Intervista a Davide De Zan in occasione della serata di presentazione dei suoi libri a Como, evento collaterale in attesa del Giro di Lombardia di ciclismo.
Metti un lunedì sera di fine settembre, metti la splendida cornice del lago di Como e metti anche una serata dedicata al ciclismo con ospite il noto giornalista sportivo Mediaset Davide De Zan.
Basterebbe solo questo per far intendere che quella di lunedì 30 settembre sia stata una magnifica serata dedicata alle due ruote con protagonista il figlio d’arte dello storico cronista Rai Adriano De Zan, e invece, per me e di conseguenza anche per te caro lettore di iCrewplay è andata ancora meglio perchè non solo ho assistito alla conferenza che partendo dai libri scritti da De Zan ha esplorato il mondo del ciclismo con passione e professionalità ma, grazie allo zampino degli organizzatori della serata, sono riuscito a intervistare, comodamente seduto davanti a un caffè, il giornalista scrittore.
Doveroso quindi, il mio ringraziamento pubblico alla società sportiva C.C.Canturino e alla associazione CentoCantù che hanno organizzato questa serata allo Yacht Club di Como in vista del Giro di Lombardia che tra qualche giorno infiammerà i cuori dei tifosi lariani e che mi hanno permesso di incontrare Davide De Zan prima dell’inizio della serata aperta al pubblico. Senza dimenticare il ringraziamento più grande all’autore che si è dimostrato persona più che disponibile e simpatica.
Della serata e del libro “Pedala!” svilupperò un racconto recensione nella nostra rubrica Sport in Book, qui invece la fortunata intervista focalizzata a conoscere il lato artistico e ‘pennaiolo’ dell’autore e il suo pensiero riguardo a questo libro:
Ciao Davide, il tuo mestiere è quello di raccontare le corse, del resto la tua voce la conosciamo bene per quello. Raccontare è anche una caratteristica, se non peculiarità dello scrittore. In questo senso tu ti ritieni uno scrittore?
No, scrittore è una parola… io ho troppo rispetto per chi fa questo mestiere e io, nel libro un po’ lo racconto, non avrei mai pensato di fare il giornalista, men che meno il giornalista di ciclismo. Scrittore è una parola grossa. Io mi sento un po’ un raccontatore di storie e mi sento in debito con chi ama il ciclismo. Per questo mi sento in dovere di restituire un po’ di quelle storie ed emozioni che ho vissuto io in prima persona o che ho avuto il privilegio di sentir raccontare dagli altri. Per cui il mio è un modo di portare gli appassionati di ciclismo all’interno di un mondo che io ancor prima di nascere ho avuto la fortuna di vivere.
In realtà, questo libro, è anche un po’ un viaggio psicanalitico che mi permette di riviere la mia vita dal momento che ci accomuna tutti, quello in cui ci vengono tolte le rotelline di sostegno dalla bicicletta, che è un momento che ci rimane dentro davvero per la magica alchimia di viaggiare autonomi senza aiuto, all’istante in cui ho fatto la pazza scelta di fare questo mestiere.
Infatti “Pedala!” è un libro diviso in due parti. La prima in cui eri ragazzino e la seconda in cui più maturo hai preso coscienza di quello che volevi fare da grande. Leggendo la prima parte sono rimasto affascinato dagli aneddoti e dai racconti legati al ciclismo di un tempo ormai lontano. Quanto c’è di romanzato e quanto di reale in quei ricordi?
Ho avuto la fortuna di vivere e sentire quelle storie davvero. Di romanzato magari c’è qualche ambientazione, qualche momento nel quale magari ho voluto aggiungere un po’ di romanticismo a quello che raccontavo, ma è quella piccola libertà che si può concedere tra virgolette, “lo scrittore”. Però è assolutamente tutto vero. Sopratutto i racconti degli altri sono assolutamente racconti veri, con in più la voglia, da parte mia, come ti dicevo, di portare il lettore all’interno di quel mondo e la voglia per ogni capitolo di raccontare un retroscena o un qualcosa che non tutti sanno, o che pochissimi sanno. Credo anche che in ogni racconto, non per merito mio, ma per la forza di ognuna di quelle storie, ci sia un piccolo messaggio, un piccolo insegnamento, di ciclismo e di vita.
Questo è proprio il punto dove volevo arrivare. Ho trovato in questo libro una forte “umanità”, sopratutto nel riconoscere ad altri il merito di questa o quella lezione imparata. Immagino sia stato un insegnamento di tuo padre, ma io credo anche del ciclismo come sport? Mi sbaglio?
Più che di mio papà, io credo proprio un insegnamento di questo sport. Tante cose derivano o da qualche cosa che comprendi o da qualche cosa che gli altri ti fanno comprendere. Sai con la bici tu sei da solo di fronte a te stesso, di fronte ai tuoi limiti. E’ molto bello, credo, il capitolo in cui racconto di Gimondi che dopo due anni in cui non voleva accettarlo, arriva a riconoscere la superiorità di Eddy Merckx, e nel momento in cui lo riconosce capisce che deve completamente modificare il suo modo di correre. Attraverso quel modo, dicendosi io mi devo accontentare di arrivare con lui, è poi riuscito a vincere un campionato del mondo e a ritagliarsi una carriera meravigliosa nonostante abbia incrociato il peggior avversario che ci potesse essere. Ed è anche molto bello che lui dica: “Ho sofferto, ho affrontato discese, salite, sterrati, cadute e delusioni, eppure sono orgoglioso di essere un corridore e rifarei tutto dall’inizio alla fine perchè alla fine di tutto mi sono divertito”. Ecco io credo che in questa frase, e in questo capitolo dedicato a Felice, ci sia un po’ l’essenza di questo libro.
E se non è un insegnamento questo… E adesso che abbiamo speso tante belle parole per questo meraviglioso sport, la domanda che mi viene spontanea è: C’è così tanta distanza tra il ciclismo e il calcio?
E’ diverso. Io mi ricordo di una giornata sulla canna della bicicletta di Gimondi così come mi ricordo con immensa emozione il giorno in cui mano nella mano con mio papà siamo andati sul campo di allenamento del Milan, credo sia stato all’Arena di Milano. E mi ricordo del portierone Fabio Cudicini che mi chiese di tirargli un rigore e addirittura fece finta di buttarsi e mi fece fare goal. Avrò avuto circa dieci anni. Poi dal fondo del campo arrivò Gianni Rivera che mi sembrava davvero una divinità. Io mi facevo piccolo piccolo tra le gambe di mio papà nel vedere arrivare quello che ai tempi era il “golden boy” del calcio italiano. Ecco, mentre con il ciclismo, sopratutto con Pantani, ho riprovato quelle emozioni che vivevo da bambino, con il calcio quelle emozioni lì le ho perse. Sono affezionato al ciclismo perchè ha mantenuto quel romanticismo che mi regalava le emozioni già da quando ero bambino.
Insomma un tuo libro sul calcio non lo leggeremo mai…
Mah guarda, ho dei colleghi bravissimi e validissimi e lascio a loro quel compito… Io magari, e questo è un po’ l’intento per il mio prossimo libro, vorrei fare un lavoro in cui viene coinvolto il lettore. Vorrei che per una parte del libro, sia il lettore, l’appassionato di ciclismo, a chiedermi cosa vorrebbe sapere. A chiedermi quale storia raccontare. Ma non ho fretta, sarà un libro che voglio far maturare a sedimentare per bene dentro di me.
Ancora una sola domanda. Davide De Zan è un buon lettore?
Si, io sono un buon lettore. Sono un lettore di gialli, di thriller. Sono innamoratissimo di James Patterson e Jefferey Deaver. Anche se devo dirti che tra gli ultimi libri che ho letto, a parte l’ultimo di Patterson scritto con Bill Clinton, quello che più mi ha colpito e che più mi ha appassionato, molto più della serie televisiva, è “La verità sul caso Harry Quebert”. Credo che prima di rimettermi a scrivere, siccome la scrittura è un po’ come la musica che ti da ispirazione, mi rileggo questo romanzo perchè sento che mi da un bel ritmo e che potrebbe darmi anche qualche spunto bello.
Grazie mille Davide per la disponibilità.
Grazie, grazie a voi e ci rivedremo qui, in questa splendida cornice, in occasione del prossimo libro.
Aggiungo io a conclusione di questo articolo: “Puoi contarci!”