Claude Simon a 72 anni vince il Premio Nobel per la letteratura
Nato nel Madagascar il 10 ottobre 1913 da genitori francesi, originari della Franca-Contea e dal Roussillon, Simon rimane orfano a pochi mesi: il padre, ufficiale di carriera, muore all’inizio della prima guerra mondiale. Rientra in Francia e trascorre la prima infanzia a Perpignano, poi a Parigi, dove prosegue gli studi.
Nel ’31 è arruolato nel reggimento dei dragoni; fatto prigioniero, viene internato a Muhlberg, sull’Elba da dove evade e rientra in Francia.
Nel 1945 pubblica con Editions du Sagittaire, Le tricheur il suo primo romanzo. Seguiranno, nel 1947 La corde raide, un’opera autobiografica, poi Gulliver e Le sacre du printemps, pubblicati nel 1952 e nel 1954.
Nel 1956 entra a far parte della “scuderia” di Jerme Lindon, alle Editions de Minuit; fa la conoscenza di Robbe-Grillet, di Butor e di Pinget, e si aggrega al gruppo del “nouveau roman”. Le opere più importanti di Claude Simon usciranno a scadenza ravvicinata presso le Editions de Minuit. Fra tante ricordiamo Le vent 1957, L’herbe 1958, La route des Flandres 1960, Le palace 1962, Histoire 1967, La bataille de Pharsale 1969 e Les Gèorgiques, il suo migliore scritto del 1981.
Fra i suoi autori preferiti Proust: per lui, come per l’ autore della Recherche, il problema che è al centro del suo progetto creativo è infatti quello del tempo. Un problema che Simon risolve in modo diverso da Proust: tende tutti i suoi sforzi verso la restituzione di una visione “simultanea”.
Claude Simon dice
Nel romanzo tradizionale si è sempre sostenuto, a mio parere in modo abbastanza ingenuo, che occorra semplicemente tradurre la durata attraverso la durata (…). Per me non si tratta affatto di tradurre la durata, ma di rendere la simultaneità. Come il pittore riduce a due dimensioni un mondo che è tridimensionale, così in letteratura il problema è di trasporre una dimensione nell’ altra, rendendo simultanee immagini che nella memoria coesistono.
Per spiegare questo concetto ti riporto poche righe di Les Gèorgiques dove concentra trent’anni:
“Ha 50 anni. É comandante in capo dell’ artiglieria dell’ armata d’ Italia. Risiede a Milano. Indossa una tunica dal colletto e i bordi ricamati d’oro. Ha 60 anni. Sorveglia i lavori di rifacimento della terrazza del suo castello. Si avviluppa freddolosamente in una vecchia mantella militare. La sera stessa sarà morto. Ha 30 anni. É capitano. Va all’Opèra. Porta un tricorno…”.
Morirà a Parigi il 6 luglio 2005
Il protagonista dell’opera, Georges, torna dal fronte dopo la disfatta del maggio 1940, quando l’esercito tedesco sbaraglia dapprima le truppe belghe e poi quelle francesi nella sua avanzata verso sud. Come in un incubo, Georges rievoca la ritirata sulla strada delle Fiandre. Una disfatta che, ai suoi occhi, appare non soltanto come la decomposizione di un esercito, ma del mondo stesso, nell’istante in cui il capitano de Reixach, piantato sul cavallo esposto nel bel mezzo della strada, senza neppure prendersi la pena di sospingerlo fin sotto a un melo, aveva trovato la morte. Aveva trovato la morte o, piuttosto, aveva cercato la morte? Perché il capitano se ne stava così diritto e rigido in sella, come se stesse sfilando a una rivista e non in piena ritirata? Quella posa elegante e chic in mezzo allo sfacelo aveva a che fare con l’onore di un ufficiale di cavalleria dinanzi alla morte oppure con altre, oscure ragioni? Riguardanti magari la bella Corinne, la ragazza di vent’anni più giovane che de Reixach aveva sposato in un’eco di scandalo, di indignazione, di gelosia e di sussurri intorno alle tazze di tè? Nel sovrapporsi dei ricordi, la misteriosa fine del capitano finisce col simboleggiare, per Georges, l’ineffabile fine del mondo che sua madre, una de Reixach, gli ha sempre decantato: quel mondo fatto di spettri circondati di leggende, di dicerie d’alcova, di colpi di pistola, di atti notarili e di spade tintinnanti.