Oggi abbiamo la fortuna di poter discutere direttamente con l’autore di uno dei romanzi che più ci sono piaciuti. Stiamo parlando di Igor De Amicis, scrittore di successo, che con il suo thriller La settima lapide ci ha fatto conoscere una realtà particolare dal punto di vista di un esperto.
Per leggere la recensione: Recensione La settima lapide di Igor De Amicis
Com’è nato il personaggio di Michele vigilante?
Con il personaggio di Vigilante mi interessava affrontare la dinamica di un uomo che esce di carcere dopo venti anni di detenzione, venti anni in cui la sua esistenza è stata in qualche modo sospesa, e poi all’improvviso si ritrova catapultato nella sua nuova vita e in una società che non conosce. Come riprenderà il corso degli eventi? Cosa proverà nel tornare in certi ambienti? In che modo l’ha cambiato il carcere? Sono tutte domande che ho cercato di pormi mentre scrivevo di Michele.
C’è un personaggio che ti affascina più di tutti nel tuo libro? Al quale ti senti più legato?
A essere sincero mi piacciono diversi dei miei personaggi. Dedico molto tempo alle loro costruzioni e mi piace fornire informazioni sulle loro vite, con digressioni e ricostruzioni. Ma, se proprio devo scegliere, la figura dell’avvocato De Marco, ha un posto speciale per me. Doveva essere un personaggio meramente di contorno con poche battute, poi il suo “ruolo” è cresciuto sempre di più, la sua figura si è arricchita e ha preso spazio, e non escludo in futuro di tornare a parlare di lui.
Lo schiattamuorto è una figura complessa. È un assassino, ma uccide mafiosi e malavitosi. A volte viene da pensare che più che un criminale sia un eroe, ma è un pensiero pericoloso. Dietro al personaggio c’è anche un’intenzione polemica nei confronti di coloro che si fanno giustizia da soli e diventano eroi popolari?
Non credo assolutamente nella giustizia “fai da te”, e non potrebbe essere altrimenti visto il mio lavoro. Ma nella costruzione della storia non ho voluto fare o porre polemiche, il mio unico interesse era proprio la costruzione della storia, e da un punto di vista narrativo la vendetta, con tutte le dinamiche che innesca, ha un potere suggestivo altissimo.
Non temi che presentare Napoli insistendo molto sulla criminalità susciti polemiche come è successo ad altri autori, per esempio Saviano, e accuse di presentare la città sotto uno stereotipo negativo?
Assolutamente no. Napoli è una città meravigliosa, e ovviamente non deve essere identificata con la criminalità, ma è indubbio che se voglio raccontare storie legate al crimine organizzato devo ambientarle, o comunque trovare un punto di riferimento, nei luoghi che hanno visto nascere quel tipo di realtà. E allora come avrei potuto raccontare una storia di camorra prescindendo da zone come Scampia o altri quartieri di Napoli? Poi ovviamente le vicende di Michele si allontanano da Napoli, dimostrando come la rete criminale sia in realtà più complessa e diffusa di quanto si voglia semplicisticamente pensare.
Il linguaggio usato nel romanzo è particolarmente efficace, per rendere la narrazione meno letteraria e più realistica. Mi ha ricordato in prima istanza quello di Ammaniti, ma non si può non pensare, trattandosi di un poliziesco, ai libri di Camilleri. Questo linguaggio nasce da una suggestione letteraria o dalla necessità di imitare la realtà?
Il linguaggio, per come la penso, si deve piegare alla narrazione, cioè deve essere strumentale al tipo di storia che scrivo. Una storia dura, di crimine e vendetta deve avere un linguaggio, secco, scandito, solo a tratti evocativo. Per quanto poi riguarda il modo di parlare dei criminali, certi loro atteggiamenti e movenze, sono particolarmente realistici per il semplice motivo che visto il mio lavoro (Commissario Capo di Polizia Penitenziaria) conosco decine e decine di criminali veri. E allora farli parlare come educati geometri del catasto sarebbe stato irreale e straniante. La criminalità ha un proprio linguaggio, anche corporeo, e conoscerlo mi ha aiutato a creare i miei personaggi e a farli muovere e vivere nel modo più reale possibile.
Ogni capitolo inizia con un’epigrafe. Rispetto alle epigrafi usate normalmente, che si limitano a suggerire un’interpretazione, queste sembrano portare alla soluzione del caso e non solo. Hai pensato prima alla successione dei libri per svolgere la trama o ti sono venuti in mente mentre scrivevi il romanzo?
Questo è stato un gioco letterario fatto di suggestioni, ho creato dapprima la trama e poi ho cercato nelle mie letture passate e presenti dei testi che mi avessero particolarmente colpito e lentamente sono entrati esse stesse nella trama del romanzo, e mi sono inoltre divertito a inserire i vari libri in questione all’interno della narrazione, facendo si che influenzassero la stessa storia, come dei brevi camei, dei tributi a romanzi che mi hanno accompagnato nella mia vita di lettore appassionato.
Ora parliamo un po’ di te. Visto il lavoro che fai, per dare vita ai tuoi personaggi ti sei mai ispirato a persone che hai realmente conosciuto?
I miei personaggi sono fondamentalmente frutto di fantasia, ma poi come tutti gli scrittori, tendo a registrare in un angolo remoto della mente, caratteristiche ed elementi che mi colpiscono di persone, luoghi, eventi e poi, nel momento della costruzione delle storie, tutto questo bagaglio mentale di appunti e suggestioni ritorna modificato e sviluppato. Quindi sicuramente molti miei personaggi sono il frutto di questo collage di varie parti e individui, ovviamente tutto filtrato dalla fantasia.
Come crei un libro? Hai sempre una storia ben definita in mente o la trama cambia con i personaggi e man mano che viene scritta?
Parto da una “idea forte” che costituisce il nucleo del romanzo, poi lavoro su quella creando trame e sottotrame e mi metto a scrivere solo quando ho le idee abbastanza chiare, ma ciò non toglie che spesso la storia possa modificare il suo evolversi. Il caso del personaggio dell’avvocato che nei piani iniziali faceva solo una piccola comparsa, ma che poi nel libro finito si ritaglia una sua forza emotiva, ne è un esempio perfetto.
Quando scrivi la trama di un romanzo, ti porti un po’ di lavoro a casa o è tutto materiale di fantasia?
La fantasia è innegabilmente influenzata dalle esperienze dirette (anche lavorative), dai ricordi del passato, dai film visti, dai libri letti, da tutto quello che accende quella scintilla che è alla base delle storie.
Rimanendo su questo tema, scrivere su crimini per te è una sorta di catarsi?
Penso che scrivere in generale sia una catarsi, un modo per staccare completamente la mente dalla realtà e calarsi in un altro luogo, in un altro tempo, creare la propria realtà, bella o brutta che sia, tirare le fila di un mondo immaginario è una grandissima soddisfazione dal punto di vista emotivo. La tipologia delle storie è secondario, le storie criminali hanno su di me, e su tanti altri, un grande fascino, ma sono anche un lettore appassionato da tanti generi narrativi e in passato mi sono cimentato con generi diversi.
Ho visto che collabori con Thrillermagazine e Sherlock Magazine, quindi è evidente che sei appassionato di gialli. Tra i tuoi ispiratori ci sono i giallisti classici, come Simenon, Christie, Conan doyle o ti ispiri ad altri?
Assolutamente si, riconosco il valore indiscusso dei maestri, ho letto tutto Conan Doyle, sto leggendo attualmente l’integrale dei romanzi di Maigret e anche della Christie ho letto molto. Ma anche altri autori mi hanno profondamente influenzato, da Stephen King per la costruzione dei personaggi, a James Elroy per le dinamiche linguistiche e fra gli italiani non posso non citare Sandrone Dazieri, amico e maestro, campione indiscusso nel creare trame e intrecci.
Come è nata la passione per la scrittura? L’hai sempre avuta o è nata per un motivo in particolare?
Ho sempre avuto la passione per la lettura e da lì, la voglia di scrivere una storia mia, il passo è stato breve. Ho scritto per anni per il solo gusto di creare storie, poi ho cominciato a pubblicare i primi racconti e quando mi sono sentito pronto mi sono cimentato con il romanzo. Insomma ho fatto una gavetta fatta di tante letture e racconti prima di cimentarmi con progetti più ampi.
Progetti per il futuro? Siccome hai avuto anche esperienze di scrittura diverse, hai intenzione di tornare alla letteratura per ragazzi?
Non ho mai smesso di scrivere, pochi giorni fa ho finito un nuovo libro per ragazzi che uscirà l’anno prossimo. A ottobre, invece, dovrebbero arrivare sugli scaffali delle librerie altri due libri per ragazzi (sempre per Einaudi Ragazzi, il mio editore di riferimento per il genere – e scritti con mia moglie Paola Luciani, mia coautrice da sempre in questo ambito). E, a brevissimo, mi cimenterò con la trame e la strutturazione del nuovo thriller, che spero di cominciare a scrivere a breve. Insomma penso che per i prossimi mesi sarò con il naso sul computer e la testa fra le nuvole.