Vincitore del Premio Campiello 2020, Remo Rapino poeta e scrittore, nato nel 1951 a Casalguida in provincia di Chieti, vive a Lanciano e ha insegnato filosofia nei licei.
Così riportano le prime righe di vari siti web e così ho letto cercando notizie su Remo Rapino, all’indomani della sua vittoria al Premio Campiello. Perché se è vero che un premio vinto non fa uno scrittore, è altrettanto vero che un premio importante come il Campiello è una bella cassa di risonanza per un autore che arriva ai primi posti.
Remo Rapino, non solo ha vinto il Campiello 2020 ma, come ho scoperto perchè confesso non lo sapevo, con il suo ultimo romanzo, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, ha fatto letteralmente man bassa di premi: è stato vincitore del Premio Napoli, vincitore del Premio Cielo d’Alcamo, finalista del Premio città di Rieti Centro Italia, finalista del Premio Sila 49, candidato al Premio Strega…
Una sfilza infinita di riconoscimenti che sicuramente avranno fatto piacere a Remo Rapino e avranno altresì attirato l’attenzione di chi, come me, non aveva mai letto niente delle sue fatiche letterarie. Il prestigio di un premio è il giusto riconoscimento per un bel libro ma fa presupporre che il premiato abbia dedicato un’intera vita alla letteratura.
I premi non cadono dal cielo come pioggia, dietro ad ogni riconoscimento ci sono gocce di sudore, c’è uno stillicidio di ore e ore di studio, di scrittura, ci sono giorni e spesso anche notti inondati di parole scritte su pagine e a volte cancellate, rivedute, rifatte. Un mestiere quello dello scrittore che sì, da spazio alla creatività, all’espressione della propria interiorità ma non è esente da fatica. Sopratutto quando per scrivere ci si rivolta l’anima come un calzino. E scusa per la similitudine poco poetica.
Le scuse sono obbligatorie dal momento che Remo Rapino, oltre ad aver vinto il vincibile con il suo ultimo romanzo, è anche poeta e la cosa ad una come me che va a braccetto con versi e affini, smuove la curiosità più sfrenata. Confesso non senza un po’ di vergogna, considerata la carriera di tutto prestigio, non conoscevo niente di Remo Rapino fino a quando è arrivato il Premio Campiello che ho seguito da vicino (si fa per dire: l’emergenza covid consente poco le vicinanze) per iCrewplayLibri.
Così da un titolo strano e particolare quale può essere Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, scopro un autore altrettanto singolare. Compro il libro e devo dirti caro lettore che fin dalla primissima pagina mi sento coinvolta dalla scrittura di Remo Rapino oltre che dalla storia raccontata nel suo libro.
Remo Rapino e Bonfiglio Liborio
Liborio Bonfiglio è una cocciamatte, il pazzo che tutti scherniscono e che si aggira strambo e irregolare sui lastroni di basalto di un paese che non viene mai nominato. Eppure nella sua voce sgarbugliata il Novecento torna a sfilare davanti ai nostri occhi con il ritmo travolgente e festoso di una processione con banda musicale al seguito.
Perché tutto in Liborio si fa racconto, parola, capriola e ricordo: la scuola, l’apprendistato in una barberia, le case chiuse, la guerra e la Resistenza, il lavoro in fabbrica, il sindacato, il manicomio, la solitudine della vecchiaia.
A popolare la sua memoria, una galleria di personaggi indimenticabili: il maestro Romeo Cianfarra, donn’Assunta la maitressa, l’amore di gioventù Teresa Giordani, gli amici operai della Ducati, il dottore Alvise Mattolini, Teté e la Sordicchia… Dal 1926, anno in cui viene al mondo, al 2010, anno in cui si appresta a uscire di scena, Liborio celebrerà, in una cronaca esilarante e malinconica di fallimenti e rivincite, il carnevale di questo secolo, i suoi segni neri, ma anche tutta la sua follia e il suo coraggio.
Attraverso il miracolo di una lingua imprevedibile, storta e circolare, a metà tra tradizione e funambolismo, Remo Rapino ha scritto un romanzo che diverte e commuove, e pulsa in ogni rigo di una fragile ma ostinata umanità, quella che soltanto un matto come Liborio, vissuto ai margini, tra tanti sogni andati al macero e parole perdute, poteva conservare.
È un libro non collocabile facilmente né per generazione né per lingua in un contesto già noto della narrativa italiana. […] Sta dalla parte dei matti, degli idioti, fuori dai margini, dove spesso sta la letteratura o comunque dove la letteratura sa stare.
Ho voluto riportare quanto letto sul romanzo di Remo Rapino perchè fotografa esattattamente Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio e a tutto questo aggiungo che lo stile di scrittura è altamente poetico: ogni descrizione, ogni dialogo, ogni riflessione del personaggio nasconde un retrogusto di poesia che coinvolge totalmente il lettore attento a questo aspetto.
Remo Rapino come Andrea Camilleri?
E non posso non rimarcare il linguaggio usato da Rapino nel romanzo: un misto di dialetto abruzzese infarcito di invenzioni originali che tanto ricordano il linguaggio con il quale Andrea Camilleri ha reso immortali i suoi personaggi. Magari è un po’ arduo accostare i due autori: diversi per stile di scrittura, per ambientazione, per background culturale, però non ti nego che fin dalle prime pagine il richiamo a Camilleri è venuto da sè anche se diversissimo è lo stile dei due autori.
Remo Rapino
Comincia la sua attività di scrittore e poeta nel 1993 affiancandola a quella di docente di filosofia. Fra le opere pubblicate, da ricordare tra gli altri i romanzi: Dissintonie del 1993, La vita buona del 1996, Un cortile di parole 2006, I ragazzi che dicevano okay e Il salice, il grano, la rosa del 2011, Vite di sguincio del 2017. Inoltre le raccolte di poesia La profezia di Kavafis pubblicata nel 2003 e Le biciclette alle case di ringhiera nel 2017. Nel 2019 pubblica, per la casa editrice indipendente Minimum fax, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio.
A questo punto non ti nego che mi piacerebbe conoscere anche le altre opere di Remo Rapino e sopratutto la sua poesia. Penso proprio che questo autore rientrerà tra quelli che hanno un posto d’onore, non nella mia tasca come recita il titolo di questa rubrica ma nella mia libreria, sicuramente sì.
E per finire riporto la pagina che conclude Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio di Remo Rapino: l’anima di un poeta sbuca anche tra le pagine di un romanzo, è inevitabile. E commuove.
Tutti i ricordi della mia vita ci faccio
scrivere sulla lapide, dopo che un giorno
prima o poi farò l’ultimo volo di rondine.
La lapide deve essere di marmo chiaro,
con le lettere d’oro, finto però, che va
a finire che se sono di oro vero,
come ci sta per mondo la malagente,
uno in una notte di poca luna se la ruba,
che dopo si legge meno di niente,
e tutto quel lavoro va sprecato, e mai
si saprà chi ci dorme sotto quella terra
e manco un cane mi si ricorda. Amen.