“C’è solo una certezza nella vita: la morte”.
Chi non ha mai sentito o pronunciato questa tetra sentenza almeno una volta? Ma la se la morte è certa allora cosa c’è dopo di essa? Questa domanda ha da sempre tormentato la mente degli uomini e stimolato l’immaginazione di poeti, scrittori, filosofi, religiosi e artisti di ogni genere.
Ogni popolo, infatti, in qualsiasi momento e luogo della storia, ha sviluppato una propria concezione della vita ultraterrena e se alcune caratteristiche di fondo rimangono invariate (ad esempio la presenza di mondi distinti per buoni e cattivi), altre invece variano in base al luogo e al tempo in cui sono state concepite.
Da questa atavica curiosità nei confronti dell’aldilà è nato il Libro del Cielo e dell’Inferno curato da Jorge Luis Borges in collaborazione con l’amico Adolfo Bioy Casares. Non è certo il libro più conosciuto del celebre autore argentino, ma si tratta comunque di un’opera estremamente intrigante e affascinante che indaga il modo in cui gli esseri umani di ogni tempo e luogo hanno concepito i loro inferni e paradisi.
Senza ulteriore indugio, scopriamo insieme di cosa si tratta!
Il Libro del Cielo e dell’Inferno: Storia e trama
Inizialmente progettata per essere un’antologia scientifica, Borges e Casares, entrambi grandi traduttori oltre che scrittori, pubblicano nel 1960 una raccolta di brani che definiscono nel prologo “vivace, onirica e assurda”.
Il Libro del Cielo e dell’Inferno si presenta, infatti, come un insieme apparentemente disordinato di brani di diversa natura che comprendono testi sacri e tradizionali di diverse religioni (il Corano, la Bibbia, i Veda orientali), resoconti di mistici e visionari (fra tutti il mistico Swedenborg, ma anche santi e teologi cristiani, musulmani e buddhisti), speculazioni filosofiche, fino ad arrivare a poesie o brani di scrittori di ogni tempo e luogo (Milton, Twain, Stevenson, Hugo e molti altri, compreso lo stesso Borges).
Non si tratta, però, di una semplice raccolta di testi antichi e moderni, tradotti e poi inseriti a caso nell’opera. I due autori, infatti, hanno spesso adattato e rielaborato i testi che traducevano proponendo qualcosa di veramente unico nel suo genere.
Entriamo più nel dettaglio e vediamo alcune delle tematiche, dei popoli e dei periodi storici toccati da Borges.
Cielo e Inferno: immagini dal Passato
L’intento di Borges e Casares, non era quello di creare un’opera filosoficamente accurata sui concetti di Cielo e Inferno. Attraverso queste pagine, infatti, ci si rende conto del fatto che Borges abbia prediletto i racconti meno conosciuti, più elaborati, artificiosi, in parole povere più…letterari.
Non poteva mancare, dunque, tra i tanti capitoli rivolti al mondo greco e romano, il famoso Mito di Er (Platone), una sorta di viaggio dantesco ante litteram. Er, infatti, racconta di aver visto nell’aldilà le anime raccogliersi presso quattro immense voragini: due in cielo dove venivano premiati i giusti e due sottoterra, dove venivano cacciati i malvagi. Qui le anime trascorrevano mille anime ricevendo punizioni (o premi) dieci volte più grandi delle azioni (buone o malvagie che fossero) che avevano commesso in vita. Al termine di questo periodo le anime si presentavano dinanzi alle tre Moire, o Parche, le dee del Destino, che affidavano loro un nuovo destino con cui fare ritorno nel mondo dei vivi dopo che le acque del fiume Lete avevano cancellato ogni ricordo delle vite passate.
Altrettanto suggestiva è la rappresentazione dell’oltretomba egizio ripartito, secondo le fonti di Borges, su tre livelli: le anime dei defunti dopo la morte dimoravano nei campi di Iaru e nei campi delle offerte (una trasposizione celeste della campagna egizia) fatti di fiumi scintillanti e terre fertili da coltivare. L’oltretomba vero e proprio era, invece, il Duat in cui le anime potevano finalmente salire sulla barca del dio Sole. A questa sorta di Paradiso potevano accedere solo coloro che avevano superato la prova della “pesatura del cuore”: se il proprio cuore pesava quanto una piuma, simbolo di giustizia, l’anima poteva accedere al regno dei morti, altrimenti veniva divorata da una divinità infernale.
Tra le altre culture più antiche passate in rassegna da Borges, voglio segnalarvi infine la descrizione del Valhalla, definito da Borges “Il cielo bellicoso” per la sua assoluta unicità. Nessun altro popolo, infatti, aveva concepito (né concepirà in seguito) il Paradiso come un mondo in cui le anime sono costrette a combattersi, giorno dopo giorno, in eterno! Eccovi un piccolo estratto:
Nei canti dell’Edda maggiore si trovano ripetuti riferimenti al Valhalla (Valhöll), il paradiso di Odino. […] una casa d’oro; spade e non lampade lo illuminano; è il luogo destinato ai guerrieri morti in battaglia; ogni mattina si armano, combattono, si uccidono e rinascono; quindi si ubriacano di idromele e mangiano la carne di un cinghiale immortale.
Luoghi reali o dimensioni dell’Anima?
Cielo e inferno reali e tangibili, tuttavia, si alternano a raffigurazioni (decisamente più moderne) di paradisi e inferni più intimi, personali che denunciano l’assoluta vanità del concetto troppo spesso dogmatico dell’aldilà.
Ne è un esempio il capitolo intitolato significativamente “Il Fallimento di due eternità” che riporta un estratto di un’opera dell’irriverente autore inglese Samuel Butler. Secondo la sua visione dell’aldilà, i dannati della mitologia greca dopo un po’ si abituano alle loro pene a tal punto da trovarle addirittura divertenti. Così immagina di vedere Sisifo ridere mentre il masso, che secondo il mito era costretto spingere in eterno su per un monte, rotolava giù e investiva qualche anima errante; o ancora Archimede, l’inventore greco, che sfrutta il moto perenne del masso di Sisifo per illuminare con l’elettricità l’Ade intero. Stessa sorte tocca anche ai beati dell’Olimpo che si stancano dei loro premi, come Ercole che non sopporta più Ebe, la sua sposa celeste.
il criminale, quando la morte lo tocca sulla spalla e lo sveglia, si ritrova disperato nel carcere che il suo misfatto, strisciando dietro di lui, ha eretto. […] L’assassino sbiancherebbe se vedesse la sua vittima: è lui. […] Ogni malvagio genera, morendo, il mostro che la sua vita ha plasmato.
In tutto questo marasma di pensieri e di concezioni tanto diverse viene da chiedersi quale sia il senso di quest’opera.
Innanzitutto quello di qualsiasi opera letteraria: intrattenere. È per questo che Borges seleziona le opere più fantasiose, i brani maggiormente ricchi di immagini, le descrizioni più strane, grottesche e artificiose di quello che doveva essere l’aldilà.
Ma c’è dell’altro. Attraverso l’alternarsi apparentemente caotico di testi letterari, filosofici e dogmatici, Borges invita il lettore a riflettere sull’assurda e illogica razionalità con cui nei secoli l’uomo ha cercato di rappresentare l’oltretomba, impossibile da comprendere davvero per i vivi.
Tutto ciò che si può fare, in fondo, è godersi il presente e ciò che esso offre.
Ho deciso quindi di lasciarvi con un piccolo estratto di una meravigliosa poesia dello stesso Borges, inserita strategicamente a metà di questa antologia:
All’Inferno di Dio non serve il fuoco
e il suo splendore. Quando suoneranno
le trombe del Giudizio Universale […]
gli occhi non vedranno i nove cerchi
della montagna inversa […]
Non sarà un labirinto odiato di straziante
fuoco o di triplice ferro a punire
le sbalordite anime dei reprobi. […]
E né ha in serbo la fine degli anni
un remoto giardino. […]
Nel cristallo di un sogno ho indovinato
l’Inferno e il Cielo che ci son promessi:
quando le ultime trombe suoneranno […]
i colori e le linee del passato
disegneranno un volto nella tenebra,
dormiente, inalterabile, fedele
(quello della tua amata forse o il tuo)
e la contemplazione di quel volto
immediato, incessante, incorruttibile,
puro, sarà per i reprobi Inferno,
sarà per i prescelti Paradiso.