Il giallo di Montelepre è il secondo romanzo di Gavino Zucca per la serie “Le indagini del tenente Roversi”. Protagonista è il giovane sottufficiale che, affiancato da un’inarrestabile gang, riesce a risolvere anche il più complicato dei misteri
Con questo ottimo giallo Gavino Zucca ci porta nuovamente in Sardegna, in una Sassari piena di misteri piccoli e grandi. L’improvvisa apparizione di strani gatti rossi, la presenza di fantasmi, l’arrivo inaspettato di un lu pindacciu, due inquietanti omicidi.
Vediamo intanto la trama
Siamo a Sassari, nel 1961. È la settimana prima di Natale quando un barbone molto noto in città, Millomì, viene trovato morto in una piazza del centro storico. I sospetti ricadono subito su un altro mendicante, Barrasò, di cui si perdono immediatamente le tracce. Il caso sembra molto semplice; si hanno testimoni che hanno visto il presunto assassino sul luogo del delitto, anche il movente sembra chiaro. Ma il tenente dei carabinieri, Giorgio Roversi, bolognese trasferitosi in Sardegna per motivi disciplinari, non ne è del tutto convinto. Seguendo gli indizi e le storie di personaggi assai particolari, il tenente scoprirà che la soluzione del caso è ben più oscura del previsto e che la verità affonda le proprie radici nel passato. Quando anche un secondo cadavere viene rinvenuto, Roversi ha davvero poco tempo per agire: dovrà risolvere il caso al più presto, prima che l’assassino riesca a farla franca.
Saper dire cosa rende così piacevole e ben fatto questo giallo è difficile.
Sicuramente un ruolo rilevante lo giocano i personaggi, come è abbastanza ovvio che sia. Il tenente Roversi è un uomo gentile, calmo, ma che non manca di prendere in prestito, talvolta, le frasi spaccone del suo mito, Tex Willer. Non si perita, davanti a individui ambigui o che cercano di nascondere qualcosa, a usare frasi come “Se non parli ti faccio digerire tutti i denti“. La famiglia Gualandi, dall’altra, risulta immediatamente simpatica. Tutti i suoi componenti, a partire da Don Luigi, fino a Caterina, sono personaggi unici. Unici nelle loro bizzarrie, nelle loro particolarità, nei loro hobby e interessi. Rimedia, la più piccolina, crede in tutte le leggende sarde, è convinta che a Villa Flora si aggiri lu siddaddu ed è molto superstiziosa. Caterina e il fratello, Michele, sono instancabili, amano i misteri e adorano investigare. Non è da meno lo stesso Don Luigi, forse, tra tutti, il mio preferito. Ispira fiducia, rispetto, ma, dall’altra, è anche incredibilmente buffo. Non riesce a ricordare un solo modo di dire e se ne esce con frasi come “fare di ogni erba un mazzo” o “la chiave di svolta“, suscitando risate divertite da tutti i presenti. Sarà che mi accomuna lo stesso piccolo problema, ma credo che sia impossibile non affezionarsi a un personaggio simile.
Le figure che si muovono per la cittadina di Sassari sono però molte altre. Abbiamo lu pindacciu, uno iettatore temuto da tutti e additato con timore da lontano. Il proprietario del bar di paese, il giornalista, il commissario, la vecchietta testimone. Tutti descritti con grande efficacia e ironia. Fino ad arrivare alle due vittime, i due mendicanti Millomì e Barrasò. Entrambi vengono dipinti come i classici scemi del villaggio, ma si rivelano, in realtà, più complessi del previsto.
L’ambientazione nella cittadina di Sassari
è assai efficace. Dona a tutto il libro un’atmosfera familiare, che ci avvicina alla storia e crea, inoltre, un legame indissolubile tra tutti i personaggi che vi si muovono. A questo, si unisce il fascino e il mistero che solo le leggende locali, di fantasmi e creature sovrannaturali, possono dare. E, per finire, parole e frasi in dialetto, che danno quella nota di autenticità a tutto il romanzo e fanno sorridere per le loro peculiarità.
Anche il periodo è importante. A una storia di fantasia si uniscono fatti realmente accaduti, le divisioni dei partiti monarchici, i disaccordi tra socialisti e liberali. Una Sardegna descritta in tutti i suoi particolari, dalla sua storia ai suoi segreti e tradizioni. Attraverso le pagine del libro si respira un’aria vintage, quasi nostalgica, che sembra così lontana, nonostante in realtà così vicina, ai nostri giorni.
Il ritmo è incalzante, non lascia mai distrarre il lettore.
C’è sempre un nuovo elemento, una nuova scoperta, un improvviso sospetto che ricatturano costantemente la nostra attenzione. Abbiamo il mistero dei gatti rossi, che sono improvvisamente comparsi in città e che sembrano invadere tutte le abitazioni, con i loro miagolii e la loro ricerca di coccole. A Villa Flora si è alle prese con cose ben più spaventose, dei fantasmi che si aggirano per gli orti, o, più probabilmente, dei piccoli furti di ladri locali. Al bar non si parla d’altro che dello iettatore, che rischia di mandare in rovina il proprietario. Non mancano gli amori che fanno da sfondo alla storia e che ci accompagnano fino alla fine.
Il tutto è così familiare che, a ripensarci, sembra quasi un ricordo di una vecchia vacanza passata assieme agli abitanti sassaresi e non più una storia inventata.
Il giallo di Montelepre è un giallo classico,
che potremmo definire old-fashioned. Come tutti i libri di questo genere, forse più importante dell’indagine sono proprio gli aspetti sociali e i retroscena che accompagnano la risoluzione del caso.