Marisa De Spagnolis è un’archeologa ma anche autrice di molte pubblicazioni sull’archeologia campana e laziale, zone dove ha effettuato scavi di grande rilevanza. Tra i vari incarichi che ha ricoperto, è stata Direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga, sul quale ha pubblicato libri e articoli con lo scopo di divulgare sia ad un pubblico di accademici che di appassionati il valore archeologico offerto dal gruppo omerico.
Oggi caro iCrewer ti racconto la mia esperienza di lettura di una delle sue opere, edita AliRibelli e disponibile dal febbraio 2020.
Recensione di Con il Vesuvio sotto i piedi di Marisa De Spagnolis
LE AVVENTURE NEL TERRITORIO DI POMPEI DI UNA ARCHEOLOGA VISSUTA ALL’INTERNO DEGLI SCAVI
Comincio col dirti caro amico lettore che ho subito apprezzato lo stile linguistico che, come accennato poco sopra, può essere ben gestito anche dai non addetti ai lavori, anche se ovviamente apprezzato maggiormente da chi di archeologia ne mastica (sicuramente più di me). In entrambi i casi però traspare da subito la passione e l’amore di questa studiosa che ha fatto del suo mestiere lo scopo della vita e che le ha regalato immense soddisfazioni.
La storia inizia brevemente con la data in cui la protagonista, autrice e archeologa, scopre l’amore per questo lavoro che l’accompagnerà di lì a venire: era il 1964. La vita e il destino portano Marisa – che parla sempre in prima persona – alla fine degli anni 80 non solo a Pompei ma successivamente anche nella Piana del Sarno, luogo che le rimarrà sempre molto caro.
La ritenevo una sorte concessa a pochi e cominciai subito a rendermi conto di essere di fronte a un terreno vergine, una pagina bianca su cui scrivere una storia inedita…
Le sue avventure e disavventure quotidiane, la dedizione al lavoro così come alla famiglia, ma anche e soprattutto una spiccata sensibilità verso ogni cosa che la circonda, porta Marisa a vivere e a raccontarci tanti frammenti di vita, passata e presente, alternando narrazioni di vita quotidiana a intuizioni di ciò che il passato – coi suoi tempi e con le sue modalità – ha trasmesso fino a noi, a mo’ di memoria ma anche di consapevolezza e, infine, anche di monito.
“Ritrovare nella cucina il dolio con la farina – di color grigio chiaro, con quasi la stessa consistenza dell’attuale ma più leggera, avendo perso umidità – e il mestolo, così come tutto era stato lasciato il 24 agosto del 79 d.C., donava a tutti noi un’emozione incredibile perché ci permetteva di verificare con i nostri occhi la crudeltà di una vita interrotta di colpo. Quasi immaginavo la forma di una donna di duemila anni fa intenta a sollevare il mestolo traboccante di farina. Quello che stavamo conducendo non era un semplice scavo archeologico, ma un salto nel passato carico di emozioni che solo l’are seppellita dal Vesuvio poteva regalare.”
Non mancano riferimenti alle problematiche burocratiche e culturali cui si trova spesso a dover combattere Marisa, ma figurano tanti momenti di amicizia, lealtà, impegno e tenacia che permetteranno al gruppo di lavoro di arrivare a risultati strepitosi e non in ultimo di consolidare amicizie e affetti, e crescita personale. Difatti nel finale – non essendo un romanzo non è proprio la definizione più adatta e in questo caso sta a significare il termine della narrazione – vi è una nota nostalgica, una riflessione di Marisa De Spagnolis e un ulteriore slancio d’affetto e consapevolezze, scaturite da un evento catastrofico che ha colpito i luoghi interessati dalla storia recentemente.
Concludo questa recensione con un ultimo apprezzamento sulla scelta della grafica della cover di Con il Vesuvio sotto i piedi – che emana semplicità e schiettezza – che unite alla presenza di notevole quantità di fotografie di reperti e scorci dei luoghi e alle pagine del libro lucide e preziose (di più alta qualità rispetto agli standard) donano un ulteriore messaggio: ciò che in apparenza può sembrare sommario e dai colori lievi e sbiaditi nasconde una ricchezza inimmaginabile.