Non so bene se l’aver scelto di parlare del 1918 sia stata una scelta istintiva (la nascita di mio padre) o se al contrario, è stato il fantomatico fato o destino, chiamalo come vuoi, a spingermi a farlo. Fatto sta che ciò che è accaduto nel 1918, per alcuni aspetti e molto rilevanti, assomiglia molto a quello che stiamo vivendo. Che i secoli e gli anni siano diversi tra loro probabilmente è vero, anche se io userei più il termine “unici” ma se così fosse, il classico “corsi e ricorsi storici” non sarebbe stato coniato. In questo caso, non potrebbe essere più vero.
Il 1918…
…per tutti è legato alla Grande Guerra, e fin qui siamo d’accordo, non si può non parlarne, a colpirmi invece il fatto che proprio quell’anno, a mettere in ginocchio l’Italia e il mondo intero, più della guerra fu la Spagnola. In pieno conflitto mondiale l’Italia, ma soprattutto gli italiani, non si aspettavano di dover combattere anche contro un nemico invisibile che di visibile aveva solo il nome e i milioni di morti causati. Vivendo la situazione attuale posso solo immaginare le conseguenze e tutto quello che entrambe le situazioni, all’epoca, possano aver causato in termini sanitari, di distanza sociale, ripercussioni economiche e politiche, ma andiamo per ordine.
Il capodanno tra la fine del ’17 e il nuovo anno non porta certo molta allegria, la disfatta di Caporetto ha lasciato ferite troppo profonde in un esercito già stremato, confuso e ormai allo sbaraglio. Fagocitato da una conflitto troppo grande e con troppi interessi in gioco, con la Russia troppo impegnata a fare la sua rivoluzione e gli Stati Uniti troppo permalosi per rimanere con le mani in mano. E’ il Papa a supplicare la pace per il bene di tutti e così i primi mesi dell’anno scivolano tra ansie e attese.
Scoppia la Pandemia della Spagnola
I primi di marzo in Kansas si registra il primo caso di influenza causata dal virus H1N1, ma l’Europa lo viene a sapere dai giornali spagnoli, gli unici liberi dalla censura militare imposta dalla guerra. Sembra di rivivere un film, anche allora l’epidemia venne in qualche modo quanto meno sottovalutata. La stampa americana vietò categoricamente che si diffondessero notizie sul caso per tenere alto l’umore della gente a i sintomi erano quelli, nonostante si parlasse come ora, di una comune influenza: tosse, dolori lombari e febbre.
Come il Covid 19, anche il virus H1N1 innescava una reazione eccessiva del sistema immunitario, provocando un eccesso di sangue nei polmoni causando una morte dolorosa e istantanea. Di certo, e lo dico con amarezza, i nostri antibiotici avrebbero senza dubbio arginato di molto la situazione, ma all’epoca della penicillina nessuno sapeva nulla e il virus in un anno causò 50 milioni di vittime.
Torniamo in Italia. Come da copione e con una guerra in corso, tutte le attività furono comunque sospese, comprese quelle sportive anche se, una volta tornati dal fronte, in qualche modo gli atleti ricominciarono ad allenarsi. A proposito di sport, un particolare molto interessante, almeno per me, riguarda il modo con cui i soldati americani stabili in Italia, passavano il tempo libero, non ci crederai: giocando a pallavolo! In Italia era un gioco ancora poco noto ma ebbe subito un grande successo. Non solo, oltre al basket anche il baseball aiutò le truppe francesi e italiane a superare le difficoltà del momento con l’aiuto, chiaramente, della marina militare americana pronta ad affiancare istruttori di educazione fisica per tenere in forma l’esercito, far divertire i soldati e migliorare lo spirito di squadra. In effetti una bella idea.
In un clima così complicato, il cinema riesce a far dimenticare le brutture della guerra. Le trincee sono tappezzate di foto di Francesca Bertini, Italia Almirante e di Lyda Borelli che certamente è stata la più rappresentativa per lo stile unico inimitabile, almeno queste le critiche dell’epoca. È una strana e malinconica storia la sua. All’apice del successo l’attrice lasciò le scene per sposare il Conte Cini. Non volendo condividere la bella moglie con nessuno, il conte decise di far sparire qualsiasi cosa ricordasse il passato della donna, privandola così dei ricordi. La morte del figlio e le continue infedeltà del marito la portarono ad ammalarsi e morire nel 1959.
Nel frattempo, sempre a marzo, la Russia si arrende agli Imperi Centrali e l’Italia si prepara ad affrontare l’Austria che è sempre più vicina al confine. D’Annunzio parte volontario e Mussolini si affaccia prepotente con il suo giornale reazionario sulla scena politica inneggiando alla vittoria .
Siamo in maggio, si attende la consegna dei Nobel ma l’Accademia svedese decide di non assegnarlo per la letteratura ma di trasferirlo all’anno successivo e di consegnare solo il Nobel per la fisica.
Alla stazione Garibaldi di Milano arriva da Parigi, il 7 giugno, un certo Ernest Hemingway; inviato della Croce Rossa deve occuparsi dell’assistenza ai feriti di una fabbrica di munizioni esplosa nei dintorni di Bollate. Il mese successivo lo scrittore viene ferito a Fossalta sul fronte del Piave e ricoverato nell’ospedale della Croce Rossa a Milano curato da una simpatica quanto dolce fanciulla di origine tedesca di nome Agnés von Kurowsky di cui s’innamora perdutamente.
Se dovessi un giorno andare a Milano, in via Armorari, sulla parete di un bel palazzo d’epoca, troverai una targa con la scritta:
Nell’estate del 1918 in questo edificio, adibito a ospedale della croce rossa americana, Ernest Hemingway ferito sul fronte del Piave fu accolto e curato, così nacque la favola vera di Addio alle armi.
Pare proprio che la permanenza in quell’ospedale abbia ispirato uno dei suoi più grandi e famosi romanzi, Addio alle armi, opera che narra la storia d’amore tra un’infermiera inglese e un guidatore di ambulanze americano.
Alle 3 del mattino del 15 giugno inizia la Battaglia del Solstizio che avrebbe dovuto, secondo gli austriaci, chiudere una volta per tutte i conti con l’Italia ma il Piave decide per tutti; straripra per le abbondanti piogge e con l’aiuto dei cannoni degli alleati, impedisce l’avanzata asburgica per la felicità delle truppe tricolore
Siamo in estate, il virus arriva in Francia, Italia e Inghilterra e fa la sue prime vittima importanti, il pittore austriaco Gustav Klimt e il poeta francese Guillaume Apollinaire. Chi si salva dal virus non ne esce comunque indenne; Katherine Anne Porter, la più importante scrittrice texana, nata nel 1890 e morta novantenne, parla della malattia e di come, dopo aver perduto tutti i capelli, ricrebbero completamente bianchi. Anche D.H. Lawrence autore dell’Amante di lady Chatterley, espressione della letteratura erotica, si ammala di spagnola, guarisce ma i disturbi su cuore e polmoni si fanno sentire per tutto il resto della vita. In compenso a Stoccolma, il 14 luglio, vede la luce il grande regista Ingmar Bergamar e due giorni dopo in SudAfrica nasce il grande Nelson Mandela.
La Spagnola In Italia
Più di 600 mila morti: il virus questa volta colpisce l’Italia in maniera violenta. Anche in quel caso, complice la guerra, la situazione peggiora per la censura nazionale che impone di non divulgare l’effettivo numero dei positivi con il risultato, per molti dei malati, di rimanere bloccati in casa senza essere curati. Al contrario del Covid 19, la Spagnola colpisce i più giovani, le donne, le donne in attesa, in misura ridotta gli anziani perché immunizzati dalla precedente influenza del 1890 e i soldati, a cui per profilassi venivano osservati controlli costanti.
Dalle memorie di una cara parente, ho scoperto, tra l’altro con dispiacere, che nella piccola isola di Pantelleria anche i miei bisnonni morirono a causa del virus, riducendo in coma mia nonna, l’unica che potesse sostenere i suoi quattro fratelli. Ci pensò una signora veronese chiamata per assisterli, a rubarle tutto prima che si risvegliasse. Che storia!
In questo scenario apocalittico, si continua a combattere. Il 4 ottobre: le truppe italiane, con un’offensiva sul Piave e sul Grappa, conquistano Vittorio Veneto, il 3 novembre 1918 l’Austria si arrende e il giorno successivo viene siglato l’armistizio fra Italia e l’Austria-Ungheria. L’11 novembre del 1918 si conclude il primo conflitto mondiale: alla fine si contano 10 milioni di morti di cui 600 mila furono solo quelli italiani.
Nonostante tutto il carico di sofferenze, la donna in qualche modo esce dalla guerra con un ruolo sociale più incisivo. La scelta di sostenere la famiglia durante l’assenza degli uomini al fronte consente loro di entrare attivamente nelle varie attività e di acquisire esperienza in tutti i settori, fino a quel momento ritenuti ad appannaggio degli uomini. La fine della guerra, in apparenza, le vorrebbe ancora donne del focolare ma il lavoro e l’impegno profuso viene riconosciuto e questo ha senza dubbio dato il via alla sua vera emancipazione.
Le nazioni, Italia compresa, si leccano le ferite di una guerra disastrosa ma possono comunque tirare un sospiro di sollievo; l’anno che verrà dovrebbe garantire la pace e il nuovo capodanno si chiude con un bicchiere di spumante alzato e una lacrima sulla guancia.
Quali le conseguenze di una guerra così dura? Qualunque risposta non avrebbe molto senso, una guerra non giustifica mai tanto spargimento di sangue se ciò che resta mortifica la dignità dell’uomo. Alla fine, oltre al dolore e alle sofferenze per chi nel 1918 non è tornato, sono rimaste le macerie morali, economiche e sociali, difficili da recuperare. Un errore che si è ripetuto a distanza. La Grande Guerra è stato un primo grande volume della storia a cui non si è riuscita a mettere la parola fine. Il classico “To Be Continued” che ha poi stravolto ancora una volta il mondo intero.
La mia generazione l’ha solo studiata ma il 21° secolo è nelle nostre mani e non lo stiamo vivendo certo alla grande. Non è forse un’altra guerra quella che stiamo combattendo?