camilleri, scusami, è solo il ricordo di una tua ammiratrice.”