Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro morivano nell’attentato mafioso che da tutti è ricordato come La Strage di Capaci.
Una giornata come tante, era maggio e faceva caldo, quando all’improvviso i telegiornali flash di ogni rete inondano le tv di un annuncio speciale, quelli per cui capisci che qualcosa di grave è successo.
Attentato al magistrato Giovanni Falcone
Le notizie si susseguono a ritmo serrato, sono passati ventotto anni, la comunicazione non era veloce come oggi, ma da subito si capì che qualcosa di grave era successo.
Il magistrato Giovanni Falcone morì poco dopo e con lui se ne andò la moglie Francesca Morbillo e gli uomini della scorta.
L’attentato all’uomo che aveva lottato contro la mafia, per un’Italia migliore, proprio dalla mafia era stato ucciso nel modo più ignobile: bombe piazzate sul tratto di strada che dall’aeroporto di Capaci porta a Palermo.
Tanto è stato detto e tanto è stato scritto riguardo la Strage di Capaci, il lavoro di Falcone e Borsellino, sulla loro morte per lo Stato.
Ti lascio con un libro, Cose di cosa nostra che è una sua testimonianza, una raccolta di pensieri.
La penna è quella della giornalista francese Marcelle Padovani, ma la voce narrante è quella di Giovanni Falcone. Le venti interviste diventano materiale per dettagliate narrazioni in prima persona che si articolano in sei capitoli, disposti come altrettanti cerchi concentrici attorno al cuore del problema-mafia: lo Stato. Un’analisi che parte dalla violenza, dai messaggi e messaggeri, per arrivare agli innumerevoli intrecci tra vita siciliana e mafia, all’organizzazione in quanto tale, al profitto – sua vera ragion d’essere – e, infine, alla sua essenza: il potere. Una testimonianza resa da Falcone dopo aver lasciato Palermo nel 1991.
Un Uomo, Giovanni Falcone, che realmente credeva nella Giustizia, il suo ricordo, anche a distanza di anni, è vivido e forte nella mia mente: mi guida e mi dà l’esempio!
Io lo ricordo bene quel giorno