Ad un anno dalla scomparsa dell’indimenticabile Rombo di Tuono esce il libro di Paolo Piras, Vertical. Il romanzo di Gigi Riva, edito da 66thand2nd. Il giornalista racconta del calciatore “ultimo degli eroi”, come da lui definito, ma anche dell’uomo. Una vita la sua piena di trionfi sportivi, ma anche di grandi dolori e profonda depressione.
La trama di Vertical. Il romanzo di Gigi Riva
Il 22 gennaio di un anno fa è scomparso Gigi Riva, un uomo che per molti è stato l’ultimo degli eroi del calcio italiano.
In Vertical. Il romanzo di Gigi Riva, Paolo Piras racconta la storia di quell’appena diciottenne, ma con alle spalle già una vita durissima, che arriva spaesato e poco convinto a Cagliari insieme a sua sorella maggiore Fausta. Qui, nel breve volgersi della sua straordinaria carriera, viene accolto come figlio, prima da una città e poi da un’isola intera, la Sardegna – che riva ama come un figlio – portando il Cagliari a conquistare il suo storico scudetto.
Cantato e raccontato da compagni e avversari, tifosi e non tifosi, giornalisti e scrittori. Gianni Brera lo ha chiamato «Rombo di Tuono», ma è stato Gianni Mura a trovare la definizione più calzante, più letteraria: «Hombre Vertical». Un uomo che non si piega ai guadagni facili, alle lusinghe dei potenti, alle scelte di comodo. Ancora oggi il nome di Riva evoca insieme la forza e la correttezza, il talento e l’integrità
La Sardegna lo ha eletto per sempre a monumento della propria identità – lui che non era nemmeno sardo, ma lombardo di Leggiuno, «sponda magra» del lago Maggiore. Perché? Bisogna dipanare con pazienza e stupore tutto il filo della sua romanzesca avventura, dai lutti dell’infanzia allo scudetto vinto col Cagliari (il primo di una squadra del Sud), dalle leggendarie imprese messicane al cammino esemplare come team manager della Nazionale, per capire appieno il percorso di un uomo che ha attraversato la povertà, il dolore, la rabbia, la gioia, la sfortuna, la gloria, l’orgoglio, la serenità, senza mai smettere di essere vertical.
Paolo Piras ha raccontato a Umberto Zapelloni in una puntata del podcast Bar Sport:
Quando è morto Gigi Riva, per dare un’idea, – io sono semplicemente un sardo – mi sono arrivati diciotto messaggi di condoglianze. E la cosa paradossale è che non era un pensiero sbagliato da parte di tutti coloro non sardi che mi hanno mandato queste condoglianze. Era un pensiero che tutto sommato corrispondeva a una sorta di elaborazione di questo lutto che i sardi hanno avuto. Per elaborarlo io ho provato a scrivere.
Dentro il libro
In Italia non c’è niente di più serio di un gioco. Se ci pensi, in una partita di calcio non puoi afferrare la palla con le mani, portarla con te fino alla porta, buttarla in rete e poi pensare che qualcuno ti applauda e ti conceda il gol. La regola è infrangibile, l’infrazione è irricevibile. Fuori dal recinto del campo, invece, i gol si possono fare con le mani, eccome. In qualunque ambito e settore dell’attività umana – dall’imprenditoria allo spettacolo, dal fisco all’editoria – le strade del successo sono ramificate di scorciatoie, circonvallazioni, sotterfugi, mezzucci, perché alla fine vinca magari il più accorto, magari il più abile nelle relazioni e negli intrecci, ma il migliore mai, o quantomeno molto di rado – quasi per caso. Non così nel calcio, tanto più nel calcio di una volta: si gioca in undici contro undici; il campo è cento o centodieci per sessanta o cinquanta; la palla è di cuoio, pesa quattro etti e venti, rimbalza così e così e, dove la tiri, va.
Dentro quel perimetro verde, il talento e la volontà allenata possono dunque bastare a vincere. Per un’anima pura, per un cuore leale, questo è un dono impagabile. Non hai bisogno di astuzie e strategie che non siano quelle, spicciole, dei movimenti in campo. Non devi essere furbo, o servile, o obliquo, o infido. Puoi spendere tutto te stesso nella sola ricerca del gesto perfetto, dell’impresa tecnica, senza disperderti nell’entropia dei raggiri e dei compromessi. Puoi rimanere verticale. Resta fuori da quel recinto la squallida grana grossa del mondo circostante, la sofferenza quotidiana della cosiddetta vita reale. Il tuo è lo spazio dell’eroe. Lì dentro puoi perdere o vincere, ferirti, risorgere, cedere, migliorare, retrocedere, tagliare il traguardo. Ma l’epica, che racconterà un giorno quello spazio verde, canterà sul tamburo degli esametri una storia perfetta di successo o caduta, di trionfo o dolore. Una storia, comunque essa vada, verticale.