Caro iCrewer,
Dante, il sommo poeta, ha trovato nella sua terra natia mille ispirazioni che andavano ben oltre l’angelica Beatrice e avevano a che fate con il territorio, le leggende, i miti della cultura popolare. Proviamo a iniziare il nostro percorso dantesco passando dall’entrata principale e spaventosa.
Un percorso dantesco e mille ispirazioni toscane
Dal sito I sentieri di Cioccolata
Dalle cronache di Giovanni Villani, cronista fiorentino trecentesco:
Nell’anno 1335, al giorno del 15 Maggio, una falda della Montagna detta Falterona scoscese con un rombo di terremoto e con grande rovina dal lato del Mugello, rovinando per quattro miglia fino al paese chiamato Castagno, dove le case, le persone, le bestie selvatiche e domestiche e gli alberi interi furono travolti e inghiottiti. Nel terreno tutto intorno ci fu una inondazione di acqua torbida come non si era mai vista, che sembrava lavatura di cenere, e da questa uscirono un’infinita quantità di serpi dalla pelle nera e dalla carne bianchissima, e due serpenti con quattro piedi grandi come un cane furono presi più di due mesi dopo il disastro, uno vivo e l’altro morto. L’acqua torbida discese nel torrente Dicomano e da qui nel fiume Sieve, che ne fu tutta tinta; e la Sieve tinse il fiume Arno fino a Pisa, ed esso durò così torbido per due mesi, che a Firenze l’arte della lana non poteva più far lavare i panni in Arno e neppure i cavalli ne volevano bere.”
E ancora, ascoltiamo cosa dice una antica leggenda del luogo:
“Quando si seppe che la grande frana aveva creato un lago, gente di Castagno salì al monte e dopo aver trovato il luogo decise di capire quanto questo lago fosse profondo. In sella a un legno si portarono al centro dell’acquitrino e calarono una fune con un sasso legato: questa iniziò a scendere velocemente per molte e molte braccia, finché chi stava calando sentì la fune lenta e la tirò di nuovo su.
Il sasso non c’era più e la fune in cima era tutta bruciata.
Quella gente corse giù a Castagno, dicendo che il fondo della Gorga era la porta stessa dell’Inferno.”
Ed ecco spiegato dove Dante abbia individuato le porte del suo inferno. Se volessimo proprio essere fantasiosi, individueremmo nel monte Falterona il Purgatorio, con i suoi anelli che scalano la montagna. Camminando sul nostro percorso dantesco, tra la Gorga nera e Capo d’Arno, c’è il magico Lago degli Idoli.
Ancora adesso le acque del lago degli Idoli – distante dalla Gorga nera un paio di ore a piedi su un sentiero che, credimi, caro iCrewer, è animato da qualsiasi energia circoli sulla Terra – restituiscono all’umanità un’infinità di reperti etruschi. Era considerato un luogo sacro, pur essendo uno stagno più che un vero lago, e le sue acque erano il passaggio tra questa e un’altra dimensione. Dante deve aver sentiro tutte le energie che si condensano in quel luogo del mondo: le foreste del Falterona hanno un certo che di soprannaturale, si ha sempre la sensazione di essere in compagnia, di essere guardati, sorvegliati e addirittura protetti da qualche spirito benigno che quieto dimora tra le fronde di alberi secolari.
Proseguiamo verso nord il nostro percorso dantesco e dal Mugello andiamo verso la Romagna Toscana, terra di Forlì, da dove nascono le acque che poi solcano il Centro Italia. Un paesino che sembra una bomboniera, San Benedetto in Alpe, si adagia al centro della valle dell’Acquacheta, scavata da un fiume placido che solca un bosco meraviglioso. Si raggiungono le cascate che danno origine al fiume attraverso un sentiero comodo e ben battuto, duro sul finale giacchè la salita è fatta di sassi e piuttosto ripida ma chi ci arriva, non può che sentirsi in Paradiso. La cascata è balneabile ma adatta ai più coraggiosi, l’acqua è gelida e il fondo misterioso.
Come quel fiume c’ha proprio cammino / prima dal Monte Viso ‘nver’ levante, / da la sinistra costa d’Apennino, / che si chiama Acquacheta suso, avante / che si divalli giù nel basso letto, / e a Forlì di quel nome è vacante, / rimbomba là sovra San Benedetto / de l’Alpe per cadere ad una scesa / ove dovea per mille esser recetto; / così, giù ‘una ripa discoscesa, / trovammo risonar quell’acqua tinta, / sì che ‘n poc’ora avria l’orecchia offesa”. Dante Alighieri, “Divina Commedia”. Inferno, canto XVI.
Mille ispirazioni toscane, un percorso dantesco
Concludo questo excursus sul percorso dantesco con una visita che, nelle mille ispirazioni toscane, non può essere secondaria: il Castello di Poppi, sede principale della famiglia dei Conti Guidi i quali dal Duecento fino al secolo successivo furono enormemente influenti in Toscana, da Poppi fino ai confini della allora Romagna fino al castello di Rocca San Casciano. Una enorme porzione della regione che risultò difficile da gestire in pace. Il Castello, che fu da ispirazione al più famoso Palazzo Vecchio, si erge su una montagna a guardia della Piana di Campaldino, ambientazione di una storica battaglia tra Ghibellini e Guelfi a cui Dante prese parte in prima linea, combattendo tra i guelfi fiorentini che poi, traditori, non si fecero alcuno scrupolo a esiliarlo perché guelfo bianco anziché nero.