Oggi, per la rubrica Sport in Book, ho deciso di parlare di Alex Schwazer. Nato a Vipiteno, classe 1984, è stato l’atleta più giovane nella storia delle Olimpiadi a vincere l’oro nella 50 km di marcia, a Pechino 2008. Nel suo palmarès, due bronzi ai Mondiali, un oro agli Europei e nove titoli italiani.
La sua storia di vincite potrebbe concludersi qui e invece la sua carriera è stata compromessa dalla pratica del doping, che ha cancellato i suoi sogni di gloria. Tuttavia, ci sono ancora dei punti oscuri riguardo a quello che è successo e Schwazer cerca di parlare apertamente al pubblico attraverso la serie, prodotta da Indigo Stories, che potrai trovare su Netflix.
Il caso Alex Schwazer: il diavolo e l’acqua santa
Per un attimo oggi vorrei scrivere non del personaggio attorno ad Alex Schwazer ma dell’uomo e del bambino che è stato, oltre la gogna mediatica, oltre la sua medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino, oltre al suo fidanzamento con Carolina Kostner.
Ho avuto modo di leggere sia il suo libro (Dopo il traguardo) sia di vedere la serie Netflix -composta da 4 puntate intense – in cui bisogna cambiare prospettiva e analizzare quello che si cela intorno al crollo emotivo e psicologico e al percorso deviato che porta questo ragazzo al doping.
Premetto che non voglio utilizzare questo articolo per difendere nessuno ma semplicemente per esprimere le sensazioni e quello che è apparso ai miei occhi ascoltando e leggendo la storia di Alex. Credo che questo atleta abbia sicuramente un talento innato per lo sport e l’amore per la fatica è qualcosa che nasce in lui sin da bambino; quella voglia di camminare, di affrontare le salite della montagna, di perdersi nella natura per entrare in contatto con essa e testare la propria resistenza.
Ben lontano dalle generazioni di oggi, più sdraiate e decisamente più comode. Alex è un bambino che vuole dimostrare a sé stesso, ai genitori e agli altri che è vincente e, dopo aver provato vari sport, tra cui hockey, ciclismo e atletica sente che la marcia è quella che lo contraddistingue dagli altri. Uno sport in cui è necessario seguire delle regole ferree ma questo non fa demordere il ragazzo che da solo affronta mille ostacoli e arriva finalmente alla sua Olimpiade.
Per arrivare qui Schwazer molto probabilmente brucia le tappe: è ancora molto giovane e non comprende fino in fondo cosa significherà il dopo Olimpiade e quello che dovrà affrontare successivamente. Tutto quel peso lo schiaccerà a tal punto che cercherà la via apparentemente più semplice, quella del doping: più facile vivere così.
Il pianto liberatorio, per molti apparso come sceneggiata, difficilmente arriva da un atleta dopato per anni: quello sfogo è segno di un profondo buio fatto di depressione e stanchezza vitale che hanno colpito un uomo che forse doveva dimostrare più agli altri che a se stesso.
La sinossi di Dopo il traguardo di Alex Schwazer
Alex Schwazer diventa un campione da giovane, forse troppo giovane: “Il mio vocabolario comprendeva solo due parole, allenamento e riposo. Non avevo un colore preferito o un piatto preferito. Non avevo un passatempo, una passione o un obiettivo che non fossero la marcia”. Alle Olimpiadi di Pechino del 2008 sale sul podio più alto nella 50 km di marcia.
È il coronamento di un sogno. Ha solo ventitré anni. Ma quel trionfo complica tutto. È come la kryptonite, per lui. Si logora. Sempre più solo, e in preda alla depressione, va in Turchia e acquista l’eritropoietina, un ormone proibito. A poche settimane dalle Olimpiadi del 2012 arriva il controllo, e risulta positivo. Niente Londra. Niente più sport, forse. Una punizione esemplare.
Ma è proprio allora che torna la febbre che sta prima e dopo ogni traguardo, il futuro che si tende nell’aria: “Quando ho toccato il fondo, mi sono chiesto come mi fossi cacciato in quella situazione. Quel giorno ha segnato la rinascita dell’uomo che avevo dentro e che da tanto tempo non trovava spazio per uscire. Quel giorno ho capito di essere in un labirinto immenso e apparentemente senza via d’uscita, nel quale brancolavo da anni. Un labirinto nel quale avevo perso tutto.
La persona che ero, la mia fidanzata, la credibilità, la dignità. Solo ora ne sono uscito. Sono sopravvissuto a un’imboscata, una macchinazione subdola e crudele che in altri momenti mi avrebbe annientato. Ancora oggi, a distanza di cinque anni, non so come ho fatto a mantenere l’equilibrio. Questa è la storia che voglio raccontare”. Dopo l’archiviazione del secondo procedimento penale per doping “per non aver commesso il fatto”, Alex Schwazer vuole tornare a gareggiare. La sua è una storia di cadute e di redenzioni, di rinunce e di rinascite.
«Questo libro è un resoconto sincero, schietto, fedele di ciò che mi è capitato. Non è la confessione di un diavolo e neppure l’apologia di un angelo. Chi vuole leggere la biografia di un uomo senza peccati ne deve scegliere un’altra, non la mia.
Io spero che i giovani mi seguano nel senso di non fare quello che ho fatto io. Non vale la pena di mettere tutto in gioco per un trionfo. La vita è fatta di tante cose, famiglia, amici: giocarsi tutto come ho fatto io non ha senso. A Pechino ho vinto perché ero sereno ed è quella la chiave di tutto.