La memoria del samurai di Natasha Pulley, edito da Bompiani: questo è il nome del romanzo che recensisco oggi. Un libro che attendevo da tempo, tanto da aver pensato di scrivere alla casa editrice, per sapere se era prevista o meno la sua pubblicazione. La mia felicità è stata tale che, non appena i miei occhi si sono soffermati sul design della copertina, non ho nemmeno finito di leggere il nome dell’autrice, che ero già in libreria, con una copia in mano, davanti alla cassa.
Si tratta del terzo capitolo di una trilogia, composta da L’orologiaio di Filigree Street – necessario per capire il La memoria del samurai – e Le torri di vetro – molto bello, ma quasi uno spin off, rispetto agli altri due. Ho trovato sorprendenti tutte e tre le opere di Natasha Pulley, e questo romanzo, in particolare, mi è sembrato la ciliegina sulla torta.
Uno stralcio di trama
Sono passati cinque anni dal momento in cui Nathaniel ha preso in affitto una stanza nella bottega dell’orologiaio di Filigree Street, e la sua vita non potrebbe essere più diversa da ciò che s’immaginava. Lavora per l’Ufficio affari esteri, ha una splendida bambina, suona il pianoforte a teatro, e ha un compagno che adora.
Se non fosse che il suddetto compagno è da mesi in giro per l’Europa, a tessere trame e cucire toppe, mentre Thaniel è nella grigia Londra, coperta di nebbia che diventa ogni giorno più difficile da respirare.
Quando il capo ufficio lo esorterà ad accettare una posizione alla legazione britannica a Tokyo, cosa deciderà di fare il giovane?
La memoria del samurai: ecco la mia recensione del libro di Natasha Pulley
Riaprire un libri di Natasha Pulley, dopo così tanti anni dall’ultima volta (non che siano passati decenni, ma converrai con me che, ormai, un romanzo di tre anni fa può essere quasi sommerso dal flusso dei ricordi, se non spicca per qualche motivo specifico) è stato un po’ come tornare in un luogo conosciuto e, allo stesso tempo, rendersi conto di aver smarrito la strada.
La familiarità è data soprattutto dal suo essere il terzo capitolo di una serie. Il rodaggio è già stato fatto da L’orologiaio di Filigree Street, il grosso di questo universo è stato costruito in quelle pagine. Eppure, La memoria del samurai è, per certi aspetti, completamente diverso: cambia l’ambientazione e cambia il modo di comportarsi dei personaggi. Non mi dilungherò oltre riguardo al primo volume, ma una cosa devo dirla: questi due libri sono così strettamente concatenati, che credo di aver capito meglio L’orologiaio dopo aver concluso La memoria.
In La memoria del samurai Natasha Pulley ha scombinato le carte in tavola, ha reso il suo stile ancora più imprevedibile, e per questo completamente irresistibile. Avevo fatto una stima del tempo che avrei dedicato alla lettura di questo romanzo, e invece ho impiegato metà del tempo: proprio non c’era verso di posare il libro (arrivata alle ultime cento pagine, ho pensato “Al diavolo, a che serve dormire? Ora lo finisco”).
La vicenda si svolge su molteplici livelli temporali e spaziali, tanto da rendere indispensabile una collocazione storica all’inizio di ogni capitolo – e per fortuna che c’è, visto che a un certo punto stavo per smarrire la bussola. Si alternano capitali europee alla piccola bottega in Filigree Street; un Giappone sfaillante, sulla strada del progresso, con uno conservatore e nazionalista, che con gli occidentali non vuole nulla a che fare. E nel mezzo sono tratteggiati splendidi ghirigori steampunk, pennellate nettamente fantasy, impronte di giallo e ingranaggi così scientifici da richiedere un innalzamento del grado di concentrazione, per essere compresi.
Anche le emozioni dei personaggi sono molto intense: l’ansia e la paura per l’avvento di qualche disgrazia, che già il prologo getta addosso; la nostalgia per qualcosa che non è ancora svanito, che risplende negli occhi di Keita; il timore di non essere abbastanza, di non essere necessario, che porta Thaniel a farsi da parte, anche quando non vorrebbe fare altro che stringere la mano dell’uomo che ama e non lasciarla andare per nulla al mondo. La rabbia di Takiko, che non sa più a chi prestare ascolto, se ai suoi sentimenti o al suo istinto. La determinazione di Sei, che le fa guardare il mondo attraverso una logica tutta sua, e per questo indispensabile per tener uniti i protagonisti.
Ho apprezzato davvero il cambiamento di Nathaniel: mentre nel primo romanzo sembra molto più incerto e spaurito, qui è decisamente in balia delle emozioni, ma anche abbastanza determinato da non fermarsi e rispettare regole impostegli, pur di scoprire la verità.
Keita, al contrario, mi è sembrato estremamente confuso e ostaggio degli eventi. Così diverso dall’uomo che regola gli ingranaggi del mondo, così fragile e bisognoso di aiuto, ma sprovvisto delle parole giuste per chiederlo.
La conclusione è stata meravigliosa. Credo di aver già riletto gli ultimi capitoli almeno quattro volte, e ho finito ufficialmente il libro meno di una settimana fa.
L’unico neo che mi sento di trovare è la copertina. Per quando la cover sia ben fatta, riprendendo molti aspetti della storia nei simboli e nei colori, per non parlare del materiale utilizzato – so che non è il termine giusto, ma io lo chiamo “vellutato” – mi è comunque dispiaciuto che non sia stata ripresa la tradizione che voleva la presenza di una sezione rotonda, riempita da un’immagine stampata sulla prima pagina del libro. Tanto più che la versione in inglese conteneva nella copertina l’oggetto perfetto per realizzare questo particolare distintivo.
Insomma, leggi La memoria del samurai di Natasha Pulley. Ne vale la pena, davvero. I misteri sono complessi, risolvibili solo dopo aver ricevuto il là della scrittrice; la trama è originale, lo stile scorrevole e le descrizioni perfette. È uno dei libri che mi ha reso più felice, negli ultimi mesi.