Adriano Barone torna con un nuovo romanzo, Ride. Il gioco del custode. Una distopia neanche troppo lontana, nei meandri della lucida follia dell’uomo e di ciò a cui questa può portare.
Il gioco del custode può essere letto in modi diversi. I temi affrontati, talvolta anche solo accennati, sono tanti. Si parla di un padre disperato, disposto a tutto pur di portare qualche soldo a casa e deciso a ritrovare una figlia scomparsa da molto tempo. Si parla di un grande assurdo esperimento sociale, spintosi ai limiti dell’umanità. Si parla di persone senza scrupoli, decise a testare, in ogni modo, i limiti di un altro essere umano. Si parla di una distopia molto simile a quelle così ben presentate in Black Mirror. Non so se avete mai avuto modo di vederla, ma so che se l’avete fatto non potete esservi dimenticati del secondo episodio della prima stagione. Leggendo questo romanzo tornano quelle atmosfere, vediamo scorrere davanti ai nostri occhi la stessa piccola camera, con pochi ed essenziali mobili. Vediamo un uomo, da solo, costretto a vivere sotto una perenne sorveglianza e costretto a muoversi in un labirinto, prigioniero come un ratto.
Per farvi comprendere meglio di cosa sto parlando, vediamo la trama del libro
Il nostro protagonista è Joe, un uomo che potremmo definire a tutti gli effetti disperato. Joe trascorre le sue giornate a pulire le gabbie dei ratti impiegati per esperimenti scientifici in università. Un lavoro di routine, l’unica certezza in una vita altrimenti disastrata, complice un difficile rapporto con la moglie, che lo ritiene responsabile della ferita più grande di tutte: la scomparsa della figlia Angela. E così, quando inaspettatamente viene licenziato, Joe sprofonda ancor di più nella disperazione più cupa. Finché la misteriosa Black Babylon lo convoca a un colloquio per un impiego da custode. Il processo di selezione è surreale, il lavoro persino più inquietante. In un crescendo di follia, Joe dovrà misurarsi con i suoi limiti, le sue paure e le sue decisioni passate, e rispondere alla domanda che si è sempre rifiutato di affrontare: eseguire gli ordini o interferire? Qual è la cosa giusta da fare?
Proprio quest’ultima domanda rappresenta un po’ il cuore di tutto il libro.
Per superare la selezione e riuscire ad ottenere quel lavoro ben retribuito alla Black Babylon, Joe deve essere pronto a fare tutto ciò che gli viene chiesto. Se inizialmente le prove sembrano banali, si rivelano in realtà sempre più estreme. Una prova ricorda pericolosamente il famigerato esperimento di Milgram: due individui vengono chiamati per sottoporsi a un esperimento, apparentemente innocuo. Uno dei due sottoporrà una lista di parole all’altro e, in caso di risposta sbagliata, gli verrà ordinato di somministrare una scarica elettrica all’altro, man mano sempre più forte. Come comportarsi? Ognuno di noi risponderebbe scandalizzato che non farebbe del male all’altro e che non darebbe ascolto agli ordini. Eppure le statistiche hanno dimostrato il contrario; ben il 65% dei soggetti andò avanti sino alla scossa più forte, quella mortale. Quando venne loro chiesto il perché risposero che stavano semplicemente eseguendo degli ordini. E questo fa inorridire. Eppure anche il nostro protagonista, anche se inizialmente scettico, fa esattamente quanto gli viene detto.
Chiuso in una stanza per troppo tempo, un uomo impazzisce
E qui si apre il secondo spunto di riflessione, che porta a riflettere anche su noi stessi, su quanto la nostra morale ferrea potrebbe venir intaccata così facilmente in un ambiente oppressivo ed estremo. “Si stava abituando alla follia?” si chiede a un certo punto Joe. E noi con lui ci chiediamo quanto poco basterebbe per perdere ogni tipo di autonomia, ogni tipo di libero arbitrio.
Il romanzo è lodevole non solo per tutti i quesiti che pone e sui quali ci porta a riflettere, ma anche per la qualità della scrittura
Sappiamo che Joe è un uomo pratico, con i suoi problemi, ma estremamente corretto e coerente. Lo sentiamo dialogare con se stesso, una tecnica molto usata anche dallo stesso King, giusto per fare un esempio, ed estremamente efficace. Più ci avviciniamo alla fine, più i pensieri di Joe si fanno confusi, frenetici, inarrestabili. I discorsi non sono più fluidi, ma caotici, pieni di punti, di frasi sconnesse tra di loro. E in questo modo, percepiamo la follia, la sentiamo crescere anche dentro di noi. E, contemporaneamente, diventiamo Joe. Abbiamo paura delle stesse cose, temiamo un rumore nel buio, ci sentiamo come topi in trappola, esattamente come lui.
Non meraviglia che da un romanzo del genere sia stato ora tratto un film, Ride
Guardando quei pochi minuti di trailer, però, sembra che la forza del libro, le tante delicate questioni sollevate siano messe in secondo piano, a favore di una banale sfida tra due bikers. E questo credo sia un errore.
I libri è vero, devono essere piacevoli e, perché no, anche leggeri. Che siano ben scritti è un aspetto fondamentale. Però, i libri devono anche far pensare, devono costringerci a confrontarci con temi fondamentali, che, invece, vengono spesso sottovalutati. E Il gioco del custode, a prescindere dalla storia ben scritta, da un protagonista estremamente reale e da una trama affascinante, ha il più grande pregio di portare noi lettori a riflettere.