Due parole con Marco Balzano sul romanzo Resto qui e sulla sua idea di essere scrittore al Pro-Memoria Festival
È domenica 2 giugno. Dopo un maggio piovoso e freddo, il bel tempo e il caldo estivo sembrano finalmente arrivati a Mirandola, cittadina in provincia di Modena famosa per aver dato i natali ad un importante filosofo umanista, Giovanni Pico. È in onore del suo illustre cittadino che dal 2017 si tiene ogni due anni il Pro-Memoria Festival, che raccoglie per tre giorni noti esponenti del panorama culturale e scientifico nostrano. Gli incontri proposti in programma erano tutti interessanti, ma il nome di un ospite in particolare ha attirato la mia attenzione: Marco Balzano, scrittore e insegnante milanese, il cui romanzo Resto qui (Einaudi, 2018) l’anno scorso si è classificato al secondo posto del prestigioso Premio Strega. Avendo divorato e amato questo libro, mi sono fatta coraggio e ho fermato lo scrittore, dopo la presentazione, per porgli qualche domanda in proposito, a cui Balzano ha risposto con grande gentilezza e disponibilità.
Grazie per aver accettato di rilasciare questa intervista. Volevo partire riallacciandomi con quanto ha appena detto durante il Suo intervento. Mi ha colpito molto il termine memoria: una “progettazione” di un evento vissuto, che poi si racconta. La memoria è quindi una testimonianza. Resto qui è ambientato nel Sud Tirolo durante la Seconda Guerra Mondiale e si riallaccia molto con la sua idea di memoria. Posso chiederLe: qual è l’idea da cui è partito per scrivere questo libro e perchè ha scelto questa particolare momento di memoria?
Perchè è una parte della storia d’Italia che non è stata per niente indagata e che non è conosciuta. Per me uno scrittore è chi racconta delle storie che non si conoscono.
Effettivamente non molti sanno della nascita del Lago di Resia. Io stessa ho scoperto la vicenda con il suo romanzo. Dato che è ambientato negli anni della guerra, che tipo di ricerche ha fatto per scriverlo: ha consultato degli archivi o ha ascoltato delle testimonianze?
Ho studiato tutto quello che ho potuto, sia in archivio che incontrando docenti, consultando tutta la bibliografia a disposizione. Poi ho incontrato gli ultimi cinque testimoni di questa vicenda e gli ho intervistati. Una parte del libro l’ho scritta proprio sul posto. Penso, che quando tu abbia la possibilità di raccogliere delle parole, delle storie dalla voce viva di qualcuno sia sempre l’antidoto migliore per evitare delle banalità, dei cliché.
Sì vede bene, perchè in questo libro c’è tanto cuore e viene proprio fuori nel personaggio di Trina. È riuscito a descrivere benissimo questa donna forte e indipendente e mi ha colpita molto, perchè è autentica. Per scrivere di lei si è veramente ispirato ad una storia vera, quindi?
No, lei è un personaggio inventato. In letteratura tante cose inventate ci sembrano autentiche e questa è la cosa più bella che può succedere, quindi mi fa piacere che tu mi dica così. Il personaggio nasce da una foto che una delle testimoni mi aveva fatto vedere di questa donna, che si chiamava Trina, in ginocchio sul tavolo di casa sua, quando la sua casa era già stata completamente allagata. In questa foto c’è questa donna di ottantacinque anni, con l’acqua al livello del tavolo, che si aggrappa al cornicione della finestra, mentre la stanno andando a prendere. A me sembrava che quella donna, nell’atto di gridare, dicesse proprio le parole del titolo del libro: Resto qui. Poi da lì, la vicenda della figlia e della famiglia è completamente inventata.
Parlando sempre di Trina, mi ha colpito molto l’attaccamento che lei ha con il suo territorio, Curon. Mussolini ha cercato di “italianizzare” il Sud Tirolo, abolendo il tedesco e imponendo l’italiano come lingua ufficiale, togliendo così l’identità a migliaia di persone. Perché Lei ha scelto di dare a Trina un senso di identità così forte, quale quella è sudtirolese?
Ci sono varie ragioni. Quella che caratterizza il personaggio è: io volevo una donna che restasse, nel senso di resistere, come quella signora anziana sul tavolo di casa sua. Quindi lei è una donna che resta. Sempre. Anche quando sotto i piedi c’è l’acqua e non la terra, ma resta. La seconda ragione è che ho voluto raccontare questa storia dalla parte di chi l’ha subita: i sudtirolesi. Fa parte della storia d’Italia e non è mai stata raccontata. Secondo me, il modo migliore per mettere in luce gli errori e la violenza del sistema è quello di farlo, non di guardarlo ma di raccontarlo con il punto di vista di persone che generalmente non hanno voce dal punto di vista del racconto storico. Quindi per me, raccontarlo dal suo punto di vista significava restituire una parte di storia italiana, che è ancora legata al fascismo, alla violenza, alla guerra e alle loro conseguenze e che, dopo tanti anni, non sono ancora archiviate.
Ad un certo punto, Trina viene vista come una straniera su suolo italiano, ma con l’annessione del Sud Tirolo alla Germania di Hitler, si ritrova straniera nei confronti di un popolo che parla la sua stessa lingua.
Certo, è proprio come dici. È mettere in luce come una parte di Italia che non è ancora stata raccontata, ma le cui vicende appartengono ad una rimozione che ha ragioni politiche molto forti. Io penso che uno scrittore sia anche una persona che ti racconta quelle storie che gli altri non ti raccontano. Siccome il racconto è ciò che sappiamo, molte volte lo possiamo vedere ovunque: se non lo leggo su un sito, lo leggo in un altro; se non me lo dice uno, me lo dice un altro. A me interessa di più quello che generalmente non si racconta o che non si sa bene. È un po’ quell’idea di memoria che dicevamo prima: deve essere qualcosa di scomodo.
E questo romanzo lo è, scomodo, perchè porta alla luce un avvenimento che in pochi conoscono. Si aspettava un successo così clamoroso? È arrivato secondo la Premio Strega, ha vinto il premio Bagutta…
Questo romanzo ha vinto tanti premi, sia in Italia che all’estero. Sarò onesto: io non mi aspetto mai niente. Per questo non voglio entrare nell’ottica che i romanzi debbano andare bene ed è per questo che continuo ad insegnare nelle scuole. A me interessa scrivere cose, perché siano lo specchio di quello che tu vuoi essere per gli altri e per te stesso. Tutto il resto non mi importa.
Ultima domanda: è una curiosità sul suo nuovo libro, Le parole sono importanti. Dove nascono e cosa raccontano (Einaudi, 2019). Lei ha detto che insegna ancora nelle scuole: per caso, è stato proprio questo lavoro ad ispirarle un saggio sull’etimologia delle parole?
Diciamo che, il fatto che io lavori ancora a scuola ha fatto sì che io avessi già del materiale pronto, perchè la scuola la pratico. Questo libro nasce con un carattere militante, cioè nasce da una forma di indignazione verso una politica, un mercato e dei media che la maggior parte delle volte distorcono, semplificano e rovinano le parole. O ne abusano. Le parole sono molto più belle di come spesso noi le usiamo e mi andava di ricordarlo prima di tutto a me stesso.
Grazie ancora a Marco Balzano per avermi concesso quest’intervista.