Veronica Raimo è la vincitrice della nona edizione del Premio Strega Giovani. Con il suo romanzo, Niente di vero, ha conquistato la giuria ottenendo 96 voti.
Classe 1978, Veronica Raimo è nata a Roma e si è laureata in Lettere sul cinema della Germania divisa, ha vissuto a Berlino occupandosi di ricerca presso l’Università di Humboldt.
Traduttrice dall’inglese per diverse case editrici come minimum fax, Fandango e Coconino Press, ha esordito nella narrativa nel 2007 con il romanzo Il dolore secondo Matteo al quale hanno fatto seguito altri due romanzi (Tutte le feste di domani e Miden) oltre a racconti pubblicati in riviste e antologie.
Nel 2000 è stata selezionata per il Festival Romapoesia e per il Poetry Slam nazionale di Roma, e nel 2004 per il Festival di poesia di Perugia. Ha pubblicato su Alias, Il manifesto, Le Monde diplomatique, Accattone, Capitolium, XL di Repubblica, Roma c’è. Collabora con Work-out e la rivista islandese in lingua inglese Grapevine. Attualmente collabora anche con il gruppo teatrale Teatro Instabile con sede a Berlino.
Ha tradotto, insieme a Luca Dresda e il fratello Christian Raimo, del Golden Gate di Vikram Seth apparsa in capitoli su Nazione Indiana. Insieme a Marco Bellocchio e a Stefano Rulli, ha scritto la sceneggiatura di Bella addormentata (2012, regia dello stesso Bellocchio) candidata ai Nastri d’argento 2013.
La sinossi di Niente di vero
Zerocalcare ha così commentato il libro di Veronica Raimo:
Veronica Raimo è l’unica che mi ha fatto ridere ad alta voce con un testo scritto in prosa da quando ero adolescente.
La lingua batte dove il dente duole, e il dente che duole alla fin fine è sempre lo stesso. L’unica rivoluzione possibile è smettere di piangerci su. In questo romanzo esilarante e feroce, Veronica Raimo apre una strada nuova. Racconta del sesso, dei legami, delle perdite, del diventare grandi, e nella sua voce buffa, caustica, disincantata esplode il ritratto finalmente sincero e libero di una giovane donna di oggi. “Niente di vero” è la scommessa riuscita, rarissima, di curare le ferite ridendo.
“All’inizio c’è la famiglia. Veronica Raimo racconta che, specialmente se si è figlie, quell’inizio combacia con la fine” (Domenico Starnone).
“Leggere questo romanzo è una festa. Ma molte pagine sono ferite da medusa: bruciano alla distanza” (Claudia Durastanti).
Prendete lo spirito dissacrante che trasforma nevrosi, sesso e disastri famigliari in commedia, da Fleabag al Lamento di Portnoy, aggiungete l’uso spietato che Annie Ernaux fa dei ricordi: avrete la voce di una scrittrice che in Italia ancora non c’era. Veronica Raimo sabota dall’interno il romanzo di formazione.
Il suo racconto procede in modo libero, seminando sassolini indimenticabili sulla strada. All’origine ci sono una madre onnipresente che riconosce come unico principio morale la propria ansia; un padre pieno di ossessioni igieniche e architettoniche che condanna i figli a fare presto i conti con la noia; un fratello genio precoce, centro di tutte le attenzioni. Circondata da questa congrega di famigliari difettosi, Veronica scopre l’impostura per inventare se stessa.
Se la memoria è una sabotatrice sopraffina e la scrittura, come il ricordo, rischia di falsare allegramente la tua identità, allora il comico è una precisa scelta letteraria, il grimaldello per aprire all’indicibile. In questa storia all’apparenza intima, c’è il racconto precisissimo di certi cortocircuiti emotivi, di quell’energia paralizzante che può essere la famiglia, dell’impresa sempre incerta che è il diventare donna.
Con una prosa nervosa, pungente, dall’intelligenza sempre inquieta, Veronica Raimo ci regala un monologo ustionante.