Joe Petrosino. Il mistero del cadavere nel barile è l’ultimo romanzo di Salvo Toscano, dove un protagonista d’eccezione ha un grande obiettivo: fermare la malavita organizzata che sta conquistando l’America
Dopo Insoliti sospetti (2015), Falsa testimonianza (2016), Una famiglia diabolica (2017) e L’uomo sbagliato – Le indagini dei fratelli Corsaro (2018), Salvo Toscano, giornalista e scrittore, pubblica un nuovo romanzo per la Newton Compton. E anche stavolta non delude. Il mistero del cadavere nel barile è un giallo molto particolare, che si ispira a un caso reale del 1903, conosciuto con il nome di “delitto del barile”. Protagonista è Joe Petrosino, brillante poliziotto italo-americano che a inizio ‘900 dette filo da torcere alla mafia newyorkese e che ancora oggi è conosciuto come un simbolo della lotta contro la criminalità a favore della giustizia.
Vediamo la trama
New York, 1903. Un cadavere orribilmente mutilato viene ritrovato all’interno di un barile abbandonato su un marciapiede. I sospetti portano verso la criminalità italiana. È un lavoro per il “Dago”, il sergente Giuseppe “Joe” Petrosino, il più famoso detective della città. L’unico dell’intero dipartimento di polizia di New York che, grazie alle sue umilissime origini italiane, è capace di passare inosservato tra i vicoli di Little Italy, capire i dialetti del sud della penisola, interpretare i simboli e le modalità delle prime organizzazioni criminali mafiose, come la temutissima Mano Nera. Un’indagine difficile in cui a Petrosino toccherà fronteggiare non solo gli spietati padrini ma anche i violenti pregiudizi di cui sono vittime gli immigrati italiani. Un romanzo tratto da una storia vera che racconta la nascita della Mafia italo-americana e il coraggio degli uomini che la sfidarono.
Joe Petrosino, tra realtà e finzione
“E lo sa che cosa mi ha detto il giudice quando mi ha mandato alla sedia elettrica? Che questa punizione doveva servire da lezione a tutti gli altri italiani, che devono imparare che qua in America i cristiani non vanno in giro con i coltelli. Così disse, capitano! Perché sono italiano mi stanno ammazzando”
L’emigrazione italiana in America
Già con il prologo Salvo Toscano ci introduce il grande tema di questo romanzo: l’emigrazione italiana negli Stati Uniti d’America. Sappiamo tutti che intorno a fine Ottocento e inizi Novecento furono oltre 27 milioni gli italiani che emigrarono negli Stati Uniti. Spinti dalla miseria, dalle carestie si rivolgevano a una terra che sapeva di speranza, che prometteva ricchezze e una vita più agiata.
“E poi, i più numerosi, i più rumorosi, i più poveri forse. Sono loro, gli italiani. Saranno più di trecento su questa nave. Una parte viene dal Nord, sono gli ultimi scampoli di un’emigrazione cominciata nei decenni scorsi. Vanno a raggiungere i familiari e gli amici che da un po’ si sono trasferiti negli Stati Uniti. I più, invece, arrivano dal Sud. Fuggono dalla fame e da una povertà che dopo l’Unità è diventata insopportabile”
Sappiamo anche dei classici stereotipi che tutti gli italiani dovevano sopportare; venivano chiamati briganti, mafiosi, sporchi, rumorosi. Tutti, senza fare distinzioni (ti ricorda qualcosa questo?). Ebbene, Salvo Toscano descrive in modo impeccabile la vita misera, dura, che non solo i nuovi arrivati, ma anche vecchie generazioni di immigrati erano costretti a condurre. Descrive l’ostilità e il sospetto verso quel popolo becero, che non veniva accettato né tanto meno capito. In una situazione simile, rimanere persone per bene, costruirsi una vita in modo onesto era pressoché impossibile. E si sa, quando la società non ti ascolta e non fa niente per aiutarti, si trovano altri modi per sopravvivere. Uno tra questi: la malavita o, per meglio dire, la Mafia. Nella New York di quegli anni comincia a emergere una società segreta malavitosa, Mano Nera, in cui si organizzavano omicidi, incendi, estorsioni, ricatti.
“Gli italiani sono le uniche vittime della Mano Nera. Solo gli italiani. E vanno protetti, perché sono newyorchesi come lei e come me”
Il linguaggio usato
In un libro del genere, la lingua risulta fondamentale. In quell’America di inizi ‘900 c’è un po’ di tutto, irlandesi, francesi e italiani si mescolano con i nativi, dando vita a un miscuglio di dialetti, a parole inventate, a una babilonia di lingue. Ogni personaggio ha un suo modo di parlare e di pensare, che diventa familiare al lettore. Bonnoil alterna termini in inglese a parole in francese, aggiungendo, di tanto in tanto, un perfetto dialetto siciliano. Joe Petrosino padroneggia perfettamente sia la lingua inglese sia quella italiana, lasciandosi andare, di tanto in tanto, a sboccate espressioni dialettali. E poi ci sono tutti gli altri, i poveracci, quasi tutti italiani, che cercano disperatamente di farsi capire, lottando non solo con una lingua che non gli appartiene, ma anche con una nazione che non li vuole. Tutto questo è ovviamente molto efficace per immaginare i vari personaggi, per vederli muovere nella nostra testa mentre leggiamo e per farci un’idea chiara, molto chiara, di quale fosse la vita nel quartiere di Little Italy più di un secolo fa.
In conclusione,
Un romanzo da leggere tutto d’un fiato, tornando indietro nel tempo. A quando gli immigrati eravamo noi, a quando a non avere diritti o aiuti eravamo noi italiani. Una lettura che fa riflettere, che deve far riflettere.
“Negli occhi smarriti di quel siciliano gli parve di incontrare il dolore di migliaia di italiani”