Questo è il periodo dell’anno propenso per le grandi scelte: l’anno scolastico (e quello accademico) si sta pian piano avviando verso la conclusione e per coloro che stanno concludendo il ciclo di studi, ciò significa solamente una cosa: decisioni. Scegliere l’università da frequentare, scegliere il corso di studi, scegliere se proseguire o se gettarsi a capofitto nel mondo del lavoro.
Insomma, è il momento in cui si cercano consigli e storie di vita da usare come parallelo con la propria (spoiler: ogni caso è a sé stante, perchè ognuno di noi è unico e irripetibile).
Concentrandoci sulla scelta dell’università, possiamo trovarci davanti a due situazioni: chi ha già le idee chiare, e magari ha sostenuto con successo la prima tornata di test d’ingresso; e chi vede il proprio futuro come una pianura coperta di nebbia. Che fare? Quale strada prendere? Mi spiace, non c’è una risposta giusta, ma si può arrivare a quella migliore per sé.
Il primo passo: quale facoltà?
Il primo passo è senza dubbio sfoltire l’enorme quantità di curriculum e percorsi di studio che l’Università italiana offre, per lasciare soltanto ciò che veramente interessa. Per fare ciò, il mio consiglio è quello di prendere in considerazione almeno tre aspetti: l’ambito lavorativo in cui si pensa di voler operare una volta conclusi gli studi; un’analisi delle prospettive future di quel determinato settore; e i propri interessi.
Iniziamo con le prospettive di lavoro future. Non devono essere scolpite nella pietra, fisse e immutabili, ma sarebbe bene avere almeno un’idea del settore in cui si vorrebbe operare. Sebbene in tre/cinque anni (o il tempo necessario per laurearsi), la decisione presa potrebbe essere ancora valida, è altresì vero il contrario. Sono molte le cose che possono accadere, gli incontri fortuiti che possono far cambiare idea, le nuove passioni che sbocciano o le opportunità da cogliere al balzo. Il mio consiglio è, quindi, mantenere il più possibile una visione aperta e una mentalità flessibile. So che può essere molto difficile, ma credo sia il modo migliore per non lasciarsi scappare nessuna occasione.
Per quanto riguarda le prospettive future del settore, ci si può affidare ad analisi professionali fatte da esperti, ad esempio dei maggiori quotidiani; si possono chiedere pareri ai professori durante gli open day che le università organizzano; oppure si potrebbe tentare di contattare qualcuno che già opera in quella determinata area e chiedere qualche consiglio dall’esperto. Anche qui, secondo me, vale la buona abitudine di tenere le ali ben spiegate, pronte a cogliere venti di novità: sia mai che un’intuizione felice ci faccia prendere il volo.
Ultimo, ma non meno importante: cercare di conciliare passioni e prospettive di lavoro. Per quanto sia possibile mettere da parte i propri interessi, e scegliere una facoltà solamente in base al futuro, non è facile. Se l’argomento principe del corso di studi non interessa, allora i prossimi saranno anni difficili, considerando che la maggior parte degli esami sarà in qualche modo collegata ad esso (e fidati, studiare qualcosa che non interessa è difficile il triplo). Una buona soluzione potrebbe quindi essere una via di mezzo: la passione applicata al futuro.
Una volta fatta una prima scrematura, per ridurre ulteriormente le facoltà tra cui scegliere, consiglio di cercare di toccare con mano le realtà che più stuzzicano. Ciò può avvenire sia tramite incontri con studenti – durante i già citati open day, in manifestazioni apposite, o anche tramite i social – sia con un primo approccio alla materia di studio.
Bisogna, poi, tener ben presente una cosa: nessuno vieta di cambiare facoltà o curriculum, se a lezioni iniziate ci si accorge di aver fatto un errore. La laurea condizionerà parte del futuro, quindi credo sia meglio scegliere in primis ciò che è giusto per sé.
Ora bisogna scegliere l’università
Può sembrare meno difficile o importante rispetto alla facoltà, e invece la scelta dell’università è forse addirittura più caratterizzante. Ogni ateneo struttura i corsi di laurea a modo suo, sia per orari, sia per quanto riguarda i singoli corsi che compongono il curriculum.
Per questo, una volta individuata la strada che si vuole percorrere, è necessario informarsi. Il Sole 24 Ore, ad esempio, pubblica ogni anno la classifica delle migliori università in Italia e al mondo (se puoi, sogna in grande): un buon modo per individuare qualche nome. Il portale AlmaLaurea, poi, tra gli altri fornisce anche i dati sull’occupazione dei laureati dei vari atenei.
In questo caso, il mio consiglio spassionato è: se c’è la possibilità, scegliere il migliore, non il più comodo. O una buona via di mezzo tra i due.
La mia esperienza personale
Siccome a parlare di teoria si fa presto, ma la pratica è sempre più complessa, ho deciso di parlare del mio percorso di vita universitaria (a grandi linee, eh, perchè tengo parecchio alla mia privacy). Chissà, magari può essere utile.
Mi sono diplomata con buonissimi voti da un istituto tecnico commerciale – indirizzo amministrativo – con una certezza: mai più avrei seguito una lezione di economia, costi quel che costi. Così, in quel momento, quando mi sentivo sul ciglio del burrone, ho fatto una scelta a mezza via tra la testa e il cuore: lingue e letterature straniere, l’unione tra la mia passione per la lettura e lo studio di altri idiomi, che fan sempre comodo. Nello specifico, tedesco e russo; il primo una conoscenza delle superiori, il secondo per ragioni di opzioni lavorative.
Per l’università, sono fortunata: a un paio di ore di treno da casa mia si trova un’ateneo rinomato per l’insegnamento delle lingue straniere, quindi non ci ho pensato due volte.
Sono passati tre anni e, di nuovo sul ciglio del burrone, ho preso una decisione che potrebbe essere stata geniale o folle, ancora non lo so. Con la consapevolezza che il russo non fa proprio per me (per quanto sia una lingua estremamente affascinante), e che non ne potevo più di studiare tedesco, invece di iscrivermi alla magistrale, ho fatto il test estivo d’ingresso al dipartimento di lingue orientali della stessa università, giapponese nello specifico.
È andata bene, e ora il burrone è di nuovo in vista. Morale della favola: in entrambi i casi, ho messo al primo posto qualcosa che mi piaceva, che ero abbastanza convinta avrebbe potuto farmi felice. Perchè se cinque anni di superiori mi hanno insegnato una cosa, è quanto sia difficile andare avanti, quanto siano interminabili e odiose quattordici ore di lezione a settimana di materie che si trovano insopportabili.