“Lettere dal confine orientale” è un emozionante viaggio a ritroso nel tempo, che parte da una vitale e caparbia Emilia Romagna ed arriva ad un’Istria dal passato geopolitico nostalgico e turbolento
Quando leggo la trama di un libro, non guardo solamente al genere consolidato tra i miei preferiti (sai già che sono appassionata di thriller, caro iCrewer) ma anche a quel quid che riesce di colpo ad incuriosirmi o a farmi porre interrogativi sulle mie (mai abbastanza) competenze culturali di vario genere; “Lettere dal confine orientale” di Maria Teresa Rossitto ha suscitato in me proprio questo: una ghiotta occasione per imparare qualcosa di nuovo. E, fortunata come sono al solito, ho trovato in questo romanzo molto ma molto di più.
La storia prende spunto da una situazione storica, ovvero la diaspora giuliano dalmata; in realtà la vicenda narrata è completamente di fantasia, mentre le citazioni sulla strage di Vergarolla e sul campo di prigionia di Borovnica citati nel romanzo sono fatti storici realmente accaduti.
“Nel cuore della pianura padana, alla periferia di un paese senza un volto preciso, lì si trova l’Oasi di Nora, e come tanti altri luoghi diffusi lungo tutto un territorio esteso e pianeggiante, per circa cento giorni all’anno, il sole non riesce a filtrare dalla spessa coltre formata dalla nebbia. […] Qualche volta i destini si incrociano e le vite appaiono sorprendenti nella miseria e nella generosità. Quel luogo circoscritto e delimitato può appartenere a a qualsiasi città del mondo, alle estreme periferie, alle favelas sudamericane e raccontare storie imprevedibili, storie di piccole e grandi vite. Il contorno non è importante perché il teatro, il centro degli eventi, è la casualità degli incontri. La nebbia non è soltanto quella che circonda quelle strade, me è lo stato di ottundimento che avvolge le persone prima del loro inevitabile incontro. La nebbia è la cecità con cui si vive prima di incontrarsi, anche involontariamente. Poi come il sole che prepotente si insinua ed illumina, aprendo nuovi scenari e nuovi orizzonti, così l’incontro talvolta banale in un luogo spesso anonimo e anche misero riscrive la storia, devia il percorso, regala lune d’argento a chi non ha mai visto che frammenti di cielo e fango“
Ecco, la storia inizia pressappoco così e ho trovato queste parole impattanti e assolutamente rappresentative – ho considerato una volta arrivata a fine lettura – del leitmotiv appartenente a questo romanzo. Nel titolo poi vi è espresso il chiaro riferimento alle lettere d’amore spedite da una giovane e coraggiosa donna al suo amato che però non riceverà mai, e che segnano letteralmente l’inizio dell’avventura della nostra protagonista. E a questo proposito debbo dire di aver apprezzato molto anche la cover, di stile sobrio ma non serioso, e con la figura di un uomo che pare tiri fuori da un vecchio scatolone moltissime lettere che formeranno, appunto, una storia, una testimonianza, un’eredità da trasmettere a grandi caratteri.
Per quanto riguarda lo stile di scrittura niente da eccepire, tranne qualche ripetizione descrittiva di personaggi ed eventi (unita ad alcuni refusi) che mi ha fatto un po’ storcere il naso: ho avuto la sensazione che l’autrice volesse dilungarsi per arrivare a “far pagine”, quando in realtà non ce n’è assolutamente bisogno vista la forza narrativa contenuta in tutto il racconto; ma in fin dei conti può essere semplicemente espressione della sua penna, e di conseguenza colpire più o meno ogni lettore. I personaggi sono tra l’altro abilmente rappresentati, tanto che alla fine li senti “tuoi” e ti emozioni con loro, fino all’epilogo.
Vorrei che sapesse una cosa importante. ci ho riflettuto molto ieri sera. per capire gli sloveni bisogna conoscere una parola in particolare, ed è il sostantivo “hrepenenje”, che esprime un concetto significativo. Il dizionario traduce questo sostantivo come “brama”, “nostalgia”, o “struggimento”. l’essenza dell’anima slovena è tutta racchiusa in questa parola, ed allude alla storia del nostro paese scandita da cambiamenti di confine, alienazione, emigrazione, impotenza.
Epilogo che ha un sapore veramente toccante, fa riflettere, e ti lascia davvero con più consapevolezze: umane, storiche e sentimentali.
L’AUTRICE