Il libro-memoria di Primo Levi, La tregua, è stato premiato il 3 settembre con il Campiello dei Campielli. Non è un semplice libro, ma un racconto crudo che descrive le esperienze dell’autore dall’abbandono di Auschwitz (Monowitz) da parte dei tedeschi con l’arrivo dell’Armata Rossa sovietica. Racconta il lungo viaggio del deportato ebreo per ritornare in Italia, nella città natale di Torino, con mesi di spostamenti nell’Europa centro-orientale. La sua testimonianza rappresenta quella dei milioni di sfollati al termine della Seconda Guerra Mondiale, in grandissima parte ex detenuti del Reich tedesco, sia lavoratori coatti che sopravvissuti ai campi di concentramento.
La tregua di Primo Levi: dentro una tragedia che non deve ripetersi
La tregua è composto da 17 capitoli di media lunghezza, tutti più o meno simili in dimensioni, ed è introdotto da una poesia che ha molta importanza nel contesto dell’opera. Innanzi tutto essa è stata scritta l’11 gennaio 1946 cioè il giorno dopo di Shemà che fa da introduzione a Se questo è un uomo.
Prima di allontanarsi dal Lager, Levi lascia inciso sulla pagina l’emblema più straziante del dolore: Hurbinek, il bambino di tre anni nato ad Auschwitz, che non ha mai visto un albero e che ripete un’unica parola incomprensibile, vittima innocente e testimone assoluto di cui nessuno saprà comprendere il linguaggio. Di qui in poi comincia il viaggio, l’interminabile percorso attraverso l’Europa sconvolta dalla guerra. Vedremo la concitazione più frenetica alternarsi alla stasi più snervante, e incontreremo lungo il percorso figure indimenticabili. Due personaggi spiccano su tutti: il greco Mordo Nahum e il romano Cesare. Il Greco è l’uomo dal multiforme ingegno (commerciale, innanzitutto), capace di sopravvivere in ogni frangente avendo capito che «guerra è sempre». Cesare è il grande amico di Primo, dotato di vitalità e astuzia senza fine, ma anche della tendenza a cacciarsi in situazioni assurde tirandosene fuori con pensate sbalorditive. Primo gli fa da spalla nell’episodio più divertente del libro, la trattativa a gesti per l’acquisto di una gallina in un villaggio di contadine russe.
Primo Levi è il personaggio che racconta: un essere umano magro, schivo, attentissimo e ironico, avido di cibo e di storie. Levi è un grande osservatore e ritrattista di uomini, luoghi, animali, oggetti. Il suo stile è una tenaglia, che stringe il massimo dell’espressività in una morsa di concisione; l’attrattiva morale della Tregua consiste in questo modo distaccato e insieme solidale di partecipare alle vicende dei propri simili.
La poesia
La Tregua
Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve sommesso
Il comando dell’alba;
«Wstawać»;
E si spezzava in petto il cuore.
Ora abbiamo ritrovato la casa,
il nostro ventre è sazio.
Abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
«Wstawać».
Il tema della poesia è la paura che il lager aveva trasmesso ai prigionieri ebrei: paura della morte, paura della fame, paura del freddo, paura dei nazisti. Questa paura veniva trasmessa nel corpo e nei sogni dei prigionieri. I prigionieri sognano di mangiare, poiché non mangiano quasi niente, sognano di tornare a casa, sognano di raccontare agli altri la loro terrificante e atroce esperienza nel lager. Era un modo di esorcizzare la paura.
Mentre la prima strofa ricostruisce e rievoca la vita del lager, nella seconda strofa Levi descrive la ritrovata pace della casa, afferma che il ventre è sazio e che ha finito di raccontare agli altri la sua terribile storia. È tempo di riprendere il lavoro della vita civile, ma sa che ben presto ritornerà la paura del ricordare ancora il comando dell’Alba “Wstawać” che all’alba toglieva la gioia del sonno. Solo quando passerà la paura del comando dell’alba solo allora il cuore di Levi non si spezzerà più.
Nella ultima pagina del libro, Levi accenna anche ad un’altra abitudine che lo abbandonerà molto tempo dopo:
Ma solo dopo molti mesi svanì in me l’abitudine di camminare con lo sguardo fisso al suolo, come per cercarvi qualcosa da mangiare o da intascare presto e vendere per pane; e non ha cessato di visitarmi, ad intervalli ora fitti, ora radi, un sogno pieno di spavento
Per chi ha subito le torture, le aberrazioni, le privazioni dei lager, non c’è modo di dimenticare, neppure al caldo, tra gli affetti, con il ventre sazio. Chi ha visto e subito l’orrore, chi ha conosciuto il lato oscuro, disumano, impietoso dell’animo umano, sa che non c’è tregua che tenga, che guerra è sempre, che finito il racconto si ricomincerà a sentire il grido nemico. L’unico modo per prolungare la tregua è continuare a ricordare.