Ahamad il ballerino siriano che ha rischiato tutto per mantenere vivo il suo sogno
Il personaggio di cui ti voglio parlare questa settimana, mi ha colpita, cosi come mi colpiscono tutte quelle storie che parlano di verità, sacrifici, sogni, per i quali si farebbe qualsiasi cosa. Nell’immaginario collettivo, la danza classica è, in qualche modo, legata all’immagine femminile e di esempi, soprattutto, in Italia ne abbiamo tanti, non fa eccezione la componente maschile che, qià da qualche anno, ha assunto un importanza rilevante, basta pensare a Roberto Bolle e alla sua valenza interplanetaria che forse solo Nureyev ha eguagliato.
I molti la considerano un’arte, un concetto che condivido, se visto come l’espressione verbale del corpo, la capacità di comunicare attraverso sguardi e gesti, donando di se la parte migliore. Importante decantarla come tale, ma non è per tutti, sia chiaro. I sacrifici per “pensare”di poter raggiungere questo sogno sono innumerevoli, i criteri da seguire e le regole da rispettare sono severe, il talento è praticamente indispensabile e se poi hai anche una inesauribile voglia di andare avanti e di non mollare mai, allora la speranza di diventare qualcuno, non è poi cosi lontana. L importante è condividere il percorso con chi, in te ripone la sua fiducia.
Per Ahmad ballare è una sfida; si fa tatuare la scritta” Danza o muori” sul collo, nello stesso punto in cui l’ISIS usa decapitare le sue vittime, continua a danzare di nascosto, un gesto che, scoperto, paga con dolorose bastonate sulle gambe da parte del padre, ben lontano dalla mentalità occidentale e democratica in cui il libero arbitrio è una realtà quotidiana, un atteggiamento non condiviso dalla moglie che in seguito lo lascerà per aiutare il figlio a inseguire il suo destino. In Siria, tuttavia, di radicato, oltre alle indiscutibili regole legate al Corano, esiste la guerra, quella che ti lacera dentro, che distrugge, che ti costringe a guardarla ogni giorno, ogni volta che una casa esplode, o qualcuno rimane ucciso sotto le sue macerie, ma il giovane ballerino, si impegna per aiutare i bambini a dimenticare la guerra, insegnando loro a ballare.
Quando Palmira viene bombardata dagli Jahdisti, il giovane continua ad allenarsi sui tetti della sua casa, usando i muri come sbarra, l’unica possibilità per esprimere il dolore per la perdita dei suoi cari, per la distruzione della sua casa, per gli amici decapitati sotto i suoi occhi. La sua è una danza di libertà, di riscatto, la via per dimenticare le esperienze e le atrocità vissute. Nel 2014 partecipa alla versione araba di So You Think You Can Dance, arrivando in semifinale senza però avere la possibilità di vincere in assenza di identità nazionale. Tra il pubblico il giornalista regista olandese Roozbeh Kaboly, che, attratto dalla sua storia, ne ha fatto un documentario distribuito in Olanda.
La danza è la mia vita, non ha confini, non ha bisogno di passaporti, non conosce nazionalità: la danza è umanità”ci dice Ahamad
“Ognuno di noi esiste perché ha uno scopo nella vita e deve viverlo appieno. Se non riesci a viverlo, allora lotta per poter diventare chi sei veramente. Il tatuaggio dimostra questo: sono pronto a dare la mia vita pur di diventare quello che voglio essere”.