Il Cacciatore detta le regole, la Preda le deve rispettare: la violazione delle stesse non è contemplata, a meno che non si voglia mettere a repentaglio la propria vita…
Questo libro ha generato in me una serie di sentimenti tutti contrastanti tra di loro: già dopo i primissimi capitoli ho pensato che non ce l’avrei fatta a leggerlo fino in fondo, subito dopo però è subentrata la curiosità di sapere, volevo conoscere l’epilogo, anche se, non nascondo, controllavo di frequente le pagine per accertarmi del punto in cui fossi giunta nella lettura e quanto ancora mi mancasse al termine. Più mi avvicinavo alla conclusione, più già intuivo, dentro me, che la storia non si sarebbe mai conclusa come io immaginavo, o meglio, come io desideravo. Eppure, eppure, quando ho terminato il libro per giorni ho continuato a pensare a questa storia, ci rimuginavo su, intanto perché non è mia abitudine scrivere di getto, amo riflettere sulle parole e sul motivo per il quale vengono scritte e sul senso che l’autore ha voluto imprimere e poi perché, se da un lato è un romanzo che mi ha profondamente colpita – e non in senso propriamente positivo – dall’altro ho cercato di mettermi nei panni dell’autrice che, magari, con questo suo romanzo, ha voluto trasmetterci un messaggio. E dunque caro iCrewer voglio iniziare citandoti uno stralcio del romanzo Prendimi se mi vuoi di Ella Gai «Charlotte Stone, nata il 15 dicembre del 2003», mi indica. «Genitori ignoti. Peso tre chili e tre. Segni particolari: una voglia rosa in prossimità del pube. Ce l’hai ancora?», domanda per nulla interessata. Annuisco. «Bene!», squittisce. Torna a studiare il documento. «Sei arrivata qui da noi il giorno dopo la tua nascita. Per lo Stato della Carolina del Nord, dato che nessuno ha preteso diritti su di te, lo Stato è diventato il tuo tutore». Mormora velocemente le altre informazioni che mi riguardano e poi mi dà la peggiore notizia della mia vita. «Data di adozione: 10 marzo 2019».
Questa è la storia di una giovane ragazza, di appena sedici anni, che, abbandonata alla nascita, ha vissuto, per la maggior parte del tempo, in un orfanotrofio e precisamente al Saint Mary, in Nebraska. Qui non riceve di certo le cure amorevoli di una famiglia, non c’è nessuno che le dia il bacio della buonanotte o le rimbocchi le coperte prima di andare a letto, nessuna mamma e nessun papà da chiamare nel momento del bisogno, c’è solo lei, la sua migliore amica Jennifer, dalla quale non si separa mai, con le altre con ragazze che dimorano nell’inospitale ambiente e, infine, loro: le Madame, coloro che dirigono e che trattano le ragazze al pari delle gestapo. Charlotte è una ragazza dal carattere indomito, non ama sottomettersi, è, insomma, quello che possiamo definire uno spirito libero, che pregusta già quel momento in cui, assieme a Jennifer, raggiungeranno la maggiore età e potranno abbracciare e prendere per mano quella libertà che è stata loro sempre negata. I sogni, però, si infrangono, come fossero fatti di vetro soffiato, nel momento in cui la direttrice le comunica che qualcuno ha deciso di adottarla: Charlie è a dir poco incredula, nessuno mai, prima di allora, l’aveva scelta, anzi, era sempre rimasta nell’ombra a guardare le ragazze che, felici, lasciavano quell’angusto posto assieme ai loro nuovi genitori adottivi; perché adesso avrebbero deciso di adottare lei, proprio lei che per antonomasia era il ritratto della ragazza ribelle?
Fatto sta che, messa da parte la tristezza di doversi separare da Jennifer, si appresta a compiere quel viaggio che segnerà l’inizio della sua nuova vita «Questa è la mia nuova casa. Questa è la mia nuova famiglia. E io non vedo l’ora di essere amata da loro.»
Per Charlotte questo sarà davvero l’inizio di una nuova vita, peccato, però, che non sarà la vita che lei pensava l’attendesse, peccato però che ad aspettarla troverà lui: Joseph Hunter meglio noto come il Cacciatore e di certo se viene chiamato così non è per la sua passione smodata nei confronti della caccia, quantomeno non nel senso noto come caccia agli animali…
Partiamo dal presupposto che si tratta pur sempre di un dark romance e già la parola dark (letteralmente dall’inglese buio, oscuro, scuro) non può promettere nulla di roseo, nulla di tutto ciò che il genere romance puro e semplice è: non ci si deve aspettare la storia d’amore con tutti i cliché che ne derivano, la dolcezza sconfinata, quasi smielata – alle volte -, il lieto fine scontato… no, assolutamente, qui siamo dinanzi alla forma perversa dell’amore, l’aspetto rude, crudo, violento, dove c’è qualcuno che vessa, in maniera psicologica e/o fisica un’altra persona che, inevitabilmente, ne diventa succube, sottomessa, remissiva, e insomma potremmo continuare all’infinito con gli aggettivi ma credo che, l’idea sia piuttosto chiara.
E questo romanzo gli aspetti del dark romance li ha tutti.
I protagonisti principali sono due: Charlotte e il Cacciatore. Lei è, come detto, un’orfana, una ragazza che non ha mai conosciuto chi l’ha abbandonata in un freddo dicembre, una giovane fanciulla che crescerà con la consapevolezza che potrà contare solo su sé stessa e sulle proprie forze, una ragazza che, nonostante la propria fragilità fisica, mostrerà una grande forza d’animo; Charlotte, chiamata Charlie, crederà, dopo anni di solitudine e ristrettezze della propria libertà, non solo fisica ma anche di pensiero, di aver finalmente trovato una famiglia pronta ad accoglierla, una casa in cui crescere, un focolare sempre acceso, due genitori da amare e dai quali essere amata. Nulla di tutto ciò accadrà, nessun focolare, nessuna mamma, nessun papà, solo il suo nuovo tutore, che si farà apostrofare con il vezzeggiativo di paparino, ma che della bontà paterna non ha proprio nulla se pensiamo, d’altro canto, a ciò che questo tutore farà a quelle che lui chiama le sue bambine.
E quindi Charlotte, in onore della propria tempra, cercherà di resistere e di lottare con tutte le proprie forze, cercherà di non piegarsi al volere del Cacciatore, proverà a resistergli con la piena cognizione di sapere che ad ogni suo no, ad ogni sua disobbedienza, ad ogni sua rimostranza, ne pagherà gravemente le conseguenze, e non sto parlando di sculacciate, di frustrate o schiaffi – e già questo di per sé non è cosa da poco – no, farà molto peggio, ai limiti della crudeltà, della denigrazione, dell’umiliazione, della cattiveria.
Il Cacciatore, dal canto suo, non è solo perfido, ma, a mio avviso, è una persona disturbata mentalmente, che è qualcosa che va oltre la pura e semplice cattiveria, ovvero la cattiveria unitamente all’elemento psicologico, in queste persone, crea il perfetto connubio per renderle altamente pericolose ed instabili. Non posso diversamente definire un soggetto che trae godimento dal fare e dal far fare certe cose a quelle, ripeto, lui chiama le sue bambine…
Questo è forse l’elemento che a me ha cagionato maggiore sconcerto: la giovane età delle prede del Cacciatore. Ragazze alle quali, lui stesso, ne ha rubato l’innocenza, la velleità dei sogni, la beltà di godere del sole del mattino e del tramonto della sera, ragazze alle quali lui ha strappato ogni barlume di speranza, rendendole vitree, rendendole prive di sentimenti e facendo loro credere che la loro vita oramai è questa e nient’altro possono pretendere se non supinamente accettarla.
Ora, pur conoscendo il genere dark romance non ho potuto oltre modo accettare questo, non ho potuto tollerare la giovane età delle vittime sacrificali, semplicemente perché me le sono immaginate – appunto bambine – con quella genuina fiducia nella vita, nel futuro e nel prossimo.
Anche se, è vero pure, che essere vittime di tali carnefici ti irretisce non solo il corpo ma anche la mente, diventi, quasi quasi, condiscendente e credi che quello che ti stiano facendo sia giusto, che forse te lo meriti pure… non so se è questo quello che è successo alla nostra protagonista femminile ma, in certi punti, ha avuto pensieri e comportamenti contrastanti: una parte di lei ha iniziato a desiderare, accettare quasi, quella perversione per poi, però, assumere atteggiamenti di ribellione a quella sottomissione. E’ come se, avesse quasi sperato di far innamorare di lei il proprio aguzzino, o peggio, che lei ne fosse innamorata… mi ha dato tutta l’impressione di quella che viene definitiva come Sindrome di Stoccolma: si definisce tale quel particolare stato di dipendenza psicologica e/o affettiva ove la vittima inizia a provare un sentimento positivo, che rasenta l’amore, nei confronti del proprio carnefice, giungendo quasi alla sottomissione non solo totale ma anche volontaria.
«Dovevo scegliere tra me e lui. Tra dolore e piacere. Tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. Qualunque decisione avessi preso, il mio destino era già segnato da violenze e droga. Solo che non avevo fatto i conti con il cuore, il mio cuore.»
Nel romanzo, poi, sono presenti ulteriori personaggi che non si possono definire propriamente secondari ma che assumono un ruolo di spicco e di quasi protagonismo.
A dirla tutta l’autrice è stata brava a descrivere, in maniera così accurata e con dovizia di particolari, certe scene, perché, a mio avviso, se talune situazioni non le vivi non le puoi raccontare con meticolosità e precisione, quindi, devo ammettere che con le sue descrizioni è riuscita a rendere ancora più vivide certe scene, tanto che mi sono ritrovata a trattenere il fiato e quasi a chiudere gli occhi; mi chiedo, e preciso, sono sempre mie riflessioni formulate a voce alta, una persona, o meglio una ragazzina, che si trova in determinate situazioni, può essere capace di esternare dei pensieri che rasentino l’ironia o il sarcasmo? E’ ovvio, come detto, che certi accadimenti riusciremmo a spiegarceli solo vivendoli e non so fino a che punto, i pensieri possano essere ironici. Non l’ho riscontrato di sovente nel romanzo, ma seppur in maniera sporadica mi ha fatto riflettere.
Passando all’aspetto tecnico, il libro è ambientato nell’epoca attuale infatti la protagonista nasce nel 2003 e viene adottata nel 2019; si suddivide in 21 capitoli, la scrittura è fluida, chiara, scorrevole e non si ravvisano refusi: solo in due, tre occasioni mi è capitato di imbattermi in dialoghi diretti ove mancassero le classiche virgolette di apertura e/o chiusura del discorso, ma sono comunque minuzie, perché nel complesso il libro è ben scritto, anche l’uso di certe terminologie tipiche della storia che viene descritta è apprezzabile. La storia è narrata dalla protagonista femminile, Charlotte ed è, come è ovvio che sia, quasi sempre dinamica, non ci sono momenti di stasi, ha questo ritmo che non ti consente di annoiarti. Dato l’argomento, vuoi per la suspense, vuoi per le scene, la concentrazione si mantiene piuttosto alta.
Questo per quanto concerne la scrittura, per quanto attiene il linguaggio utilizzato devo dire che è crudo, diretto e forte: vengono utilizzati termini espliciti per descrivere le parti anatomiche sia femminili, sia maschili, non si lesina l’uso dei classici improperi, un linguaggio, alle volte, anche offensivo, ma ciò, naturalmente, rientra in tutto e per tutto nella tipologia del romanzo.
Va da sé, ma è quasi superfluo dirlo, che le scene a sfondo sessuale sono descritte in modo veramente esplicito, senza celare nulla e senza lasciare niente all’immaginazione.
Quello che penso, in conclusione, sul romanzo è che forse, tutto quanto descritto dall’autrice non è molto lontano da quello che nella realtà accade, non è improbabile che, nella vita reale, succeda davvero… io, sinceramente, mi augurerei che così non fosse perché il solo pensiero mi fa sentire quasi fossi in apnea, ma a malincuore devo invece prendere contezza con la realtà e pensare che casi simili, che le storie narrate nel romanzo e che si intrecciano in quella principale, esistano davvero.
In ultima battuta: una figura, che è stata quasi un’apparizione nel romanzo, per ben due volte, mi ha fatto propendere che qualcosa, in positivo, potesse cambiare, e poi l’epilogo dello stesso: quasi aperto, quasi lasciato all’immaginazione del lettore che si trova così a fantasticare su ciò che accadrà oppure devo pensare che l’autrice abbia in mente un sequel, quest’ultimo aspetto, ad ogni modo, non ci vieta di pensare al finale che avremmo voluto.
A chi consiglierei quindi la lettura di Prendimi se mi vuoi? Sicuramente a tutti gli amanti del genere dark romance, naturalmente non di giovanissima età, proprio per i toni forti ed i contenuti espliciti, e forse lo sconsiglierei a coloro che siano soggetti a facile turbamento.
Biografia
Ella Gai nasce a Napoli, il 24 settembre del 1985, ma vive a Roma da quando aveva 5 anni. Dopo aver ottenuto un diploma linguistico, si iscrive all’università La Sapienza conseguendo una laurea di primo livello in cinema e una di secondo livello in spettacolo digitale. Durante gli anni dell’università ha lavorato per l’emittente universitaria della Sapienza, curando la rubrica Cinema, e ciò le ha permesso di acquisire parecchia esperienza nel campo cinematografico e televisivo. Ella Gai è uno pseudonimo con il quale si firma: ha scelto tale modo di presentarsi al pubblico perché la prima volta che ha pubblicato aveva paura di essere giudicata, soprattutto dalle persone che la conoscevano. Con il senno di poi, però, ne è molto felice perché è particolare e al tempo stesso unico. Odiare Amare Baciare, è un suo romanzo che è stato edito da Newton Compton nel 2015, inizialmente autopubblicato, è stato accolto con enorme favore dalle blogger e dai lettori italiani arrivando in vetta alle classifiche dei libri più venduti sul web.
Non avrei mai letto un romanzo dark che ha come protagonista una adolescente del 2003, una sedicenne coetanea di mia figlia. Che dire: pur di destare un qualsiasi interesse nel lettore, si scrivono dei romanzi che ai tempi belli sarebbero stati censurati. Almeno alcuni scrittori del genere hanno il buon senso, scrivendo del co-protagonista di desiderare la preda e da predatori, carnefici, cacciatori -o qualsiasi altro epiteto si voglia aggiungere alla lista- hanno il buon “senso” di aspettare che le vittime agognate crescano
È proprio questa la cosa che mi ha destabilizzata, Sandra! Aldilà del genere, che è un dark, e presenta determinate caratteriste, la giovanissima età mi ha turbata, proprio perché mamma di due bambine. A meno che l’autrice non abbia voluto lanciare un messaggio su quello che la realtà odierna è, nostro malgrado, diventata…