Caro Lettore per il nostro “Spazio ai classici” ti propongo
Le novelle rusticane di Giovanni Verga.
Queste novelle furono pubblicate da Verga nel dicembre del 1882 e comprendono 12 racconti che hanno come oggetto il mondo contadino siciliano e più precisamente catanese.
Io sono pugliese, ma dopo Roma, che è per me la città del cuore, Catania è la mia città dell’anima.
Ho vissuto lì per qualche mese ed è stato un periodo meraviglioso. Catania, Aci Trezza, Aci Castello, i paesini alle pendici dell’Etna mi hanno affascinata così tanto che spesso sento nostalgia di quell’atmosfera incantata che mi regalavano questi luoghi.
Non parliamo poi del cibo: la granita con la brioche è indimenticabile!.
Proprio in questi giorni ho ritrovato a casa una vecchia edizione delle Novelle rusticane e ne ho rilette alcune: come Libertà, Gli orfani, La roba.
La lettura mi ha fatto calare in questo mondo contadino, nei suoi conflitti interni e tra diverse classi sociali. I personaggi del Verga sono così fortemente caratterizzati da essere inconfondibili.
Molte novelle sono ambientate nel 1860, l’anno dell’impresa dei Mille e dell’Unità d’Italia, quando ogni speranza di ritorno all’antica civiltà contadina è ormai perduta e Verga racconta proprio con amara ironia la presa di coscienza di un cambiamento che vede le leggi dell’economia e dell’egoismo, alla base della società industriale, prevaricare sui valori del mondo agricolo.
La caratteristica di queste novelle è che la realtà è rappresentata in modo oggettivo, senza commenti o interpretazioni facendo emergere i fatti, così come lo vive il o i protagonista/i.
L’autore, infatti, non interviene nella narrazione delle vicende ma “entra” nei protagonisti: per questo le novelle risultano come un continuo dialogo dei personaggi.
Questo espediente aiuta ad entrare ancora di più nelle loro vite, osservare più da vicino la condizione in cui vivono per trarne la consapevolezza dell’impossibilità che la loro vita possa cambiare in meglio.
Verga ci regala delle istantanee su quel mondo che appunto non ha bisogno di commenti.
Da Gli orfani:
“…Comare Sidora gli diede sulla voce:
– Pensate a coloro che sono più disgraziati di voi, pensate!
– Non ce ne sono, ve lo dico io! Non la trovo un’altra moglie come quella! Non potrò scordarmela mai più, se torno a maritarmi dieci volte! E neppure questa povera orfanella se la scorderà.
– Calmatevi, ché ve la scorderete. E anche la bambina se la scorderà. Non se l’è scordata la sua madre vera? Guardate invece la vicina Angela, ora che le muore l’asino! e non possiede altro! Quella sì che dovrà pensarci sempre! -…”
Da La roba:
“…- Lo vedete quel che mangio io? – rispondeva lui, – pane e cipolla! e sì che ho i magazzini pieni zeppi, e sono il padrone di tutta questa roba -. E se gli domandavano un pugno di fave, di tutta quella roba, ei diceva: – Che, vi pare che l’abbia rubata? Non sapete quanto costano per seminarle, e zapparle, e raccoglierle? – E se gli domandavano un soldo rispondeva che non l’aveva.
E non l’aveva davvero. Ché in tasca non teneva mai 12 tarì, tanti ce ne volevano per far fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava ed usciva come un fiume dalla sua casa.
Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di terra; perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio del re, ché il re non può ne venderla, né dire ch’è sua.
Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste ancora, dovete lasciarla!…”
Da Libertà:
“… E come l’ombra s’impiccioliva lentamente sul sagrato, la folla si ammassava tutta in un canto. Fra due casucce della piazza, in fondo ad una stradicciola che scendeva a precipizio, si vedevano i campi giallastri nella pianura, i boschi cupi sui fianchi dell’Etna. Ora dovevano spartirsi quei boschi e quei campi.
Ciascuno fra sé calcolava colle dita quello che gli sarebbe toccato di sua parte, e guardava in cagnesco il vicino. – Libertà voleva dire che doveva essercene per tutti! – Quel Nino Bestia, e quel Ramurazzo, avrebbero preteso di continuare le prepotenze dei cappelli! – Se non c’era più il perito per misurare la terra, e il notaio per metterla sulla carta, ognuno avrebbe fatto a riffa e a raffa! – E se tu ti mangi la tua parte all’osteria, dopo bisogna tornare a spartire da capo? – Ladro tu e ladro io -. Ora che c’era la libertà, chi voleva mangiare per due avrebbe avuto la sua festa come quella dei galantuomini! – Il taglialegna brandiva in aria la mano quasi ci avesse ancora la scure….”
Come sempre buona lettura!