Caro lettore, la “recensione” di oggi, se così possiamo chiamarla, non riguarda un libro ma una tesi di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche sul tema della violenza domestica.
Premetto che uno dei miei sogni nel cassetto è quello di prendere una seconda laurea in psicologia. Infatti al momento della scelta universitaria, avendo inizialmente optato per un diploma tecnico, ho deciso di usare la razionalità e di iscrivermi alla facoltà di economia.
Per questo mi è sempre rimasto il rimpianto di non aver invece seguito la predisposizione che sentivo di avere verso tutto ciò che riguarda lo studio del cervello, come funziona, i suoi meccanismi, le componenti consce e inconsce ecc.
Come dicevo nulla è perduto e comunque posso sempre coltivare la mia passione leggendo.
Quando mi è stato proposto di recensire questa tesina, quindi, ne sono stata entusiasta. Il tema poi mi interessa molto visto che anche il racconto che ho scritto e pubblicato sul nostro sito, Anna, parla proprio di questo.
Mi interessava soprattutto capire cosa succede nella mente di una donna, perché non denuncia subito l’uomo che le usa violenza psicologica o fisica, se c’è una predisposizione. E anche perché a volte nessuno interviene, pur sapendo che magari c’è un problema.
La tesina è organizzata molto bene: si entra subito nell’argomento senza troppi inutili preamboli e, con paragrafi brevi ma incisivi, viene affrontato il tema della violenza domestica dal punto di vista sociologico e culturale, per poi entrare nel vivo dell’argomento parlando della ciclicità della violenza in un rapporto coniugale. E ancora vengono illustrate le motivazioni che stanno dietro al silenzio delle donne.
Inoltre, nonostante sia una tesina, si sente vibrare la voce dell’autrice che con i suoi interventi personali la arricchisce e la rende molto scorrevole e di facile lettura anche per chi non è del settore.
Il titolo Violenza domestica: quando il silenzio diventa assordante è già eloquente.
Perché questo silenzio?
Dallo studio condotto dalla laureanda un ruolo fondamentale nella determinazione della capacità di relazionarsi con il partner lo gioca la famiglia d’origine.
Questo vale sia per il carnefice che per la vittima.
Nel primo caso provenire da famiglie problematiche e/o autoritarie e patriarcali può portare ad avere nel futuro gli stessi comportamenti nella propria famiglia.
Nel caso della vittima, provenire da una famiglia con un padre autoritario e una madre sottomessa, o in situazioni di indifferenza emotiva, porta ad avere maggiore predisposizione ad alcune sindromi come la sindrome di Wendy, che consiste nel dedicarsi completamente ad un uomo fino ad annullare sé stessi.
Le motivazioni del silenzio sono da cercare sempre nelle carenze affettive che ne hanno minato l’autostima fin da bambine e hanno generato la paura di essere abbandonate e private di quell’amore che tanto bramano.
La proposta che si trova nelle conclusioni mi sembra assolutamente interessante: INSERIRE NEI PROGRAMMI SCOLASTICI DELLE ORE SULLA TEMATICA RELAZIONALE. Non so se in qualche scuola già si fa, ma io inizierei già dalle elementari.
L’educazione al rispetto e all’amore e alla convivenza sono fondamentali per combattere la violenza. Io aggiungerei anche la solidarietà, perché non sentirsi soli è molto importante per trovare la forza di reagire
Nella tesina viene citato anche il libro Donne che amano troppo di Robin Norwood, che si sofferma soprattutto sulla problematica della dipendenza affettiva, evidenziando la differenza tra amore e ossessione.
Aggiungo solo un mio pensiero che rivolgo alle donne che si sentono fragili e hanno paura di non farcela da sole: non è così! la forza che cerchi nell’uomo che ti ostini ad amare è dentro di te, cercala ed impara ad amarti. L’amore per te stessa ti salverà.
Come sempre buona lettura!