Un romanzo con un tema antico e sempre nuovo: l’eterna giovinezza. Mito o maledizione, dalla mitologia classica fino a noi, non smette mai di affascinare.
Il mito dell’eterna giovinezza, senza scomodare la mitologia classica o scrittori illustri come Oscar Wilde, ha da sempre incuriosito e affascinato tutti e non soltanto le donne che, secondo comuni stereotipi, sono quelle più attente al primo sorgere delle rughe sul viso. In controtendenza la protagonista del romanzo [amazon_textlink asin=’885116567X’ text=’La donna che non invecchiava più’ template=’ProductLink’ store=’game0ec3-21′ marketplace=’IT’ link_id=’7a6cf33d-f807-11e8-9d8f-9f840d2bcef9′] di Gregoire Delacourt, edizioni DeA Planeta, pubblicitario francese, autore di numerosi racconti e romanzi, tutti pubblicati in Francia, alcuni dei quali sono diventati film o adattamenti teatrali.
Una donna che smette di invecchiare a trenta anni (casualità emblematica, la stessa età della madre che muore lasciandola orfana a 13 anni), a causa di una rara malattia: le sue cellule interne invecchiano, le sue ossa invecchiano, i suoi pensieri invecchiano, il suo corpo e il suo viso, no.
In trent’anni e trenta scatti di foto (uno per ogni anno) eseguiti da un amico fotografo nello stesso ambiente e nella stessa posa, nessuna ruga, nessun cedimento cutaneo, nessuna macchia di vecchiaia. Una fortuna? Chi non risponderebbe di si? E invece per Betty, il nome adottato dalla protagonista ad un certo punto della sua vita mentre quello reale è Martine, questa fortuna sembra sia una maledizione: l’amatissimo marito la lascia perché non vuole sembrare il padre della sua donna, il figlio, altrettanto amato, la abbandona perché non vuole essere scambiato per il fidanzato della madre. Solo la sua più cara amica che al contrario si sottopone a vari interventi chirurgici per sembrare più giovane, le è vicina e bonariamente la invidia.
Betty vive questa sua eterna giovinezza, durata dai trent’anni fino ai sessantatré, con enorme difficoltà: la sua interiorità e i suoi pensieri sono in contrapposizione con il suo aspetto fisico e benché riscuota un certo successo con gli uomini, il suo unico, grande e rimpianto amore resta sempre il marito.
Se nell’intenzione dell’autore, c’era un messaggio da lanciare a chi ricorre alla chirurgia estetica per sembrare più giovane, non so fino a che punto abbia centrato il bersaglio: il mito di eterna giovinezza da rincorrere anche a costo di enormi sacrifici e operazioni chirurgiche, è purtroppo il modello imposto dalla società di oggi che vuole corpi e visi fissati in quella giovinezza artefatta che, in certi casi, suscita solo tanta tristezza. Le rughe e i capelli bianchi non sono ne di moda ne di tendenza e la vecchiaia è ben lontana da essere un modello di saggezza, è solo da “rottamare”, secondo un termine e una modalità in voga qualche anno fa.
La protagonista di [amazon_textlink asin=’885116567X’ text=’ La donna che non invecchiava più’ template=’ProductLink’ store=’game0ec3-21′ marketplace=’IT’ link_id=’02b48992-f75f-11e8-90a9-fdf7ef14c3dd’], vuole invecchiare, vuole una vita normale, un corpo e un viso che rispecchino i suoi anni e che abbiano il sapore di vita vissuta con le sue gioie e i suoi dolori. Alla fine Betty riesce nel suo intento, dal libro non si capisce chiaramente come, si può solo intuire in qualche modo. Forse (e dico forse) la traduzione di Tania Spagnoli non è proprio fedelissima?
Originale lo sviluppo della storia strutturato in tappe: la protagonista si racconta in prima persona dal primo anno di vita ai sessantatré anni, la sua crescita, la perdita della madre, il rapporto dapprima conflittuale col padre, gli studi, l’incontro con l’amore della sua vita, il figlio, la sua strana malattia e in conclusione la sua guarigione.
La lettura del libro scorre fluida e se posso usare un termine insolito, anche scivolosa. Nel senso che si ha proprio l’impressione di scivolare velocemente sulle parole senza potersi fermare. Nel testo non sono presenti dialoghi e l’uso continuo del discorso indiretto, da proprio la sensazione di leggere di corsa o in scivolata, appunto. Qualche passaggio risulta anche poco chiaro e non bene esposto ma essendo un testo tradotto, non so fino a che punto è una mancanza dell’autore o della traduzione.