Ci siamo già occupati in questa rubrica, caro iCrewer, di generi letterari e artistici tipici del Giappone antico – come i nikki, ad esempio. Ecco, questo è l’ambito in cui ci muoveremo anche oggi, perchè voglio parlarti degli emakimono, i rotoli dipinti giapponesi.
Ora, magari è una mia idea, ma credo che pensando all’antico Giappone (o anche alla Cina dei tempi remoti, perchè ammettiamolo, è facile fare confusione per un non addetto ai lavori), nella mente di molte persone si delinei una scena del tipo: una stanza illuminata dalla luce fioca di una candela, un individuo (uomo o donna non si sa, ma comunque con i capelli scuri, lunghi e lisci) seduto a terra che osserva un rotolo spiegato davanti a sè.
Ecco, seppur quest’immagine sia uno stereotipo dato, nel mio caso, da una visione di troppo di alcuni film di animazione, può comunque esserci la possibilità che quel rotolo sia un emakimono. E questa è la nostra occasione per scoprire effettivamente di cosa si tratti (e per aggiungere un dettaglio realistico a una fantasia approssimativa).
Cosa sono gli emakimono?
Partiamo dal nome stesso di questo genere di opere, ti va? La spiegazione, infatti, è già tutta nei caratteri cinesi – chiamati kanji in giapponese – utilizzati per riferirsi a esse: 絵巻物, che significa, leggendo da sinistra a destra, “disegnare, dipingere”, “rotolo” e “cosa”. Quindi, parafrasando, l’emakimono – abbreviato in emaki – è un rotolo dipinto.
Tendenzialmente questi oggetti erano pensati per la consultazione da parte di una singola persona alla volta. Ciò perchè, seppur alti tra i trenta e i trentanove centimetri e lunghi dai nove ai dodici metri, ogni scena era contenuta in circa sessanta centimetri. Chi stava consultando il rotolo – seduto sul tatami e con l’emaki appoggiato sul pavimento o sopra un tavolino basso – per poter proseguire, doveva dunque, una volta letta o osservata una determinata parte, riarrotolare la carta con una mano, e srotolare con l’altra. Una volta giunti alla conclusione, era necessario riavvolgere l’emaki nel suo senso originario.
Il verso di lettura era da destra a sinistra, ossia lo stesso della scrittura in giapponese – è così ancora oggi, nei testi in verticale; mentre in quelli in orizzontale si va da sinistra verso destra.
Gli emakimono potevano essere in seta o, più spesso, in carta. I colori utilizzati nelle pitture, poi, non erano applicati dopo essere stati diluiti, ma tramite l’utilizzo di una particolare colla, solitamente di origine animale. Le estremità a cui era attaccata alla carta erano di legno e, una volta arrotolato, il tutto veniva chiuso con una cordicella e riposto in una scatola.
Si pensa che questo genere letterario e artistico sia originario dell’India, in particolare prima del IV secolo d.C. In seguito, grazie alla diffusione del Buddhismo, arrivò in Cina e Corea, per poi essere portato in Giappone da commercianti e, soprattutto, monaci buddhisti. Non deve stupirci, quindi, che il primo rotolo giapponese raffiguri il Sutra illustrato di cause ed effetto, datato intorno all’VIII secolo d. C., ossia in quello che viene identificato come periodo Nara.
Durante i secoli successivi, nei periodi Heian (gli anni d’oro della corte imperiale, 794-1192), Kamakura (quando si creò la diarchia tra governo militare e imperiale, 1192-1333) e Muromachi (1392-1573), gli emakimono cambiarono pian piano soggetto, finendo per raffigurare principalmente scene di vita quotidiana, piuttosto che scritture buddhiste.
Vi sono rotoli che contengono brani di testi famosi, come ad esempio il Genji monogatari o l’Heiji monogatari, a cui fa seguito l’illustrazione delle scene appena narrate, e altri emaki che racchiudono esclusivamente elementi pittorici. Il numero di rotoli che compone un’opera dipende dalla lunghezza della stessa – in un caso se ne contano addirittura quarant’otto.
Era sempre molto importante la prospettiva che l’autore – spesso anonimo – sceglieva di adottare: doveva rendere il lettore consapevole di tutto ciò che stava accadendo sulla carta e, allo stesso tempo, catturare l’attenzione sul punto focale. Imp erano anche gli spazi di transizione da un episodio al seguente.
Il prestigio dell’emakimono cominciò a scemare durante il periodo Muromachi, quando l’esecuzione finì per focalizzarsi sulla tecnica, piuttosto che sulla fluidità e sulla narrazione.
Se ti interessa vedere qualche esempio di emaki, alcune opere sono ammirabili in formato digitale sul sito del National Treasures and Important Cultural Properties of National Institutes for Cultural Heritage.