L’ unica cosa che desidero è la pace…
Mi ricordo che era sera e pioveva a dirotto, di uscire neanche a parlarne, davanti a me, un piccolo settimanale degli incontri culturali, ho cominciato a sfogliarlo e mi sono imbattuta in un trafiletto che parlava di uno scrittore afgano, a Lecce per presentare il suo libro, non sapevo dove, ma di lui avevo già sentito parlare, ho preso l’ombrello e sono uscita. Sono entrata in questo piccolo ma raccolto laboratorio culturale pieno di giovani e già questo mi ha colpito, la presentazione era già iniziata, così mi sono seduta per non disturbare e ho cominciato a prendere qualche appunto con la speranza di poter parlare con lui…
Khalid, questo il nome dello scrittore, nel suo italiano colorato, racconta di se, della sua vita a Kabul, della sua decisione, nonostante tutto, di frequentare l’università, delle donne sue amiche di università costrette a camminare sulle bombe come fossero burattini, senza motivo. Talvolta presi e torturati, dove la parola libertà aveva il sapore della morte. Una vita d’inferno e per continuare a studiare Khalid decide di scappare in Iran. Guardato a vista, per lavorare e guadagnare qualcosa, è costretto a fare fotocopie perchè ad un afgano non era consentito di lavorare ad un certo livello, per mangiare accetta di fare qualsiasi cosa e nonostante le frequenti vessazioni e violenze verbali, continua a studiare. Sarà il padre di Khalid, esponente di rilievo della comunità musulmana a Kabul, ad introdurlo negli ambienti diplomatici della NATO con i quali riuscirà, facendo piccoli lavori, a terminare la sua tesi.
Da quel momento Khalid inizia la sua collaborazione con la Nato come osservatore, i suoi viaggi nell’entroterra del suo paese sono sempre svolti sotto scorta per la presenza continua dei talebani e delle bombe sotterrate ovunque. I ricordi dei ragazzi uccisi negli attentati è vivo nella sua memoria e, nonostante il tempo ormai trascorso, ammette di essere un uomo fortunato dopo aver visto esplodere una bomba che li avrebbe certamente uccisi se la macchina che li seguiva, tra le montagne, per difenderli, non avesse deciso di superarli improvvisamente. Un ricordo ancora vivo nelle parole dello scrittore tanto da sentirne la fatica e l’emozione nel raccontarlo.
Vivere nella paura mi ha aiutato a chiedermi quanto fosse giusto tutto questo, a fortificarmi, a pensare che in qualche modo il mondo islamico stava sbagliando” racconta lo scrittore afgano, e “ho deciso che volevo continuare a vivere per aiutare come potevo la mia gente.”
Khalid scappa in Persia, arriva in Grecia attraversando la Turchia e con un gommone sbarca sulle coste ioniche del Salento ma nessuno vuole comunicare con lui fino al passaggio al campo profughi di Otranto dove chiede asilo politico diventando cittadino italiano.
Tra gli sguardi di curiosità e di ammirazione per il racconto, mi avvicino al Signor Kakar e gli chiedo se vuole parlare con me… lui mi guarda con una dolcezza infinita… senza rispondermi… si siede vicino…
Buonasera signor Kakar, la ringrazio per essere qui con me.
Lei è da 10 anni qui nel Salento, dopo un percorso lungo e difficile, una testimonianza importante con il suo libro “Ho imparato dalle formiche”, ma a lei cosa hanno insegnato le formiche ?
Nel suo percorso fatto di dolore e paura è stato obbligato a fuggire, ma, nel profondo, per lei cosa ha significato andar via dal suo Paese?
E’ un dolore troppo forte e mi mancherà per sempre… Io sono un ingegnere, ho collaborato per due anni con la NATO e con l’ONU e l’unica colpa che avevo era di voler ricostruire il mio Paese. Sono stato minacciato dai fondamentalisti, i Talebani mi hanno lanciato bombe, ferito diverse volte, ho visto morire tanti giovani italiani venuti in Afganistan per lavorare nel campo, per fare la scorta ad ambasciatori e ingegneri come me, sono stato costretto a scappare su una barca. Ho avuto la fortuna di arrivare sulle coste del Salento e qui mi sono stabilito, ora sono un cittadino italiano, vivo con la mia famiglia, in libertà e pace, combatto la mia battaglia per raggiungerla, per eliminare l’odio, fino a quando vivrò non smetterò mai di lottare, è questa la mia strada!
Se potesse prendere delle decisioni, cosa farebbe per il suo Afganistan?
Lo libererei dai Fondamentalisti Talebani, ma affrontarli fisicamente sarebbe un suicidio collettivo, l’unica strada, per me e per tutti quelli come me, profughi o con la nuova cittadinanza è di inviare continuamente messaggi di pace e di libertà attraverso canali ufficiali, bisogna spegnere il fuoco dell’odio per andare verso la luce.
Signor Kakar, lei ora vive qui con noi, libero, ma la gran parte della popolazione, in Afganistan, è ancora “intrappolata”, secondo lei, cosa può fare l’Islam, il musulmano, per il proprio Paese.
Io sono musulmano e il Corano è un libro di pace, purtroppo hanno voluto interpretare male i suoi scritti, ti faccio un esempio, il Corano nelle sue scritture, dice che devo vivere in pace e in comunione con tutti, e non è permesso buttare un goccio di acqua, se è un elemento essenziale per vivere, e cosi è proibito fare cadere una sola goccia di sangue. Il Corano dice che se uccidi una persona allora hai ucciso il mondo e se salvi una persona allora hai salvato anche tutto il resto del mondo, allora mi chiedo, in nome di cosa si continua ad odiare, a combattere, ad uccidere. Io da musulmano, continuerò a lottare per la pace del mio Corano.
Lei vive nel Salento con la sua famiglia, ma ai suoi figli cosa ha trasmesso della sua esperienza?
Io ho vissuto, all’inizio, a Tiggiano che è sempre nel mio cuore per il grande affetto che mi hanno dimostrato, ma vivo a Casarano, sono sposato e ho tre figli. I miei figli non conoscono la guerra, per fortuna, non voglio che loro sappiano che il loro Paese è così pieno di odio, ho insegnato loro che bisogna amare gli altri. Ogni sera, prima di andare a letto, gli racconto le favole e i racconti sulla pace, è questa l’unica cultura che devono conoscere.
So che lei parteciperà alla Marcia della Pace da Perugia ad Assisi, me lo conferma?
Io combatto per questo, la pace è la mia missione su questa terra, verso tutti, verso i miei amici italiani che anche qui mi hanno sostenuto sempre, sono anche loro, il mio corpo, la mia forza. I messaggi da ricercare sono messaggi di fratellanza, cercare il sorriso negli sguardi delle persone. E’ questo quello che cerco. Sì, ad Assisi ci sarò!!
Un messaggio ai giovani che vivono un momento di grande difficoltà…
Ai giovani, fin da piccoli, bisogna insegnare che non si è diversi l’uno dall’altra, e che tra loro devono vivere in comunione e pace, l’odio distrugge la vita, porta la povertà e le malattie. Sono un musulmano italiano e sono felice per questo e chi è come me pensa nello stesso modo, mi sta vicino ed è per me un fratello e io lo abbraccio senza chiedermi nulla.
Dobbiamo essere tutti come le formiche, vero?
Certo, senza le formiche non si può vivere, la loro è una vita molto bella. Leggete il libro, imparerete qualcosa d’importante proprio dalle formiche. Io sono vissuto come la formica sotto e sopra la terra, ringrazio Dio, ancora sono vivo.
Signor Kakar, grazie per la sua testimonianza, è stato bello conoscerla grazie di tutto Buona Pace e Buona Vita…
Grazie anche a te, spero di averti qui ancora vicino a me come navigatore di Pace, mi dovete aiutare ancora, mi dovete seguire, insieme possiamo Tanto!!
E ci siamo abbracciati…