Vittorio Gassman era nato a Genova il 1° settembre del 1922, morirà per un arresto cardiaco il 28 Giugno 2000, a 78 anni, nella sua casa romana.
Nell’ambiente teatrale prima e nello spettacolo nel senso più ampio poi, viene identificato fin da subito come il Mattatore grazie alla presenza scenica e al carattere forte e irreprensibile.
Porterà in scena spettacoli legati ai più grandi autori di tutti i tempi, ne citiamo solo qualcuno: dai classici di casa nostra Oreste di Vittorio Alfieri, Adelchi di Alessandro Manzoni fino ad arrivare al 1977 con Affabulazione di Pier Paolo Pasolini. Non possono mancare nel suo repertorio due classici shakespeariani: Amleto e Otello.
L’elenco di film che hanno segnato la sua carriera cinematografica è lunghissimo vorrei citarne uno tra i primi, cioè I soliti ignoti che uscì nel 1958 per la regia di Mario Monicelli. L’ultimo film è
La bomba, del 1999, per la regia di Giulio Base dove Vittorio Gassman recita insieme al figlio Alessandro.
Vittorio Gassman scrittore…
Ebbene sì, Vittorio Gassman scrisse anche dei libri; uno in particolare del 1990, Memorie del sottoscala, è legato ad un momento di forte depressione, più grave di altri episodi che già lo avevano attanagliato.
Tantissimi sono gli scritti che ci ha lasciato; molti sono stati nel tempo rieditati da case editrici differenti ed in moltissime lingue.
Il romanzo d’esordio è del 1965 dal titolo Luca dei numeri. Oltre a Memorie del sottoscala un altro libro autobiografico del 1981 è Un grande avvenire dietro le spalle. Di altro genere sono Ulisse e la balena bianca (1992), Mal di parola (1992) e Lettere d’amore sulla bellezza (1996).
Questa intervista di vent’anni fa sul teatro, inizia nel tempo lontano dell’Accademia d’Arte Drammatica che consegnò a Gassman quella specie di animismo, guida perenne al suo modo di essere attore. Ne percorre le tappe più memorabili e vere: i mostri sacri del passato, incontri, aneddoti, prove significative, delusioni e grandi successi. E poi i vari ruoli del teatro, i tipi di rappresentazione, i segreti dell’arte. Ma anche, discretamente sotteso a tutto il raccontare, il modo in cui “un mestiere che non lascia traccia” perché fluisce e dura solo nel mistero del presente, piega un’esistenza, la approssima all’arcano della maschera. E le dona un’invincibile malinconia.