“Quando approda al bancone dell’High-Ho con la schiena bruciata dal sole e un cocktail in mano, Polly Costello è una donna in fuga…” – Ecco il messaggio iniziale di questo thriller dalle tinte molto noir, “Sunburn“, di Laura Lippman per DeA Planeta edizioni
Mi appresto a leggere “Sunburn” di Laura Lippman con molto entusiasmo, poiché io sono una thrilleriana nata caro iCrewer, e tu lo sai bene; solo che stavolta mi trovo a sperimentare un genere nuovo, diciamo la parte nera del thriller, e quindi sono anche carica di aspettative. Verranno soddisfatte?
Posso cominciare col dirti che la trama di “Sunburn” inizia in maniera per me insolitamente “lenta”: la protagonista, Polly, scappa senza apparente motivo dalla sua famiglia e si nasconde in una sperduta cittadina americana, chiaramente intenta a fermarsi quel tanto che basta per chiarirsi le idee e poi terminare la sua missione. Le descrizioni di lei e dei luoghi sono accurate, rendono perfettamente l’idea dell’atmosfera (siamo alla fine degli anni Ottanta n.d.r) e della realtà dei piccoli paesi, nonché della mentalità provinciale (che è la medesima in tutto il mondo e in ogni epoca storica a quanto pare); fin dall’inizio compaiono i personaggi principali che avranno la loro parte attiva per tutta la durata del racconto. Pagina dopo pagina le psicologie degli attori prendono forma, ma attenzione, mai del tutto svelate, mai scontate, rivelate abilmente quel che basta a far scorrere in avanti il nastro della trama e delle indagini che, parallelamente alle vite vissute dei soggetti principali, fanno da cornice all’intreccio dei vari misteri che accompagneranno il lettore fino alla fine, fino alla rivelazione della loro vera essenza.
“La doccia di Polly è l’unico ambiente buio e squallido dell’appartamento, una cabina che sta in piedi per miracolo con una manopola da quattro soldi e pure rotta. È già difficile per una persona sola stare sotto il getto del soffione, ma loro sono in quella modalità in cui nulla è un problema, a patto che possano toccarsi l’un l’altra. “Quanto tempo durerà?” pensa Polly. “Quanto tempo desidera che duri?” Quanto tempo ha bisogno che duri?”. Adam tira fuori il discorso di Cath dopo essere usciti dalla doccia, mentre giocosamente si asciugano a vicenda. Lei si vergogna dei suoi teli, anche e sono nuovi. Sottili, scadenti, inadeguati. Polly non ha mai desiderato altro che una casa, un posto con degli oggetti che diano piacere. Teli spessi, poltrone profonde, tappeti morbidi.”
Lo stile di scrittura in “Sunburn” l’ho personalmente adorato. Paragrafi brevi, poche parole seguite da punti definitivi anziché virgole infinite magari fuorvianti e stancanti, particolare questo che a mio parere rende ancor più incisivo il messaggio che si vuole trasmettere. Niente archibugi descrittivi, e per quanto riguarda i dialoghi li troviamo scorrevoli e chiari. La “lentezza” percepita inizialmente svanisce, sostituita dalla soddisfazione di accogliere il susseguirsi degli eventi che l’autrice ha magistralmente pilotato.
Impeccabile il finale. Assolutamente inaspettato, o forse sì ripensandoci a posteriori, forse l’autrice è riuscita a farmi sperare il finale aspettato per poi regalarmi quello inaspettato, ma in pratica ha indiscutibilmente fatto centro. Punto.
La cover è una delle poche che mi sia veramente piaciuta. Approvata a pieni voti. Avrei immaginato la protagonista esattamente così, ma c’è un particolare che mi ha affascinata – notato ovviamente solo dopo aver divorato il libro – più di tutto: il riflesso negli occhiali di lei; si vedono delle fiamme, e le fiamme, lette in senso sia fisico che metaforico sono uno dei fili conduttori di questo coinvolgente thriller.
Che dire, il Washington Post definisce Laura Lippman “Una delle migliori narratrici in circolazione. Punto.” E non posso che far altro che concordare. Punto.
L’AUTRICE