Recensione Non essere cattiva, di S. E. Lynes
Questo è un libro caro iCrewer che, premetto, mi è piaciuto tantissimo: intenso, commovente, adrenalinico e con magistrali colpi di scena; ma sul fatto che si tratti di un vero e proprio thriller ammetto che ho qualche dubbio. Dubbio che non va comunque ad inficiare sulla qualità della storia raccontata da S. E. Lynes, autrice bestseller.
La storia di Non essere cattiva
Una coppia di giovani che si ama, un bambino arrivato troppo in fretta, il sogno di una donna qualunque, Carol, che desidera solamente avere una famiglia ed amarla, e il beffardo destino che le dona invece una quotidianità fatta di soprusi e abusi. Due figli nati da quell’unione, due creature da salvaguardare a tutti i costi, con la forza che solo una madre riesce a tirar fuori, anche nelle condizioni peggiori.
I protagonisti
Sono descritti davvero in maniera sublime, soprattutto la parte psicologica. L’autrice non nega, alla fine del libro, di aver attinto a determinate esperienze personali e non, per arrivare a creare un quadro completo di quella che (purtroppo) è una situazione che si verifica frequentemente, più di quanto si immagini, e in ogni angolo del mondo: la violenza domestica. Pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, si respira l’aria pesante che grava su Carol e sui suoi figli, si avverte la pressione, si possono quasi toccare con mano la paura, il terrore, il senso di colpa, i rimorsi, l’insicurezza che ogni persona proverebbe in una situazione come quella descritta nel romanzo.
Non manca una geniale introduzione di personaggi (uno sopra a tutti) che, nonostante vivano al di fuori delle dinamiche centriche della famiglia di Carol, svolgono un ruolo decisivo e cambiano, come altre piccole grandi cose, il corso degli eventi. Insomma, tutto è collegato, anche se sembra che dinamiche così terribili, quando si verificano, rimangano sospese in una bolla atemporale, al di fuori del mondo.
“Nicola non ha mai saltato un giorno di scuola, dice. Cento percento delle presenze, praticamente. Non ha mai dato pensieri alla mamma. Ora vuole diventare avvocato, la presuntuosetta. Sorride per fargli capire che intende in modo affettuoso. Nicky si è presa tutto il buono che c’era. Fissa a terra, si morde il pollice mangiucchiato. È un angelo, come la mamma. Io… bè, io somiglio a LUI, no? Alza la testa, un luccichio negli occhi. Al diavolo.”
L’inno all’amicizia, alla sorellanza e all’amore che trionfa su tutto nonostante tutto, alleggeriscono la lettura e regalano quel senso di speranza che limita lo sgorgare delle lacrime o l’insorgere del singhiozzo a causa del respiro troppo a lungo trattenuto.
Perché non ritengo che Non essere cattiva sia un thriller?
Perché è una storia troppo “vera” per poter sembrare uscita dalla fantasia di un creativo. Perché nonostante gli azzeccatissimi risvolti finali, qui non si tratta di una suspense che va a concludersi con la soluzione di un enigma; perché qui si respira aria di (triste) realtà. Questo non significa che non vi siano falsi indizi, colpi di scena e complotti, ma che il lettore rimane spiazzato dalla cruenza di una verità che è, semplicemente, verità. Che anche nel mondo reale non si racconta, che si nasconde, che non viene sponsorizzata, per salvaguardare una mentalità che ahimè è più dura a morire di quanto si vorrebbe.
“In cima ad uno scatolone di piatti Carol trova una radiolina nera. Tirano fuori il resto, cantando con la musica in sottofondo, a tratti chiacchierando, a tratti in un silenzio complice. Sono tutte cose messe da parte dagli amici e dai colleghi di Pauline. Carità, ecco cos’è. Non che Carol non gli sia riconoscente; è solo che si chiede se la gratitudine non sia sempree accompagnata dalla vergogna, dato che ormai le sembrano esattamente la stessa cosa.”
Recensione Non essere cattiva, altre due considerazioni
Voglio parlare della cover e del titolo. La copertina mi piace molto: un peluche voltato di spalle, sopra a quella che è una bara, che rappresenta la “morte” di un’infanzia serena, normale. Evocativa e assolutamente attinente. Sarei curiosa però di sapere qual è il titolo originale (e magari anche la cover) dell’opera; come diceva una mia collega in un suo articolo, la varietà di questi elementi può incidere anche molto sia sulla scelta sia sulla considerazione finale di un’opera.
L’altra considerazione è quindi rivolta appunto al titolo; debbo ammettere che ho dovuto pensarci un po’ su, perché di primo acchito mi pareva poco attinente. Si riferisce alla protagonista? A sua figlia? Alla fine ho pensato che si riferisca ad entrambe, e non solo. Ho pensato che, se si vuole sopravvivere, un po’ cattivi bisogna essere. Ecco, l’ho detto. Caro iCrewer, se hai letto il libro o hai intenzione di leggerlo, vorrei proprio sapere, quando arriverai alla fine, se la pensi come me.
Buona lettura!