Non tutte le favole sono a lieto fine. The Great Gatsby (1925) di F. S. Fitzgerald è l’emblema del sogno inafferrabile, dell’indifferenza, della solitudine e della vacuità della miseria umana celata dietro lo scintillio delle luci e il chiacchiericcio delle feste. La parabola di un uomo solo, sulla bocca di tutti ma sconosciuto a chiunque.
«Non si può ripetere il passato», questo il messaggio di Fitzgerald che durante il crollo del mito americano, tra alcool e amori fugaci scrive quella che da molti è stata definita la sua “autobiografia spirituale“.
Il punto è che tutti potremmo riconoscerci un po’ in Gatsby, o magari in Nick, «dentro e fuori, contemporaneamente incantato e respinto dall’inesauribile varietà della vita»: ecco perché questo romanzo deve assolutamente essere letto almeno una volta nella vita.
The Great Gatsby: una luce verde in fondo al pontile
Riassumere la trama di Gatsby senza fare spoiler è impresa assai ardua, perciò ci limiteremo ad alcuni input. Ad esempio: chi è James Gatz e in che modo è diventato Jay Gatsby?
Immaginate una villa immensa che ogni sera si accende di feste maestose e sfavillanti, organizzate da qualcuno di cui nessuno sa nulla eccetto il nome. E immaginate un osservatore/narratore, di nome Nick Carraway, appena arrivato a Long Island che abita proprio accanto alla casa di Jay e che un giorno inspiegabilmente riceve un invito da lui in persona.
Immaginate una luce verde in fondo a un pontile dove ogni sera un uomo si ferma seguendone lo sfavillio. E immaginate che dall’altra parte del pontile ci sia una donna, tale Daisy, sposata con un tale Tom Buchanan, che conduce una vita da regina mentre tra squallide industrie e officine poco lontane un’altra donna, tale Myrtle, attende ogni sera l’arrivo di Tom.
La sua vita era stata disordinata e confusa da allora, ma se riusciva una sola volta a ritornare a un certo punto di partenza e ricominciare lentamente tutto daccapo, sarebbe riuscito a capire qual era la cosa che cercava.
The Great Gatsby, F. S. Fitzgerald
The Great Gatsby: contraddizioni e tragicità della sfavillante età del jazz
Tra le pagine di Fitzgerald troverete i vizi, il peccato e anche l’inferno. Tra divertimento, denaro, contrabbando e attività illecite, si nasconde l’amore, stordito dal vano civettare e farneticare delle sontuose feste dell’età del jazz dove tutti blaterano senza ascoltarsi mai. E troverete la solitudine in mezzo al frastuono, nel dramma di un uomo che ha un unico obiettivo: trasformare il passato in futuro. Un uomo la cui casa non è mai vuota, ma che è infinitamente solo.
Il suo cervello tesseva un universo di ineffabile lusso mentre l’orologio ticchettava sul lavabo e la luna bagnava di luce i suoi vestiti ammucchiati sul pavimento. Ogni notte accresceva quest’intreccio di fantasie finché la sonnolenza non si chiudeva con un abbraccio incurante su qualche vivida scena. Per qualche tempo questi sogni ad occhi aperti gli procurarono uno sfogo per la sua immaginazione; erano un soddisfacente indizio dell’irrealtà della realtà, una promessa che la saldezza del mondo era di sicuro fondata sulle ali di una fata.
The Great Gatsby, F.S. Fitzgerald
Personaggi marchiati da frivolezza e profonda indifferenza, male insanabile della società capitalistica appena nata che sta sostituendo quella borghese. E alle loro spalle piccole ginestre che difendono profonda sensibilità, tentando di fuggire al senso della disperazione e all’assurda vanità dell’esistenza, che incede nel menefreghismo mentre tutti noi «così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato».
Valido anche il famoso adattamento cinematografico del 2013 diretto da Baz Luhrmann, con un Gatsby/Di Caprio e un Nick Carraway/Peter Parker (perché ammettiamolo, Tobey Maguire è per sempre Peter Parker!)
Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in quella vasta oscurità dietro la città dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte. Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia…
The Great Gatsby, F.S. Fitzgerald
Non bisogna guardare indietro, così sembra dire Fitzgerald, eppure senza la nostra “luce verde” saremmo marinai senza rotta. Non sarà che la luce verde dovremmo semplicemente cercarla avanti e non indietro? La verità è che «è inevitabilmente sconfortante guardare attraverso nuovi occhi cose alle quali abbiamo già applicato la nostra visuale».
Buona lettura!