Giornali, notiziari e siti internet in questi giorni non fanno che parlare di un unico argomento: la guerra. Il conflitto tra Russia e Ucraina prima, e quello in Medio Oriente poi hanno spesso aperto la porta per riflessioni sulla legittimità di questi scontri: chi ha ragione? Si può parlare di “guerra giusta”?
In questo appuntamento con la rubrica dedicata al mondo della filosofia non cercheremo di scovare il “buono” e il “cattivo” tra i campi di guerra odierni ma rifletteremo, grazie agli spunti offerti dalla scrittura di Tolstoj, unicamente sul concetto filosofico di “guerra giusta” per capire come quest’ultimo sia stato visto e trattato nel corso del tempo.
La guerra giusta: un concetto antico

A dispetto di quello che si può credere, la guerra non ha sempre avuto un’accezione negativa, al contrario. Per i Greci essa rappresentava la normalità, l’occupazione maggiore e più “spontanea” delle popolazioni antiche. La guerra era l’occasione per emergere, per dimostrare il proprio valore, era un momento necessario, fondamentale, non solo per affermare sé stessi ma anche la propria identità culturale e nazionale contro quella di un invasore esterno.
La letteratura greca, seppur con le dovute eccezioni, è permeata da questa concezione: dai poemi omerici, alle elegie guerriere di Callino e Tirteo, fino alle orazioni di Demostene che esortano a combattere contro Filippo il Macedone, solo per citare alcuni esempi sparsi.
Anche la cultura romana è fortemente intrisa di una cultura guerriera e non mancano anche riflessioni filosofiche sulla guerra. Fin dai tempi di Cicerone, si è cercato di definire in quali circostanze un conflitto armato potesse essere considerato legittimo, e quindi “giusto”. Si vis pacem, para bellum è il motto che potrebbe sintetizzare efficacemente ciò che gli Antichi vedevano nella guerra: una realtà paradossale, spesso crudele e cruenta, ma alle volte necessaria per assicurare stabilità e sicurezza ai popoli.
Potrebbe apparire strano ma anche la filosofia cristiana ammetteva il concetto di guerra giusta. Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino furono tra i primi a formulare una vera e propria dottrina del bellum iustum: una guerra poteva dirsi giusta se intrapresa da un’autorità legittima, per una causa giusta e con l’intenzione retta di ristabilire la pace. Sembrava una soluzione etica, un modo per conciliare la violenza con la morale.
La definizione più matura di questo concetto si avrà tra il XVI e il XVII secolo. Filosofi come Grozio e soprattutto Hobbes riconoscevano che la guerra fa parte della natura umana. Essa coincide con uno stato di natura, selvaggio e violento, per superare il quale i popoli si uniscono stipulando un “contratto” con un’autorità riconosciuta in grado di garantire leggi, stabilità e sicurezza. Ecco che quindi la guerra si presenta ogni volta che questo contratto viene infranto e, paradossalmente, diventa l’unico modo per poter ristabilire quel contratto e rientrare all’interno di una società civile.
Tolstoj e la condanna della guerra
La storia evolve, i tempi cambiano ma la guerra rimane un tema scottante che continuerà a produrre interpretazioni discordanti. Per i contrattualisti come Locke, Rousseau ed altri, la guerra, seppur non definita “giusta”, continuerà ad apparire come un “male necessario”. Ma poco più di un secolo più tardi, filosofi come Hegel e Fichte porteranno avanti un’esaltazione della guerra vista come promotrice di cambiamento ed evoluzione nella storia. Senza le guerre la storia registra solo pagine bianche, sostiene Hegel, ad indicare che senza di esse non ci sarebbe mai stato alcun miglioramento nella società.
Persino nella cultura moderna, dalla musica alla letteratura, questo ideale ha lasciato tracce profonde: si pensi agli inni patriottici, alle epopee eroiche, ai quadri che glorificano le battaglie e i martiri per la patria. Tutto sembra dire che la guerra, se necessaria e “giustificata”, possa addirittura diventare nobile.
Lev Tolstoj, però, ruppe brutalmente questa illusione. L’autore di Guerra e Pace, di Anna Karenina e di Resurrezione fu tra i più lucidi e radicali critici del concetto di guerra giusta, denunciandone l’ipocrisia morale e religiosa. Ne I racconti di Sebastopoli, ad esempio, offre alcuni squarci della crudeltà e della assurdità della guerra di Crimea, cui partecipò in prima persona, spezzando ogni idealizzazione della guerra:
Vedrete spettacoli terribili, che sconvolgono l’animo; vedrete la guerra, non nella sua forma ordinata, bella e brillante, con la musica e il rullo del tamburo, con le bandiere al vento e i generali caracollanti, bensì la guerra nella sua più schietta espressione: nel sangue, nelle sofferenze, nella morte
Tolstoj condanna senza riserve l’assurdità della guerra, smascherando anche l’ipocrisia di quanti cercano di presentarla come giusta o necessaria. Non esiste una “guerra giusta”, così come non esiste una giusta causa per scatenarla:
Noi abbiamo giocato alla guerra, questo è il male […] Lo scopo della guerra è la strage; strumenti della guerra sono lo spionaggio, il tradimento e l’istigazione a tradire, la spoliazione degli abitanti, il saccheggio e il furto per approvvigionare l’esercito, l’inganno e la menzogna.
Oggi, però, la voce di Tolstoj sembra essere rimasta inascoltata. Dall’Ucraina alla Palestina, il concetto di “guerra giusta” riemerge con prepotenza nei discorsi politici e mediatici attuali. Ogni parte si proclama nel giusto, ogni governo giustifica le proprie azioni come “difesa della libertà”, “protezione dei civili” o “lotta al terrorismo”. È la stessa retorica che Tolstoj denunciava più di un secolo fa: quella che maschera la violenza con parole nobili, quella che si illude di distruggere il male con altro male, finendo invece per moltiplicarlo.
Tolstoj, dunque, (e come lui anche molti altri pensatori del Novecento) ci ricorda che ogni guerra, anche la più motivata, lascia dietro di sé solo dolore, odio e disumanità. Che anche quando essa ha la pretesa di difendere i diritti umani, la pace o la giustizia finisce, in realtà, per strappare ai civili inermi e che, il più delle volte, non hanno nemmeno coscienza delle ragioni per cui quella guerra è scoppiata, il più prezioso dei diritti umani: il diritto alla vita.
E forse, proprio oggi, il suo messaggio suona più urgente che mai. In un’epoca in cui la violenza sembra di nuovo legittimata, in cui i civili pagano il prezzo più alto e le parole “difesa” e “giustizia” si confondono nei comunicati ufficiali, la voce di Tolstoj ci invita a non smettere di credere nella forza del bene. La pace non è un sogno, ripete lo scrittore russo, è la sola realtà degna dell’uomo.