Non so se ti sei mai imbattuto o se hai mai sentito parlare di acrostico. Probabilmente si. Se frequenti giochi enigmistici e affini sicuramente il termine non ti è nuovo e saprai di cosa sto parlando. Proviamo ad immaginare però che non tu non sappia cosa sia un acrostico e giochiamo un po’ con le associazioni mentali. La parola richiama alla crosta, potrebbe essere quella terrestre, la prima che mi viene in mente. Oppure a quella del pane, dei dolci o di altre cose di facile richiamo.
Lasciamo stare e non prendiamo in considerazione le croste pittoriche di certi artisti o quelle delle ferite, meglio sorvolare con ali di libellula per non guastarci l’umore… E basta, mi fermo qui con le ipotesi.
L’acrostico non ha niente a che vedere con gli esempi sopra citati: richiamano il termine soltanto per assonanza, nella sostanza non c’azzeccano niente, così tanto per esprimermi con un linguaggio di alto valore poetico.
Rientro nei ranghi, smetto di volare rasoterra con certi pseudo ragionamenti che non portano da nessuna parte e arrivo all’acrostico che se pur ha un suono duro, dovuto ad una C che si scontra con la R e, a seguire, una S e una T che certamente non ingentiliscono il termine, ha molto a che vedere con la poesia.
L’acrostico per definizione è un componimento poetico nel quale le prime lettere di ogni verso, lette in ordine verticale, danno un nome o altre parole o in alcuni casi anche brevi frasi.
Per estensione l’acrostico può essere anche una sigla, quando le iniziali delle parole componenti formano una parola di senso compiuto.
Quindi acrostico e poesia procedono a braccetto e se lo conoscevi soltanto nell’accezione sigla o giochino enigmistico, adesso sai che nasce come componimento poetico e solo in seguito fu esteso ad altro. Questi poeti, come vedi, una ne fanno e cento ne pensano. Non per niente sentono diverso, sentono prima.
L’acrostico in poesia: breve storia
Tranquillo caro lettore, non voglio fare un trattato sull’acrostico poetico: voglio soltanto ripercorrere in un flash-back la storia di questo particolare modo di fare poesia che richiede oltre l’estro, la fantasia e la tecnica di cui tutto lo scrivere in versi ha bisogno, una particolare attenzione e conoscenza per non scadere nel banale.
Dal greco achróstichon, composto da àkros, estremo e stichós verso, l’acrostico affonda le sue radici nella notte dei tempi, alcuni esempi di acrostico furono addirittura ritrovati in composizioni sacre babilonesi. Altri esempi li troviamo nella Bibbia, soprattutto nel Libro delle Lamentazioni del profeta Geremia o in quello di Ester, entrambi facenti parte dell’Antico Testamento.
I Greci e i Romani furono anche loro grandi cultori dell’acrostico e lo usarono oltre la poesia: un esempio su tutti la scritta INRI, Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, sulla Croce di Cristo fatta mettere da Pilato addirittura in tre lingue, ebraico, greco e latino. Ovvio che non si tratta di versi ma semplicemente di un acrostico usato come sigla da cui molti poeti hanno trovato, trovano e ancora troveranno ispirazione.
Nel corso dei secoli diversi autori hanno dato lustro all’acrostico nelle loro opere, tra di essi Giovanni Boccaccio che nel poema allegorico Amorosa visione, dedicato a Maria d’Aquino, trasforma in acrostico i capoversi delle terzine, che non sono giocatrici di calcio femminile ma strofe costituite da tre versi, usate in particolare nei sonetti.
Un esplicativo e bell’esempio di acrostico è quello che arriva direttamente da Matteo Maria Boiardo che in pieno Umanesimo regalava alla sua amata, Antonia Caprara, i versi che ti propongo con l’acrostico del suo nome:
Arte di amore e forze di natura
Non fu comprese e viste in morta velo
Tutte giammai dapoi che terra e celo
Ornati for di luce e di verdura
Non da la prima età semplice e pura
In cui non se sentito caldo ne gelo
A questa nostra che de l’altrui pelo… […]
Mi fermo al nome per ovvi motivi di spazio ma, come puoi vedere leggendo le prime lettere di ogni capoverso si compone il nome Antonia.
Facendo un salto lungo un po’di secoli, un altro esempio di acrostico famoso è quello scritto dai patrioti risorgimentali sui muri di Modena, i quali con Viva V.E.R.D.I. non intendevano soltanto esternare la passione smodata per il noto musicista e il melodramma ma celavano agli occhi e al comprendonio del nemico austriaco il desiderio di un’Italia finalmente libera. Il V.E.R.D.I in questione era infatti l’acrostico di Vittorio Emanuele Re d’Italia… Quando si dice che il cognome di un grande musicista porta in sé la rivoluzione!
L’acrostico comunque nasce come metodo poetico, con regole e metrica ben precise, solo successivamente viene adattato a sigla e poi anche gioco enigmistico.
L’acrostico in poesia oggi
E oggi? Oggi si usa ancora l’acrostico in poesia o è solo relegato a sigle o giochini enigmistici che, carini per carità, non hanno nulla di poetico? Ti posso dire, caro lettore che qualcuno ancora si cimenta in acrostici poetici: pochi, rari e soprattutto preparati. E per preparati intendo poeti che amano la poesia e cercano di seguirne le ferree regole, coniugando passione e tecnica
Per regole ferree, invece, intendo tutte quelle componenti essenziali che distinguono la poesia vera dalla prosa poetica perchè, come ripeto spesso, non basta andare a capo di frequente per illudersi di scrivere versi. Fermo restando che poesia è anche libertà dalle schematizzazioni.
Sai perché oggi ho voluto dedicare spazio all’acrostico? No, chiaro, non lo sai. Ti svelo l’arcano: avevo tra le mani una rivista di poesia ed ero alla ricerca di uno spunto per l’appuntamento settimanale con questa rubrica. Che mi capita sotto gli occhi? Un acrostico di, niente poco di meno che, Marcel Proust dedicato ad Antoine Bibesco, un aristocratico amico del poeta:
Bagna dentro il tuo sguardo l’universo fraterno
Immergi nel desio e gli esseri e le cose
Brandisci i monti come puoi gettare una rosa
E il tuo gesto da Dio trafigge do un mortale
Sotto il tuo sguardo magico sfumerà con il rosa
Chi, da te calpestato, proclamò il tuo avvenire.
Oh, tu serba e almeno un tenero ricordo.
Il titolo Acrostico, rivela la natura stessa della poesia. È infatti proprio un acrostico: le lettere iniziali di ogni capoverso formano il cognome dell’amico, Bibesco. Lo leggo, mi piace e penso: –Guarda un po’, un metodo poetico poco conosciuto e poco usato che richiede arte…-
La conseguenza logica della lettura è stato questo articolo dedicato all’acrostico anche perché mi è tornato in mente, senza andare troppo lontano che qualcuno di mia conoscenza si è cimentato in acrostici poetici… E giudica tu, caro lettore, se riusciti o meno:
Dal coacervo degli umori nefasti
Irruppe l’ansia della consolazione,
Ostello nelle inquietudini, Gesù
vivente… […]
I versi che hai letto, con acrostico annesso, sono quelli iniziali di Parola di Gesù, poesia contenuta nella raccolta Il sale della terra di Filippo Giordano.
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