Ma facciamo un passo indietro.
Perché usare uno pseudonimo?
Ci sono davvero tanti motivi per farlo, e sono dei più disparati.
Le autrici di cui ti ho parlato poco fa l’hanno fatto soprattutto perché nella loro epoca le opere scritte da donne venivano prese poco – o per nulla – in considerazione. Questo fatto non è nuovo neanche a noi, purtroppo, come ha raccontato anche J. K. Rowling in molte interviste. Ma ci sono anche scrittori che, in questi anni, pubblicano
Questione di moda, di necessità, di marketing o di privacy?
Inizia così un viaggio nei libri scritti da autrici e autori che si sono firmati – o che si firmano, perché tratteremo anche di scrittrici e scrittori dei nostri giorni – con uno pseudonimo. Non seguirò un ordine cronologico o di motivazione, e neanche uno di fama o grandezza. Sarà un viaggio di scoperta, un periplo di libro in libro, di autrice in autore.
Pitti Duchamp: com’è nato il suo pseudonimo?
Ciao Pitti, veniamo subito al dunque, come mai hai scelto di utilizzare uno pseudonimo?
Uh… la cosa non mi fa molto onore a dire la verità ma siccome siamo tra amici ve lo dico. Rimanga fra noi.
Per vergogna. Quando ho pubblicato il mio primissimo libro in self, (non avevo la minima idea di cosa significasse scrivere un libro pronto per essere letto: avevo scritto molte pagine e la trama aveva un senso, ma da lì a fare un buon lavoro ce ne correva!) la mia più grande paura è stata quella di essere giudicata da persone che potevo conoscere. Essere derisa da gente che, leggendomi, avrebbe potuto considerarmi ridicola, incapace o magari troppo ambiziosa per le mie capacità. Avevo paura che scrivere libri d’amore intaccasse la mia immagine, quella che offro ogni giorno alle persone con cui ho contatti e intreccio rapporti di vario tipo.
Ci ho messo anni ad accettare di essere giudicata per quello che scrivo: non sono le critiche o le recensioni malevole che mi fanno male. Piuttosto temo l’aria di superiorità di chi mi potrebbe guardare e chiamare patetica. Successe una volta che la mamma di un bimbo che va a scuola con mia figlia mi intercettò una mattina dicendomi: ho letto un libro stratosferico! Devi leggerlo, si intitola ‘Il pugnale e la perla nera’. L’autrice è una tale Pitti Duchamp… eh… una tale…
Da allora mi faccio molti meno problemi.
E come l’hai scelto?
Dunque, avevo ventisei anni, stavo frequentando il mio primo workshop di burlesque, una passione che mi ha accompagnata per diversi anni insieme a quella per gli oggetti e gli abiti vintage. In quel frangente, mi distinsi subito per la mia toscanità: non so perché, alla fine quando siamo tra persone provenienti da altre regioni noi toscani ci distinguiamo sempre per qualche tratto. Ricordo che all’epoca avevo una specie di mania per Edith Piaf e siccome parlavo molto bene il francese, adattai ‘La vie en rose’ a una performance in cui mi sfilavo un abito di seta lunghissimo.
Da morire dal ridere. Proprio da queste due caratteristiche venne fuori il mio nom de plume: Pitti, come Palazzo Pitti. Duchamp come la piazza Del Campo di Siena, ma convertito in francese.
Hai mai pensato di utilizzare un giorno il tuo vero nome per firmare le tue opere?
Sì, ci sto pensando. In particolare ho un progetto molto importante, su cui ho lavorato due anni, che mi piacerebbe firmare con il mio vero nome. Non sono ancora sicura, dipenderà molto dalla strada editoriale che prenderà il libro. Vi farò sapere!
Ringraziando Pitti Duchamp per essersi confidata con noi, ti lascio alcuni riferimenti per conoscere meglio lei e i suoi libri. Ecco qui la sua intervista per la nostra rubrica Sogni di carta, e le recensioni ad alcuni dei suoi libri: Lettere del cuore, Il pugnale e la perla nera, Arabesco, Lupo di primavera, e il romance contemporaneo Il Farabutto e la Sgualdrina.