Accostandomi alla lettura di Versi dispersi come gocce nell’oceano di Gianluca Scalera, Panesi Edizioni, la prima cosa che ha attirato la mia attenzione, fin dai primi versi della piccola silloge, 55 pagine, vincitrice del primo posto sezione giovani, al premio Dallorso 2018, è stato lo stile. E devo ammettere che mi ha meravigliato, ti spiego il perché: Gianluca Scalera, non sarà sicuramente una persona adulta, dal momento che è vincitore della sezione giovanile di un premio di poesia, dico non sarà, perché un alone di mistero sembra avvolgere la sua persona, poichè non esiste, o non ho trovato io, in rete nessuna notizia che lo riguardi se non quella riportata sopra (il premio vinto, cioè). La mia meraviglia, è dovuta al fatto che malgrado la sua (presumo) giovane età adotti uno stile che si rifà al neoclassicismo aulico di inizio Ottocento o più verosimilmente allo stile carducciano del primo Novecento o almeno questa è stata la mia impressione.
Un autore, giovane o maturo che sia, è sicuramente influenzato nella scrittura dalla sua formazione, dalla sua cultura, dalle letture, dai gusti personali e oserei anche dire dal suo modo di essere, dalla sua personalità: fatta questa premessa, mi chiedo cosa può spingere un giovane ad adottare uno stile che si riallaccia direttamente al buon vecchio (e consentimi), più che sorpassato Carducci, pur con il dovuto rispetto che si deve ad un Premio Nobel del suo calibro. Quando ti ritrovi a leggere: […] Dedicami Febo, dalla lacrima aurea/ qual singulto di avida ricchezza/ che solo tu, corona del mio capo,/ può concedere Sapienza./[…], versi che Gianluca Scalera a quanto pare dedica a se stesso, in occasione del suo compleanno (forse sarebbe più consono scrivere genetliaco, considerando i gusti lessicali dell’autore), qualche domanda o magari più di una, sorge spontanea alla malcapitata lettrice (io nello specifico). La prima potrebbe essere: “Caro ragazzo ma cosa ti assilla di preciso?” Oppure: “D’accordo ti piacciono i classici, ma ti sei accorto che il mondo (anche quello letterario, guarda caso) è andato avanti di oltre due secoli?” Perdonami l’ironia caro lettore ma mi è scaturita, “irrefrenabile” dal profondo. Del resto, sono stata incaricata di recensire una raccolta poetica ed esprimo la mia opinione che può trovarti d’accordo oppure no, ma che comunque resta una mia “personale” opinione.
Apprezzabile può essere la cultura classica dell’autore che si deduce ed evince da quanto scrive, dalle tematiche che affronta, dai richiami quasi epici di gesta ed immolazioni di antica memoria: […] Fu del dicesti allora:/Mori pro patria,/ del nemico l’origine s’ignora,/ la memoria del pianto caduto si ch’ei non muoia./ Apprezzabile che in un giovane ci sia questo gusto o amore per il passato, ma non so fino a che punto i Versi dispersi come gocce nell’oceano di Gianluca Scalera possano coinvolgere piacevolmente un lettore che, pur essendo amante della poesia, si ritrova a confrontarsi con un linguaggio poetico ed uno stile decisamente sorpassato e non di facile approccio.
La tematica dei testi contenuti nella raccolta non è omogenea, Gianluca Scalera passa da contenuti densi di morale umana e civile a contenuti più intimi e personali, senza un filo che leghi visibilmente o meno i due argomenti: del resto intitola la sua opera prima Versi dispersi come gocce nell’oceano ed effettivamente è così che risultano, dispersi in un mare di ismi che vanno dall’ismo del classicismo o pseudo tale, all’ismo del moralismo, a quello dell’intimismo, dove l’autore concentrato su stesso riesce a dare il meglio e in alcuni componimenti anche del patriottismo. Non vorrei apparire eccessivamente critica però penso che queste gocce nell’oceano siano veramente disperse, variegate e più pesanti dell’acqua stessa. E, a mio avviso, anche il volere spiegare con note a margine (stile antologia scolastica, per capirci) che Gianluca Scalera (o chi per lui) adotta per chiarire meglio ciò che vuole esprimere, è una trovata non felicissima: in una poesia il lettore non deve avere la spiegazione pronta, a meno che non si tratti di un alunno, la poesia si lascia alla libera interpretazione di chi legge: sempre parere personale da lettrice appassionata.
Un altro appunto che non posso esimermi dal fare, considerando che l’autore ama lo stile classico e si rifà (o almeno ci prova) in qualche modo alla figura del poeta-vate-eroe-nazionalista e conservatore delle tradizioni letterarie, è quello che riguarda due componimenti in particolare: II° sonetto e I° sonetto bucolico (riporto fedelmente, tengo a precisare che non è un mio errore scrivere II° e I° in questo modo) e I° sonetto aureo: ora a parte l’errore evidentissimo nell’aggiungere il grado all’apice dei numeri romani, su cui sorvoliamo (siamo buoni), non si può invece sorvolare nella definizione di sonetto. Il sonetto ha, per definizione, una struttura metrica formata da quattordici versi endecasillabi suddivisi in due quartine e due terzine: ora malgrado tutta la buona volontà e l’elasticità mentale che un lettore può avere, quei due componimenti hanno poco (soltanto e neanche sempre, le quartine e le terzine) e niente del sonetto, in forma classica che secoli fa fu inventato un certo Jacopo da Lentini e poi riadattato ma mantenendo “sempre” la forma metrica originaria. Forse, possono soltanto avere una forma “elastica” di sonetto ma la sto inventando io, adesso e qui, più o meno ironicamente ed estemporaneamente.
A lettura finita, a recensione completata, mi dispiace aver espresso un parere quasi interamente negativo, ma l’onestà intellettuale è d’obbligo in questi casi. So che chi scrive mette cuore e anima tra carta e penna o, più modernamente, fra i tasti di un computer ma non si può piacere a tutti… E anche questo è da tenere presente pubblicando un qualsiasi libro. Il nostro autore si consolerà con il premio vinto e magari, chissà, potrebbe non essere l’unico (alla faccia mia).