Quest’oggi voglio parlarvi di uno degli scrittori più eclettici del Novecento. Il suo nome è Ettore Schmitz ma tutti lo ricorderanno con lo pseudonimo di Italo Svevo.
Nato in Italia, educato in Germania e con la mente aperta al resto dell’Europa, nei libri di scuola Svevo è citato spesso come l’autore che ha portato Freud e le sue teorie in Italia attraverso quello che è il suo romanzo più conosciuto: La Coscienza di Zeno.
Ma questo, in verità, è soltanto l’ultimo dei suoi romanzi cui si aggiungono anche racconti, commedie, saggi, lettere e persino poesie. Sin da piccolissimo, infatti, sentiva la necessità di scrivere, di raccontare al mondo qualcosa. Ma la vita, come spesso accade, non gliel’ha permesso e per lungo tempo, a causa anche delle pressioni familiari, è stato costretto a concentrarsi sul suo lavoro di impiegato più che sulla vocazione di letterato.
Ho deciso quindi di parlarvi di uno dei generi cui Italo Svevo si dedicò più a lungo e che ha dato risultati assai interessanti: il Teatro!
Le Commedie scritte da Svevo coprono un arco cronologico veramente vasto. Si può dire che non abbia mai smesso di scrivere copioni teatrali anche se nessuno di questi (tranne uno) fu mai pubblicato né tantomeno messo in scena mentre era in vita. Del resto queste operette (alcune sono lunghe soltanto qualche pagina, di altre se ne conserva solo un monologo e solo poche possiedono più di un atto) non erano pensate per poter essere “viste” ma soltanto “lette”.
Se si escludono i frammenti e le opere lasciate incompiute si conservano oggi ben tredici Commedie. Ne ho scelte tre che, a mio avviso, risultano particolarmente interessanti per conoscere meglio non lo scrittore Italo Svevo che si studia a scuola, ma l’Ettore Schmitz che vi sta dietro.
Una commedia inedita – il sogno incerto di Italo Svevo
La prima è intitolata Una Commedia inedita ed è una delle prime scritte da Italo Svevo, probabilmente a fine Ottocento.
La trama è piuttosto semplice: Il Signor Penini, un uomo d’affari sta per trasferirsi a Venezia con la moglie Elena che, tuttavia, non vuole lasciare la città. Il motivo, potrebbe essere Adolfo, un letterato da quattro soldi che le fa una corte spietata solo per ricevere dalla donna qualche apprezzamento per un’opera appena conclusa.
La commedia non è certo un capolavoro: vi si trovano personaggi stereotipati (il marito noioso, la moglie insoddisfatta, l’amante ingenuo) gettati in situazioni comiche banali e scontate (l’incontro clandestino tra i due amanti e c’è anche il marito che si nasconde nell’armadio!).
Tutto ciò denuncia sicuramente l’inesperienza di Svevo nel mondo del teatro ma dalle battute di Adolfo è possibile apprendere
Io lavoro, penso, e non ho nessuno che a questi miei lavori, pensieri, prenda parte. Io con orrore mi avvio alla carriera che mi sono scelta!
In queste parole si riflette la frustrazione di Italo Svevo che non riesce ad affermarsi come letterato. E nonostante tutto, continua a scrivere nella tormentata convinzione che, un giorno potrà anche lui avere un pubblico che “prenda parte” al suo lavoro.
La Verità – l’elogio paradossale della “menzogna”
La Verità è stata scritta da Svevo probabilmente agli inizi del Novecento. I critici la definiscono una commedia di transizione da una fase giovanile ad una più matura. Anche la trama è decisamente più elaborata.
Silvio è stato colto in flagrante dalla moglie Fanny mentre la tradiva. Per cercare di convincerla della sua innocenza si farà aiutare dal cognato Alfonso e da sua moglie Emilia e grazie a loro ma soprattutto alla sua dote di bugiardo patentato riuscirà ad imporre alla moglie la sua verità.
Qui Italo Svevo sembra aver superato le difficoltà iniziali: le scene comiche sono decisamente meglio costruite come quelle che coinvolgono il servitore di Silvio che, immancabilmente, sbaglia ad interpretare ogni segnale convenuto con il padrone, o come quella centrale dell’intera commedia in cui Silvio riesce rocambolescamente a convincere la moglie di essersi accasciato per caso nel letto dell’amante!
Quest’opera, però, nasconde anche l’intimo e personale elogio di Svevo per la letteratura. A trionfare è Silvio, autodefinitosi anche lui un letterato, che riesce a far credere alla moglie di essere innocente. In fondo non è forse la letteratura stessa una menzogna, un’invenzione con cui raccontare una propria verità?
Un Marito – dalla commedia alla tragedia della realtà
Federico è un avvocato assolto dopo aver assassinato Clara, la prima moglie infedele. Risposatosi con Bice la storia sembra ripetersi. La seconda moglie, infatti, stanca dell’ombra di Clara che non smette di ossessionare il marito decide di suscitarne la gelosia seducendo l’amico di famiglia Paolo Mansi. Federico scopre il tradimento ed è pronto ad uccidere anche Bice per riaffermare il suo onore ma le cose non sono così semplici…
La particolarità di questa “commedia” è che…non accade nulla! È tutto già successo e nulla di ciò che dovrebbe avere luogo si verifica davvero. I veri protagonisti qui non sono Federico o Bice ma i loro sentimenti, le loro colpe, il loro odio e la loro passione che, come fantasmi, si risvegliano e prendono corpo conquistandosi il palco con forza brutale come fossero attori veri che si muovono sulla scena.
Come in gran parte della letteratura novecentesca, le etichette perdono valore, le maschere cadono e denunciano le meschinità della realtà. E così Federico, il violento e brutale assassino si rivela un uomo debole ed inetto, roso dai sensi di colpa e desideroso solo di essere sostenuto nuovamente da qualcuno; e Bice, la spietata e sadica donna pronta a suscitare la gelosia del marito violento non è che alla ricerca di qualcuno che l’ami, non importa in che modo, se nella maniera violenta di un assassino o in quella patetica di un fratello.
E qui trionfa l’amara consapevolezza che Svevo condivide con i grandi scrittori del Novecento. La vita non è altro che un susseguirsi di maschere che indossiamo nell’estenuante ed infruttuoso tentativo di nascondere a noi stessi e agli altri chi siamo davvero…