Ed eccoci, come avevo anticipato con l’intervista a Davide Passoni, poeta slammer brianzolo.
Ciao Davide e grazie per la disponibilità e la pazienza… Sei pronto per il fuoco di fila delle domande?
PRONTISSIMO!
Allora partiamo, io sono una abbastanza curiosa, conosco ma poco e niente di Poetry Slam e quindi cercherò di saperne di più da te e nello stesso tempo avrò il piacere di conoscere meglio te e quello che fai. Si comincia dai…
Davide vuoi parlarci un po’ di te, chi sei? da dove vieni e dove vai?
Ciao, mi chiamo Davide Passoni, e già dal cognome si capisce quanto io sia Brianzolo. Sono molto legato a questo territorio. Ho vissuto la prima infanzia a Usmate Velate, per poi trasferirmi a Carnate. Come scriveva il Gadda, “carezzato l’orecchio dalla musica de’ più cari nomi lombardi, in ago e in ate. Infatti, di tutte le terre della Terra, la Lombardia ha il primato del buongusto e dell’eufonia toponomastica”. Vado un po’ dove mi portano musica e poesia: viaggio spesso e raggiungo anche pittoreschi e remoti luoghi dello Stivale per far ascoltare e mettere in azione i miei testi.
Da dove arriva il tuo amore per la poesia?
Alle scuole medie partecipai ad un concorso tra istituti scolastici locali. La docente che si occupava di raccogliere le poesie smarrì proprio la mia. Una totale delusione. Direi che l’amore per la poesia non arriva da qui. Alle superiori, invece, ero un disturbatore seriale: più di una volta ricevetti compiti extra per punizione, come leggere Le vite dei Cesari di Svetonio. In seconda liceo mi toccò imparare a memoria La fontana malata di Aldo Palazzeschi, un testo molto difficile da imparare a memoria: ogni settimana dovevo impararne 10 versi e recitarli alla classe, finché non fossi arrivato in fondo al testo. A quel punto avrei potuto scegliere se dirla tutta intera a memoria oppure no: era una punizione/sfida lanciata dal professore. Se avessi accettato e fossi riuscito a dirla tutta senza sbagliare neanche un verso, avrei preso 10, altrimenti 5. Mi divertii tantissimo, ma direi che nemmeno da qui arriva l’amore per la poesia. Quello però era l’anno in cui Lello Voce stava portando il Poetry Slam in Italia, ma io ancora non lo sapevo, come non saprei rispondere ora alla tua domanda: forse non è amore, forse è altro.
Sei molto giovane, Davide, eppure hai un curriculum di tutto rispetto… ma a che età hai cominciato, in fasce?
Ho iniziato alle superiori, se non altro con una certa autocoscienza di quanto stessi facendo. Ovviamente mi dedicavo a forme embrionali e completamente acerbe (e continuano tutt’ora ad esserlo sotto molti aspetti, ma faccio del mio meglio per migliorare sempre) rispetto ad oggi. Ho trascorso gli anni del liceo a scrivere testi, per lo più canzoni rap. Ho sempre avuto l’esigenza di raccontare le mie idee, i miei pensieri. In quegli anni ho realizzato dei fumetti e degli articoli in prosa rimata (contro il preside) per il giornalino scolastico, scritto poesie, attivato progetti di sperimentazione tra musica e parole. La poesia è solo una delle forme d’espressione che uso e che amo. Non mi sono mai fermato. Una volta proposi a un amico un progetto, continuando però a procrastinarne lo sviluppo. Dopo alcuni mesi abbandonammo il progetto e mi disse – sei uno di quelli che parla tantissimo, propone tantissimi progetti, ha tantissime idee. Il fatto è che rispetto ai chiacchieroni, tu, su mille cose che pensi, probabilmente 999 le fai veramente – In seguito registrammo una canzone insieme. Lui ora ha pubblicato due romanzi per Einaudi. Ho passato giornate a progettare, saltando la scuola, rinchiudendomi in biblioteca o al parco. Disegnavo tantissimo, scrivevo tantissimo. Poi ho cominciato a suonare tantissimo, o meglio, a studiare i sintetizzatori e i campionatori, a creare sequenze e basi musicali. Nel frattempo mi sono diplomato, poi ho studiato design al Politecnico di Milano, e infine ho conseguito un attestato come Animatore Sociale Esperto in Musicoterapia. Dimenticavo: nel tempo libero lavoravo anche come Assistente Bagnanti, Istruttore di nuoto e conducevo laboratori di scrittura e rap nelle scuole e nei centri di aggregazione giovanile. Alcune di queste cose le faccio ancora.
Vuoi parlarci di questa nuova formula di poesia, il Poetry Slam?
Il Poetry Slam, come dici tu, può essere una nuova formula, e non una nuova forma di poesia. È una nuova formula studiata per diffondere la poesia, per avvicinare il pubblico al mondo della scrittura in versi. Negli anni il Poetry Slam ha fornito spunti per nuovi linguaggi poetici, creando fusioni ibride con il rap, o il teatro o la comicità. Per citare l’inventore dello Slam, Mark Kelly Smith, “la parola poesia ripugna le persone. Sapete perché? Per ciò che la scuola ha fatto alla poesia. Gli Slam restituiscono la poesia alle persone. Abbiamo bisogno di parlarci poeticamente tra noi. È il modo che abbiamo per comunicare i nostri valori, i nostri cuori e tutte le cose che abbiamo imparato e che ci rendono quello che siamo”. La sfida è un espediente per rendere inizialmente tutto più avvincente: negli ultimi anni ho notato aumentare l’attenzione verso gli spettacoli/reading dei singoli poeti, indice che le persone non sono solo interessate alla sfida e alla spettacolarizzazione della poesia, ma sono interessate alla poesia stessa. Il Poetry Slam è una sfida truffaldina perché, in realtà, non vince un poeta, ma vince il pubblico, vincono le giurie scelte a caso tra il pubblico round dopo round, vince l’Mc, vincono i poeti, vince la poesia.
Quando e come ne sei venuto a contatto e te ne sei appassionato?
Primo dicembre 2005, questa la data del mio primo Slam. Era organizzato Circuito Bibliotecario Vimercatese in collaborazione con Lello Voce, durante la rassegna annuale di Pugilato Letterario. Fui chiamato da Eugenio Canton, moderatore degli incontri, attore, insegnante e persona indimenticabile: lui mi aveva sentito durante una delle mie esibizioni di sperimentazione tra rap, poesia, elettronica e musica concreta allo Sbaraglio Jammin’. In quel periodo, e anche tutt’ora, ero un fan sfegatato di Tom Waits. Lello Voce voleva includere nella sfida un giovane poeta locale: Eugenio mi chiese se fossi interessato. Partecipai e arrivai ultimo, ma in quell’occasione conobbi Simone Savogin, Luigi Nacci, alcuni del collettivo Sparajurij e il mitico Stefano Raspini. Nonostante il risultato pessimo, rimasi abbagliato da quello a cui avevo assistito. Da quel giorno, non mi sono tolto dalla testa il Poetry Slam e ho cercato di diffonderlo il più possibile.
Scorrendo brevemente la tua biografia ho notato che la musica assieme alla poesia ha un ruolo importante nella tua attività artistica: le due “arti” procedono di pari passo nei tuoi interessi o una predomina sull’altra?
La musica è sicuramente la forma artistica che mi ha affascinato per prima: ho sempre sognato di realizzare progetti musicali di tutti i tipi. La musica è sempre stata la mia compagna preferita. Il Poetry Slam ha influito sul mio modo di fare musica, specialmente nei tre album del duo Eell Shous, progetto musicale realizzato con Marco Tenpo Lombardo per Irma/Mandibola Records. Trasformare il testo rap in qualcosa di attivo e recitabile, non solo ritmato, ci ha permesso di esplorare nuove modalità espressive sul palco, usando la poesia mischiata al beatbox, il teatro alla canzone rap, l’improvvisazione scenica con l’errore reale. Oggi sono più attento alla poesia, ma l’idea è quella di realizzare un disco di spoken music il prima possibile. Immagina due sinusoidi in contro fase che oscillano: si alternano, procedono lontane, ma di tanto intanto si incrociano sull’asse delle ascisse.
Dal poco che ho avuto modo di capire, il Poetry Slam è un “nuovo” modo di fare poesia importato da Chicago. Le virgolette per nuovo sono d’obbligo perché, in fondo, voi slammer riprendete ovviamente rielaborandolo, un metodo di spettacolo già in uso nelle antiche Commedie greche e non solo: anche i contest di freestyle tipiche della cultura rap/hip hop in qualche modo richiamano, con le dovute differenze, al Poetry Slam. Che genere di pubblico viene alle vostre esibizioni? Solo giovani o riuscite a coinvolgere un po’ tutte le fasce d’età?
Il pubblico del Poetry Slam è molto vario, ed è questo uno dei punti di forza. Puoi vedere tra il pubblico un adolescente appena maggiorenne dare un punteggio identico a un pensionato appassionato di poesie e andare d’accordo nonostante la distanza generazionale; subito dopo puoi vederli dare un voto completamente differente. La cosa spettacolare è veder partecipare tutti attivamente, nello stesso luogo e per lo stesso evento, applaudendo, criticando la giuria, acclamando i poeti, discutendo dopo lo Slam dei testi dei poeti. Il Poetry Slam unisce le generazioni. Ho usato il verbo vedere troppe volte in questa risposta, ma poco importa.
Premetto che il Poetry Slam mi incuriosisce molto e trovo sia una forma di poesia che avvicina il poeta al pubblico e gli consente anche di interagire eliminando il distacco fra palco e platea, consentimi una domanda un po’ da “avvocato del diavolo”. Non credi che questa forma di spettacolarizzazione della poesia snaturi l’essenza del poetare a vantaggio dello spettacolo?
Qual è l’essenza del poetare? Io non lo so. Uso però una definizione di poesia attribuita ad Allen Ginsberg, inserita nel film Howl – Urlo: “la poesia è l’estensione ritmica dei sentimenti”. Io intendo la poesia come una partitura ritmica e sonora del linguaggio, e tale partitura serve per creare una sorta di musica suonata dalle parole che, insieme al significato delle parole stesse, evochi sensazioni. Molto spesso mi viene detto che agli Slam vince chi fa ridere, oppure chi sa recitare e portare sul palco la poesia: lasciando da parte il fatto che non è assolutamente così (spesso accade proprio il contrario), queste affermazioni cercano solo di sminuire il lavoro di ricerca e studio che viene fatto dai poeti. Sembra quasi che l’allegria e la gioia siano considerati sentimenti di serie B nella poesia. A me piace il Poetry Slam perché all’interno di questo magnifico contenitore si può trovare l’intero spettro delle sensazioni umane, dalla risata ignorante alla rabbia di protesta, dalla gioia estrema alla malinconia più scura mai provata, dalla pazzia d’amore alla tristezza. Lasciare fuori dalla poesia alcune emozioni impedisce al poeta di andare a fondo, di lavorare veramente su di sé.
Il Poetry Slam mette in risalto la figura del poeta-attore a svantaggio della figura del poeta-puro che affida solo alla penna la sua poesia. Non pensi che uno slammer sia in un certo senso condizionato dal palcoscenico e quindi dal fare spettacolo, a discapito della sua interiorità di poeta?
C’è chi scrive poesia performativa, anzi, c’è chi la fa senza nemmeno scriverla, rimanendo comunque fedele alla sua interiorità e alle sue sensazioni. C’è chi si lascia condizionare pur di vincere. C’è chi se ne frega e sale con i quaderni scritti a mano e legge timidamente i propri testi. C’è chi finge. C’è chi non finge. C’è chi studia approfonditamente le metriche e gli schemi delle rime. Non esiste una risposta. Tutto ci condiziona, anche il tipo di penna e la carta che si usa per scrivere. Io scrivo meglio al computer, sento di riuscire a far fluire meglio i pensieri: questo cambia la mia interiorità? Sì, la cambia. Scrivere sulla carta con la penna o la matita influisce sulla trascrizione dei pensieri e mi cambia. A volte uso il registratore e poi sbobino. Io stesso ho scritto testi in funzione del palcoscenico, altri testi “spinto da una sensazione più che da un’idea sensata”. Non si può riassumere tutto in un dualismo a compartimenti stagni.
Davide ci vuoi parlare delle tue tematiche o della tua poetica? Cosa ti ispira?
Mi ispira qualunque cosa: ieri ho scritto un testo sul foglietto illustrativo dei medicinali. Stavo controllando quali fossero scaduti nella scatoletta medica. Credo che gli oggetti, il loro uso quotidiano, la loro forma, la loro consistenza parlino e raccontino molte cose. Cerco di afferrare i concetti e le spiegazioni di quello che succede alle persone, al mondo, alle relazioni umane facendomi raccontare tutto da quelle portinaie chiacchierone che sono gli oggetti di uso quotidiano. Mi piace scrivere usando il linguaggio del televisore, dei cosiddetti black mirror, della pubblicità, dello spam, degli eventi atmosferici. Adoro l’acqua, i temporali, la grandine. La neve non mi piace particolarmente, anche se il Natale mi piace innevato. Ecco, a Natale ci devono essere due cose fondamentali: la neve e Star Wars. All’epifania Ritorno al futuro. Attingo molto dalla Brianza e dalla vita quotidiana.
Quali sono i tuoi impegni attuali?
I miei attuali impegni sono sopravvivere al caldo: prediligo il freddo, tranne quando si tratta di acqua. Odio l’acqua fredda. Mentre cerco di sopravvivere al caldo seguo dei laboratori di Poetry Slam e Poesia Potente per alcune associazioni e cooperative sociali e Onlus. Sono laboratori gratuiti rivolti a ragazzi under 35 che frequentano centri di aggregazione giovanile. L’intento è quello di offrire degli strumenti per raccontarsi. Insieme a Paolo Agrati e Ciccio Rigoli ho appena finito di registrare le puntate del format televisivo dedicato al Poetry Slam, in onda ogni sabato di giugno alle 21:30 e ogni domenica alle 13:30 su Zelig Tv (canale 63 del digitale terrestre). Sto seguendo il torneo di Poetry Slam in Parco Tittoni a Desio e altri eventi sparsi in tutta la Lombardia. Importante tra questi, la Finale Nazionale di Poetry Slam a squadre del 23 giugno che si terrà a Varenna. Poi andrò in Svizzera per il Lugano Buskers Festival con il progetto Poesia Potente e Chitarra Tonante insieme a Sir & The Ivanoe. Sto cercando teatri per la prossima stagione autunnale per proporre lo spettacolo su cinema, musica e poesia scritto con Alessio Pamovio, Original Motion Poetry, un viaggio attraverso le colonne sonore e le poesie citate nei film.
…e le tue prospettive future?
Per il futuro ho un progetto in cantiere con Martina DirceCarcano, nel quale ho coinvolto anche numerosi poeti: stiamo realizzando un bestiario illustrato comico/poetico. Altro progetto, già avviato, ma che deve crescere e migliorare è il canale YouTube dedicato al Poetry Slam italiano, ovvero Poetry Slam It: vorrei realizzare delle interviste più approfondite. Per il momento il format prevede un’intervista frontale di 3 minuti circa e la declamazione di una poesia. Spero di scrivere testi sempre più efficaci, ci sto lavorando. Chissà, magari un libro nuovo. Oppure un fumetto pazzo pazzissimo che racconta una storia horror degna di essere messa su pellicola da John Carpenter.
Dopo questa intervista fiume che ci ha svelato non solo l’originalità di Davide Passoni, ma anche l’impegno, la passione e la “visionarietà” per la poesia (che devo dire, mi trova concorde) il personaggio Davide, è un po meno personaggio e più poeta, nel senso pieno del termine.
p.s. un doveroso grazie a Davide che ha corretto il mio modo errato di usare l’articolo al femminile per definire il Poetry Slam… (anche i redattori sbagliano…) e spero che sia sopravvissuto al caldo, malgrado il fuoco delle domande.