Il delitto della montagna, l’arrivare a un libro come atto d’inconsapevole riflessione. In questi giorni di fine gennaio, soleggiati ma mai abbastanza, c’erano diverse proposte di recensione nel gruppo della redazione. E io ero dubbioso, con mille progetti in testa e l’immatura voglia di leggere tutto, paralizzato dalla vastità di ciò che non passerà mai tra le mie mani. La vita come bivio narrativo permanente. E allora ho scelto. Ho scritto alla mia responsabile vada per Il delitto della montagna di Chicca Maralfa, la nuova indagine del luogotenente Gaetano Ravidà data alle stampe da Newton Compton. Perché no, mi sono detto, perché non darmi un tocco di giallo nei giorni della merla?
La mia esperienza con Il delitto della montagna
Inizio a dire che l’ho letto due volte, in due sere consecutive. C’è stato un problema nella mia prima sessione, ovvero sia che il testo mi ha portato molto più a immergermi nelle ambientazioni di Asiago e dintorni, che a concentrarmi sui meccanismi delittuosi in sé.
E così sono arrivato alla fine conquistato dagli aspetti naturalistici e storici della zona, dalla quotidianità delle indagini (tra interrogatori e Scientifica), dai rimpianti di un uomo lontano dalla sua terra che cerca di chiamare casa quell’altrove in cui è finito.
E poi dal fratello Giovanni, più scapestrato di Gaetano, e da Maria Antonietta Malerba, sinuosa e felina come medico legale e amante di Ravidà. E anche dal dialetto veneto (mi divertivo a cercare di capirne il senso senza leggere le note), e dagli aspetti eno-gastronomici (ammetto di aver stappato una ribolla gialla, parte della “dieta” dei personaggi), e dagli afflati di tutela dell’ambiente, con le contraddizioni che questi comportano nella vita della gente comune. E pure dai lunghi tentacoli della Mala del Brenta sul territorio.
Quanti “e poi”, quanti “e anche”. Appunto. Infatti, giunto alla fine della prima lettura, chi avesse ucciso chi e perché non era il mio interesse primario. Certo, c’era il cadavere mummificato trovato nella cava all’inizio, e quindi motore della storia, interessante. Ma il resto della “portata principale” veniva coperto dal “contorno”, un abbondante e godibile contorno. E di fronte alla domanda che mi sono posto, ossia se Il delitto della montagna fosse un buon giallo o era “solo” altro, non ero sicuro della risposta.
In seconda lettura ho posto il focus esclusivamente sulla logica e dinamica degli omicidi, nonché sulle testimonianze rilasciate al nostro luogotenente. Il meccanismo complessivo mi appare solido e credibile (c’erano pure i brevi monologhi interiori di Ravidà a ricapitolare la situazione a cui la sera prima avevo prestato poca attenzione), anche se resto convinto, senza fare spoiler, che un personaggio quando rivela un dettaglio a Ravidà al posto di mentire, cosa che sarebbe stata nel suo interesse, lo faccia più per esigenze narrative che per adesione alla sua psicologia. Ma chissà, magari quando farò una terza lettura (tra qualche anno) mi accorgerò che l’autrice aveva ragione anche su questo.
I personaggi de Il delitto della montagna
Parto dal protagonista, il luogotenente Gaetano Ravidà, con il cuore a metà tra Bari, dove ci sono ancora Agnese e Monica, le sue amate figlie, nonché Simona (l’ex moglie), e Asiago, dove da due anni è stato trasferito e pian piano sta imparando a chiamare casa. Un Giobbe contemporaneo, con un fratello come Giovanni, più pazzerello di lui che lo chiama sempre al telefono all’ora del tè degli inglesi.
E poi la già accennata Maria Antonietta Malerba (da leggere i ringraziamenti dell’autrice alla fine del libro), amante di Ravidà anche se impegnata con tale Ludwig, e preziosa nelle indagini per le sue conoscenze di medicina legale. Sicuramente il mio personaggio preferito, con la sua tagliente e ingenua ironia nel dissezionare cadaveri.
Tutto il microcosmo della caserma, da quello fissato con i latinismi, a quello fissato con l’espressione “in concreto“.
Parlando di altri nel dettaglio temo troppo di fare spoiler, faccio riferimento al fatto che nella storia ci s’imbatterà in “mummie”, in affascinanti “sciupafemmine”, in pittori, in bellissime e carismatiche ambientaliste, in aziende di distillati, in titolari di antiquariati e tanto altro.
Un accenno lo merita anche il nonno del protagonista, anche lui Gaetano Ravidà, morto proprio durante la Grande Guerra proprio nei luoghi dove tanti anni dopo il nipote cercherà di costruirsi una nuova esistenza.
Lo stile de Il delitto della montagna
A livello stilistico Il delitto della montagna utilizza una buona amalgama tra periodi paratattici e periodi ipotattici, concedendosi anche qualche bizantinismo lessicale.
È un romanzo in terza persona, in cui, quando non ci sono i dialoghi, si percepisce che a narrare gli eventi sono i pensieri dei vari personaggi, in particolare, ovviamente, Ravidà.
I temi de Il delitto della montagna
Sono tante le tematiche di questo romanzo, come si può intuire da quanto scritto sinora l’autrice non si è risparmiata.
Sicuramente la tutela del territorio e dell’ambiente è un aspetto importante del libro, visto a trecentosessanta gradi, dalla sua vitale e ovvia rilevanza nel dibattito pubblico, fino ad arrivare anche alle sue, chiamiamole così, esternalità negative, che possono ricadere sulla gente comune.
Un altro tema è quello della memoria, legato al nonno del protagonista e ai tanti giovani soldati che hanno perso la vita in quei paesaggi così suggestivi, e i cui cimeli i recuperatori (presenti anche nel romanzo) fanno ancora riemergere dalla neve di quel passato.
Un terzo tema che si può citare è quello del tradimento, di come la distanza sia un’ultima forma di rispetto verso chi abbiamo amato, ma non solo (non dirò di più, il romanzo è anche da scoprire).
Ho già parlato sufficientemente nei paragrafi precedenti del tema della lontananza da casa e di imparare a chiamare casa un luogo a noi alieno, non mi ripeterò ulteriormente.
In realtà ci sarebbero tanti altri temi che vorrei tanto sviscerare, ma sarebbero spoilerosi all’ennesima potenza e quindi mi taccio definitivamente.