Caro iCrewer, voglio iniziare questa mia recensione proprio con uno stralcio dell’ultimo libro che ho letto e del quale, a breve, ti parlerò: L’enigma del gesuita di Andrea Frediani.
«Il vecchio non riuscì più a contenere il tremore. I brividi lo scossero e sentì di non poter più dominare intestino e vescica e si chiese se anche Gesù avesse perso il controllo dei propri organi quando era andato incontro al suo destino sul Golgota; in fin dei conti, nell’orto del Getsemani aveva avuto i suoi dubbi, era stato assalito dalla sue paure… Sentì lacrime sgorgare. Adesso veniva il difficile. Si appellò a Dio e tacque.»
Sin dalle prime battute, ho subito intuito di avere tra le mani non solo un romanzo storico, ma qualcosa in più, qualcosa che te lo fa apprezzare non appena inizi a leggere; già dalle prime righe intuisci che si tratta di un libro che ti trasporterà con sé, ti condurrà fra le pagine dello stesso e ti porterà direttamente all’interno degli eventi quasi fossi lì ad osservarli e viverli in prima battuta: questa è stata la sensazione che ho percepito io.
L’epoca in cui viene ambientata la storia è piuttosto risalente nel tempo: si parla del 1634. La vicenda ha inizio in Egitto e seguirà un determinato percorso geografico: percorso che, oltre a farti apprezzare la storia narrata, ti porterà alla (ri)scoperta di città delle quali, magari, hai solo sentito parlare o, addirittura, delle quali possiedi soltanto delle reminiscenze scolastiche.
Va da sé che, considerato il titolo, il protagonista assoluto di questo romanzo sia, per l’appunto, un gesuita, tale padre Athanasius Kircher, il quale verrà investito di un compito tanto importante quanto delicato: dovrà preservare – custodire – una verità universale dalla quale dipende – o dipenderà -, a seconda dai punti di vista, il destino della intera umanità. Per poter compiere ciò padre Kircher non sarà solo nel suo lungo viaggio ma verrà accompagnato da un ragazzo, Antonio Naldi, giovane donnaiolo poco avvezzo alla religiosità: insomma una coppia decisamente strana; questo viaggio, allo stesso tempo, si rivelerà per gli stessi altamente introspettivo.
Certo è che la salvaguardia di questo segreto è pesante quanto un macigno, pericolosa come una crociata e delicata come vetro soffiato e la sua cura dipenderà proprio dal nostro Athanasius Kircher: riuscirà il nostro buon prete nel proprio intento?
Il romanzo si presenta suddiviso in capitoli, esattamente venti, i quali sono contrassegnati dai numeri romani; ogni capitolo, poi, è composto da una numero di pagine che varia dalle diciassette alle venti. La narrazione è in terza persona, e benché l’attenzione sia diretta, principalmente, su padre Kircher, l’autore ha curato, nei minimi dettagli, anche gli altri personaggi che gravitano nel romanzo.
Il libro è ben scritto, anzi, il linguaggio utilizzato è pressoché perfetto: i refusi sono scarsamente presenti, quasi inesistenti – minuzie, direi -; piuttosto i termini utilizzati, i dialoghi fra i personaggi, i discorsi di padre Kircher, sono raffinati, eleganti, puliti e in perfetta sintonia con il periodo storico nel quale gli eventi vengono collocati (ricordo che ci troviamo nel 1634).
Lo stile fluido del libro consente di mantenere sempre lo stesso livello di concentrazione e, d’altro canto, considerate le argomentazioni trattate nel romanzo, è di lapalissiana evidenza che l’attenzione debba essere costante: ci sono parti del libro, quelle più attive, più movimentate, diciamo così, dove è ancora più semplice rimanere concentrati.
Nel romanzo, altresì, vengono citati fatti e/o accadimenti storici, religiosi, ma anche di filosofici, si parla di invenzioni scientifiche, si seguono ragionamenti la cui logica va seguita passo passo, ma è un qualcosa che riesci a fare con naturalezza, senza difficoltà alcuna: la lettura scorre senza particolari intoppi.
Qualche battuta viene espressa in lingua francese, benché nel libro vi sia un chiaro riferimento ad idiomi di altre nazionalità.
L’andatura del libro è quasi sempre ritmata e mai piatta, il romanzo, invero, mantiene un’evoluzione della storia che cresce e decresce in maniera proporzionata: per intenderci, vi sono periodo intensi, dove un accadimento segue l’altro e la suspense è veramente elevata; ti ritrovi, quindi, a pensare a cosa accadrà subito dopo, e leggi leggi perché vuoi conoscere l’epilogo. In questo romanzo, ad ogni modo, i momenti dove l’avventura è all’apice sono prevalenti rispetto ai momenti in cui non si descrivono scene dove l’azione la fa da padrona!
Non sono presenti particolari digressioni; i dialoghi sono espressi sempre in forma diretta.
Nel romanzo, infine, non manca quel tratto di ironia che non guasta «a quanto pareva, se si trattava di mettere in piazza gli affari suoi il gesuita non si faceva problemi.»
In realtà, padre Athanasius Kircher è realmente esistito, così come, nel libro, troviamo altri personaggi reali, vissuti nel periodo nel quale la storia viene collocata. In particolare, padre Kircher è stato un erudito gesuita, ma anche un filosofo, uno storico ed un museologo tedesco, e questo ci viene specificato da Frediani nella postfazione: narra di questo dotto uomo che amava, tra le altre cose, la cultura, gli studi linguistici e il collezionismo di antichità, ma nel suo romanzo, chiaramente, l’autore costruisce questa storia dove se, da un lato, il protagonista è realmente esistito, dall’altro lato la storia narrata vera lo è in parte – poco di quello raccontato è realmente accaduto – ed è stata arricchita e costruita in maniera eccellente, tanto eccellente da appassionare il lettore.
Athanasius Kircher è un personaggio che a primo impatto può non piacere: in effetti ha questa personalità forte, sostenuta, pare indifferente a tutto e tutti, gli importa solo del suo sapere e della sua conoscenza. Però man mano che la storia prende corpo e forma, inizierai a cambiare opinione sul proprio conto – perlomeno a me è successo proprio questo – e ne apprezzerai la profonda conoscenza delle cose e delle materie, l’incommensurabile sapienza, l’inventiva e la scaltrezza. Pur essendo uomo di chiesa, però, una pecca l’aveva: l’essere un vanesio; sin dall’inizio si ritiene il migliore – e l’unico – in grado di poter risolvere l’enigma postogli.
«E Antonio capì, in quel momento, quale era il punto debole di quell’uomo geniale, intelligentissimo e coltissimo. Un punto debole che un religioso non avrebbe mai dovuto avere. La vanità.»
La vanità, frivolo compiacimento delle proprie caratteristiche che giustappunto un prete non dovrebbe avere.
Antonio, al contrario, è un ragazzo appartenente al popolo, di bassa cultura, anche poco incline al lavoro, se vogliamo, ma senza un briciolo di malizia, di cattiveria; un ragazzo che, verso il gentil sesso, prova una forte attrazione, tanto forte da non saperne resistere. Il suo incontro con padre Kircher sarà del tutto casuale ma, al contempo, rappresenterà anche la chiave di volta per fare chiarezza nella sua vita.
Il gesuita e il ragazzo rappresentano, come su detto, una coppia sui generis, fuori dal comune, ma entrambi diventeranno complementare l’un l’altro, insieme si renderanno vincenti, separatamente non avrebbero avuto la stessa valenza, cioè a dire visti singolarmente, probabilmente, non avrebbero regalato al romanzo quel quid in più che, di fatto, ha assunto; inconsapevolmente, e senza averlo preventivato, si aiuteranno: in che maniera, però, lo dovrai scoprire tu, caro iCrewer, leggendo questo interessante libro.
In effetti, in questo libro, a mio avviso, si cela un insegnamento di vita: la vanità, la superbia (che peraltro è uno dei sette peccati capitali) non ci conducono da nessuna parte se non ad un mero elogio di noi stessi e del nostro ego; l’umiltà, al contrario, ci rende puri al cospetto di Dio e ci aiuta ad affrontare con maggiore serenità le vicende della quotidianità; l’umiltà ci esalta anche quando così non pare, e ci ripaga donandoci quella pienezza d’animo che ci fa sentire in pace con noi stessi. A mio modesto avviso è questo il principio che questo romanzo ci vuole impartire. Quando leggerai la conclusione della storia, e ti consiglio vivamente di leggere altresì anche la postfazione redatta dall’autore, ti renderai conto che la conclusione stessa, che per certi versi potresti non aspettarti, è perfettamente in linea con l’insegnamento dettato dalla storia stessa.
«Forse doveva recuperare l’umiltà. Forse aveva ragione Antonio, che non mancava mai di rimarcare il suo egoismo e la sua superbia. Intimava all’assistente di fare gli Esercizi spirituali, ma lui stesso era stato tanto preso dai propri studi da finire col trascurarli. Così come aveva trascurato il Signore, illudendosi di poterlo servire solo con la sua scienza.»
A chi consiglierei L’enigma del gesuita? Chiaramente il target di lettori comprende non di certo gli adolescenti, ma una platea già più adulta: per il linguaggio particolareggiato, per i ragionamenti da seguire e per la storia in sé; ne consiglierei la lettura a tutti gli amanti del genere, in primis, ma anche a tutti coloro che vogliono assaporare un romanzo storico che, però, ha quel qualcosa in più che ti appassionerà.