In questo appuntamento con Sogni di carta, abbiamo chiesto a Giulio Marra di raccontarci qualcosa in più su I Cantastorie, il suo ultimo libro che qui abbiamo recensito.
Intervista a Giulio Marra
Buongiorno Giulio Marra, innanzitutto grazie per aver accettato questa intervista. Iniziamo dal libro, I Cantastorie, come lo definisce in una manciata di parole?
Cosa l’ha portato a scrivere questo libro?
Tutte le mie esperienze narrative (romanzi e racconti) mi hanno gradualmente e inconsapevolmente portato verso la scoperta di un mondo di saggezza intrinseca all’uomo, che spesso non ricalca la saggezza di nozioni precise e codificate.
Nei miei romanzi c’è sempre la ricerca di una dialettica che evidenzi questa divergenza e la dialettica è quella che si instaura tra colui che appare essere la summa della propria tradizione e colui che invece appare esterno ad essa, apparentemente insignificante, tuttavia possessore di una sua saggezza istintiva, evocativa del mito, esiliata in lontane regioni del mondo dei sogni.
È questo l’impulso primo che mi ha guidato nella scrittura anche de “I Cantastorie”.
A chi si è ispirato per le figure di Roman e di Kanè?
I nomi di Kanè e di Roman li ho scelti perché non esattamente appartenenti al novero dei nomi usualmente utilizzati, nomi “marginali”, che si leggono spesso nei quotidiani; c’è un destino che li unisce, e che si realizza alla fine con Roman che appare il successore di Kanè.
Leon/Ibra/Morgan. È grazie a questa triplice ascendenza/identificazione che il giovane quattordicenne Roman potrà diventare il futuro cantastorie: l’identificazione con la figura di un bambino sacrificato (Ibra), di un bambino amato ed educato (Leon), di un giovane aperto al mondo (Morgan), tale triplice ascendenza conferisce al giovane Roman una dimensione narrativa.
La narrazione è consapevolmente discontinua, inconclusa, è “work in progress” in un mondo in definizione, è quindi rappresentata dal giovane Roman e, al tempo stesso, dalla figura sfuggente del pirata alla ricerca di una sua evanescente Tortuga. Il romanzo pertanto non è solo un “passatempo” al fine di raccontare una storia di intrattenimento; la narrazione incarna una sostanziale dimensione conoscitiva, strettamente legata al senso della vita.
Kanè, il cantastorie, accentua questa dinamica secondo la quale colui che possiede la “conoscenza” delle storie non può isolarsi in una sterile torre d’avorio; si trova piuttosto a dover comprendere tratti essenziali della natura umana proprio da coloro che sembrano incapaci di riflessione filosofica e che, invece, si mostrano capaci di contenerla in sé istintivamente, come ad esempio il capitan Maestoso.
Il rapporto proficuo che si costituisce andrà a toccare elementi fondamentali del vivere civile come la natura e funzione della legge, la natura e la funzione del mito, la forza dei legami famigliari. Risulta evidente che la funzione di Kanè è quella di sottolineare la preziosa funzione del cantastorie all’interno di una società – nel contesto narrativo la società si costituisce attorno a lui – e infine tale funzione è trasmessa al giovane Roman che l’accetta e la perpetua.
Potrebbe essere un punto su cui soffermarsi a riflettere quello che riguarda il venire meno della figura del cantastorie nella società contemporanea, ossessionata da eccessivo individualismo. L’assunto principale è che la società si forma attorno al cantastorie, come insegnano Omero, Virgilio, Dante, Tasso, Manzoni, Verga ecc. Il messaggio del romanzo, se si vuole trovare un messaggio, si inserisce in questo contesto di considerazioni.
C’è stato un passaggio particolarmente complesso da scrivere? Perché?
La parte più complessa da scrivere è stata quella che riguarda il collegamento tra Kanè che racconta e i suoi ascoltatori, per i quali Kanè deve riuscire a trovare modalità e strategie che li facciano gradualmente “entrare” nella storia e non solo ascoltare la storia. Le richieste dei personaggi condizionano il racconto, la sequenza, persino l’esito finale. Questa strategia costituisce la tecnica narrativa e crea l’unità del racconto. In questo progetto rientrano le figure femminili di Kum (alzati, in aramaico) e di Amelia (per la sua tenerezza e con il suo arazzo), in modo particolare.
In particolare perché il personaggio femminile è portatore/rivelatore di felicità, ne è la realizzazione concreta, nei personaggi di Kum, di Lucinda, di Amelia e delle figure femminili che assicurano la sopravvivenza del giovane Leon/Ibra/Morgan. I personaggi femminili mostrano l’originale felicità nel giardino (Lucinda), nella natura (Coralie), nella riscrittura delle mappe (Amelia), nella sensibilità (le figure del castello), nella procreazione (Kum).
Quali sono i progetti futuri di Giulio Marra? Lo chiediamo direttamente all’autore
I miei progetti futuri si riassumono per il momento in una raccolta di racconti in via di pubblicazione (I racconti del salice, Il Filo di Arianna, la Spezia) e in altri racconti, tre dei quali conclusi e illustrati.
Viaggio di Natale, Storia di un essere solo (figura di un giovane dalla ignota provenienza), In una biblioteca che non conosco (sulla tragedia del Vajont), Da una madre alla neonata (per la giornata della memoria), I sentieri sono sempre rimasti ai margini del nostro sguardo (arazzo di Amelia), 344 la creazione di percorsi – passeggiate, storie, esperimenti, reti – può essere vista come parte del grande desiderio comune di trovare modi migliori, più duraturi, più flessibili per condividere la saggezza e conservarla per il futuro.
Ringraziamo Giulio Marra per questa intervista che ci ha dato anche la possibilità di entrare un po’ più nel dettaglio del suo ultimo libro, I Cantastorie.