Quando un’opera d’arte può farti vibrare l’anima allo stesso modo di un bacio che si posa sulle tue labbra, e delle mani che sfiorano la tua pelle…
Devo ammettere, con scrupolosa sincerità, che non sono una patita dell’arte, ovvero ne so riconoscere l’importanza, il valore, mi incanto ad osservare quei busti che racchiudono in sé storia, passione, amore, mi piace pensare allo scultore mentre ha modellato con assiduità, impegno, – magari con il pollice in su, braccio teso e un occhio chiuso, prendere le misure -, dal marmo grezzo, seppur sempre fine e pregiato, fino a farlo diventare una preziosa ed inestimabile opera d’arte. Se pensiamo a tutta la storia dell’arte, alle sculture realizzate nel tempo non si può non restare strabiliati dinanzi a cotanta maestria, dal saper concretizzare da un semplice blocco di marmo qualcosa che acquista quel valore tanto pregiato e ricercato.
Ebbene caro iCrewer, dopo questa – doverosa – premessa ti svelo il nome dell’ultimo libro che ho letto, ti sto parlando de La sindrome di Stendhal, di Catherine BC, uno scritto che definirei, in una sola parola, elegante, sì, proprio così, perché viene narrato con eleganza, anche il numero che indica il capitolo è impresso con un carattere fine e delicato.
Hai mai sentito parlare de la sindrome di Stendhal? Magari ne sei anche affetto e non lo sai, ad ogni modo è ciò che ti succede quando ti trovi al cospetto di un’opera d’arte… no, stai tranquillo, non è una malattia rara o dalla quale tenersi a debita distanza, però una cosa lo è di certo: è incurabile, ovvero chi ne soffre sa già che difficilmente – forse mai – ne potrà guarire. Innanzitutto chi è che ne soffre? Ne sono affetti tutti coloro che amano in maniera smodata e smisurata le opere d’arte e le sculture, coloro che non possono fare a meno di andare in estasi, letteralmente, quando si trovano ai piedi di queste magnificenze, sentono il respiro farsi corto, affannato, il battito del cuore è quasi udibile a chi si trova nelle immediate vicinanze, e i sintomi? Che sintomi presenta? Si manifesta con vertigini, stati confusionali, tachicardie, senso di irrealtà.
Tra l’altro questa sindrome deriva il proprio nome dallo scrittore francese Marie Henry Beyle, in arte, appunto, Stendhal, il quale, durante una visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze, nel lontanissimo 1817 ne fu colpito: e, in effetti, tale sintomaticità si delinea in tutti quei soggetti, in particolare, che si trovano al cospetto delle opere di Caravaggio e Michelangelo. Il noto scrittore francese descrisse, con certosina precisione, i segnali di questa sindrome nella sua opera Roma, Napoli, Firenze scritta nel 1817: ne raccontò, difatti, i sintomi che lui stesso, in prima persona, sperimentò, descrivendo che durante una visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze, fu colto da una tale crisi che lo costrinse a dirigersi verso l’uscita dell’edificio al fine di risollevarsi dalla reazione vertiginosa che il luogo d’arte scatenò nel suo animo.
La sindrome di Stendhal potrebbe colpirti, ad esempio, dinanzi la famosa e venerata opera d’arte che ritrae Amore e Psiche Stanti, ti è mai capitato di vedere, dal vivo, questa statua? A me, personalmente, no, ma ti confesso vorrei tanto vederla di presenza, assaporarne la maestosità, la grandezza – grandezza non intesa nel solo senso letterale del termine, ma grandezza nel senso di immensità quale opera d’arte -, sfiorare quel marmo candido con i polpastrelli e sognare su quella che è la storia che si cela dietro questa opera realizzato dal nostro Antonio Cavona, realizzata fra il 1976 e il 1800 e si trova attualmente esposta al museo dell’Ermitage di San Pietroburgo. Quest’opera non è altro che la rappresentazione dell’incontro fra Amore e Psiche, della loro passione che diviene il simbolo immortale di due amanti che si cercano e che lottano per poter vivere per sempre in comunione spirituale e carnale: insomma è una bellissima storia d’amore, pura ma passionale al tempo stesso, e suppongo che, per i veri innamorati dell’arte, trovarsi dinanzi a questa rappresentazione crei davvero scompiglio, emozione, estasi…
Bene caro iCrewer, in realtà non mi sento di svelarti la trama di questo romanzo, no, non è questione di perfidia, anche perché se hai saputo leggere tra le righe di quanto scritto prima, ti ho regalato più indizi di quanto tu possa immaginare: ti basti sapere che il libro ruota intorno all’arte, che troviamo questa opera meravigliosa – che fa sfondo a tutta la storia – che è Amore e Psiche Stanti, e che il protagonista è un uomo affascinante – oltre che di prestigio sociale – quel fascino un po’ tenebroso ed al tempo stesso accattivante, dagli occhi azzurri che si pongono in netto contrasto con i capelli nero corvino. Un uomo che, nonostante la sua posizione sociale, è un uomo inappagato, non professionalmente, un uomo che cela dentro di sé una sorta di malinconia che cerca di scacciare, e qual è il modo migliore se non tuffarsi nella meraviglia delle opere d’arte, se non assaporandole come si assaporerebbe il bacio di una donna?
«Stava tentando di sorvolare sia su questi pensieri che sulla vistosità dei colori degli abiti, quando un velo di un bianco impalpabile gli passò davanti agli occhi».
Il romanzo, in realtà è un racconto, è breve ma succede tutto intensamente, la storia ha un inizio tranquillo, descrittivo della situazione ma quasi subito acquisisce quel tono dinamico in un crescendo ritmato che non fa altro che aumentare man mano che la storia prosegue.
Questo breve racconto si suddivide in cinque capitoli, ed è ambientato a Parigi, città che per antonomasia è definita la più romantica in assoluto; in questi cinque capitoli alle volte è il protagonista maschile, altre volte è la nostra donna della storia, altre volte, all’interno dello stesso capitolo, sono entrambi a narrare le situazioni da entrambi i punti di vista.
La scrittura è fluida, scorrevole, i termini utilizzati sono ricercati, non usuali, mai banali, denotando una grande padronanza della lingua italiana ed un vocabolario ricco e forbito: è notevole, oltre che da apprezzare, quando un autore, nel proprio libro, decida di utilizzare la versione più elegante e ricercata della parola comunemente utilizzata nel linguaggio corrente. Un plauso va all’autrice per il sapiente uso dei termini.
V’è da dire, altresì, che molti termini sono strettamente connessi all’arte e al suo essere e riferiti, quindi, alla stessa; i dialoghi li definirei quasi di altri tempi, eleganti e raffinati, ma ripeto probabilmente dipende dal fatto che è il parlare dell’arte che chiama a sé questo tipo di discorsi. Il libro, inoltre, è ben equilibrato tra parti descrittive, narrazione e dialoghi diretti: tutto si bilancia, non vi è una prevalenza dell’uno rispetto all’altro. L’autrice, inoltre, riesce, tramite le descrizioni a farci cogliere in maniera vivida le sensazioni, i sentimenti, quasi a farceli vivere in prima persona.
Nonostante ciò però, e sebbene il libro non sia eccessivamente lungo, ho impiegato un po’ per leggerlo, nel senso che leggevo e mi soffermavo, poi smettevo, poi riprendevo; la storia di fondo è molto bella, profonda, intensa, ma forse mi aspettavo qualcosa in più, anzi, a dirla tutta, io, personalmente, avrei prolungato il romanzo, avrei creato più capitoli, aumentando i passaggi e realizzando maggiori digressioni, perché la storia si presta molto bene a queste ultime.
Le digressioni, peraltro, sono presenti anch’esse nel racconto, ma sono fugaci ed intensi flash back.
Consiglio la lettura di questo libro, La Sindrome di Stendhal, principalmente a tutti gli appassionati d’arte, perché di certo lo apprezzeranno e sapranno cogliere quelle sfumature più recondite, ma in generale a chiunque abbia un animo romantico, a tutto coloro a cui piace sognare ed anche a coloro che si palesano come algidi perché un po’ di romanticismo non ha mai nuociuto a nessuno; e il target a cui potrebbe rivolgersi? Indifferentemente a uomini e donne, e potrebbe persino essere letto da adolescenti, anzi li aiuterebbe ad arricchire il loro linguaggio.
«L’arte non tradiva mai, anzi rimandava tutta la passione che la gente vi dedicava in egual misura. Ogni opera non conosceva una successiva evoluzione, era un punto di riferimento fermo, una sicurezza. Le sensazioni umane, invece, erano volubili, soggette a repentini cambi di direzione, instabili. L’arte era un’amante generosa, ma esigente.»
Biografia
Catherine BC è lo pseudonimo di Katy Policante, un’autrice che vive in provinci