Tommaso Fusari e Quello che non siamo diventati
In una Milano soffocata dal sole ci troviamo allo store Mondadori di piazza Duomo e abbiamo l’onore di chiacchierare amichevolmente con Tommaso Fusari. Schivo, gentile e nervoso per l’uscita del suo secondo libro Quello che non siamo diventati ci concede un po’ del suo tempo.
Ciao Tommaso, iniziamo dalla prima cosa che attrae il lettore: la cover del libro
Le copertine dei tuoi libri, le scegli tu, le sceglie qualcun altro o le scegliete insieme?
Alla base c’è una progettazione di cui si occupa Simona, che è molto allineata sui miei pensieri e sulla mia idea della storia, e cerca di dare poi ai grafici delle indicazioni su quei tratti, “voglio una cosa che trasmetta questo, questo e questo”.
La tazzina rotta cosa trasmette?
La Tazzina è la quotidianità, è un rapporto che non riesce a ricomporsi, l’elastico il tentativo di tenerlo insieme come si può e i cocci sotto sono tutte le cose non dette, i silenzi accumulati durante gli anni, che danno a questa tazza, già rotta, un senso di instabilità.
Questa copertina è stata “un colpo, una tacca” (?), nel momento in cui mi è stata presentata ho detto “bella, era proprio quella che volevo”, anche perché rispetto alla copertina del primo (Tempi duri per i romantici), la prima cosa che io personalmente ho notato, ma che stanno notando anche gli altri, è che dava l’impressione di un libro un po’ più adulto. Bella questa cosa, perché anche io credo in due anni di aver avuto un piccolo salto in avanti, nella qualità stilistica piuttosto che nelle cose che mi sono lasciato indietro negli anni, in una scrittura un po’ più pulita. Ovviamente questo non vuol dire essere arrivato chissà dove, però io ho visto quel cambiamento mentre scrivevo, e poi mi è stato confermato da chi l’ha letto e dai miei editor, Simona e Francesco.
Stefano nel primo libro in realtà rappresenta molte cose che io vorrei essere, non è esattamente un personaggio autobiografico, possono essere le emozioni che prova, in quello io mi sento completamente rappresentato da Stefano, però mi porto dietro anche delle venature di Sara.
I tuoi personaggi hanno sempre un’evoluzione, uno legge il tuo libro e si ferma a pensare. È questo che vuoi? Che chi legge il tuo libro riesca ad arrivare al tuo personaggio, e quindi a fermarsi a pensare come si ferma lui?
Sì. Nel senso che io cerco di essere il più minuzioso possibile nella descrizione degli stati d’animo, utilizzo un sacco di metafore, perché vorrei che i personaggi venissero inquadrati nell’esatto modo in cui io li ho creati. Magari per l’aspetto estetico no, magari per quanto riguarda l’aspetto estetico mi soffermo su dei particolari, a parte alcuni personaggi cardine. Alice è in quel modo lì. Però su Michael non mi sono soffermato moltissimo, Michael può essere chiunque, su quello mi piace che ognuno si faccia una sua immagine nella propria testa.
Invece le ambientazioni?
Le ambientazioni sono casa mia in entrambe le storie, ho percorso 230 chilometri a piedi per scrivere questo romanzo. Torino è stata una parentesi molto importante della mia vita, ho trascorso 7/8 mesi lì per via di una relazione e quindi è stato un luogo a cui mi sono voluto aggrappare, perché io volevo raccontare solo luoghi in cui ero stato e vorrei riuscire a farlo sempre, perché altrimenti un po’ di artificiosità si sente quando descrivi dei posti, a meno che non sei veramente un fenomeno della scrittura. Però io credo che ci sia bisogno di raccontare soltanto cose che vengono viste perché c’è bisogno della mattonella, di quella mattonellina lì che sta lì per un motivo, che è stata calpestata da x persone per x motivi, e sono cose che oggettivamente solo se tu stesso calpesti quella mattonella puoi descrivere
Scrivi in silenzio o scrivi con la musica?
Io credevo che scrivere con la musica sarebbe stata una buona idea, ma poi no, così come scrivere sulla scrivania, testa china. Invece ho scoperto la location del letto, in silenzio, o al massimo con la stessa identica canzone in loop, magari la canzone del momento, che ascolto in modalità ripeti, ripeti, ripeti, però soltanto per un capitolo, una scena. Il più delle volte poi ce la metto dentro quella canzone nella storia.
E quindi che canzone abbineresti a questo libro?
A questo libro “La somma” di Mr Rain e Martina Attili, semplicemente perché ha accompagnato la parte finale della stesura, così come per Tempi duri per i romantici fu “Castle on the hill” di Ed Sheeran. E quindi sono diventato automaticamente legato a quella canzone. Poi magari c’è un’altra canzone che è stata protagonista della stesura intera del romanzo, e quindi io mi ritrovo ad avere due canzoni per libro.
E se pensi a un colore per Tempi duri per i romantici?
Rosso, sicuramente
E per Quello che non siamo diventati?
Blu scuro
Grazie Tommaso, a presto
E per te, caro iCrewer altri articoli su questo autore nei prossimi giorni