Alla sua seconda prova da scrittrice, Serena Marotta dà vita a un romanzo a metà tra il diario personale e una raccolta di testimonianze di pazienti psichiatrici
I Sensi. Uomini di un certo tipo è un romanzo che avrebbe avuto tutte le carte in regola per essere un bel libro e che ha deciso invece di abbandonare ogni suo spunto interessante per rimanere sullo scontato.
Le premesse mi incuriosivano e già dalla breve descrizione pregustavo l’idea di immergermi in una lettura piacevole. La decisione di ambientare la storia a Palermo, una tra le mie città del cuore, prometteva bene e ancor più quello che sembrava essere il tema centrale del romanzo, le malattie mentali. Da brava studentessa di psicologia difficilmente riesco a resistere a libri del genere, nonostante sia consapevole che un romanzo sia cosa ben diversa da un manuale, in quanto viene aggiunta una vigorosa dose di finzione. Non mi aspettavo, dunque, un’analisi scrupolosa dei vari disturbi, come non mi aspettavo un Dialogo sui massimi sistemi della psicologia. Un po’ di attenzione in più, però, non solo me l’aspettavo, ma la esigevo. Sono tanti i libri di narrativa che riescono a unire la piacevolezza della lettura a approfondimenti di tematica scientifica; uno tra tutti Le nuvole di Picasso: una bambina nella storia del manicomio liberato di Alberta Basaglia, figlia di Franco Basaglia, ispiratore dell’omonima Legge che ha sancito la chiusura dei manicomi. Dalle premesse, pretendevo qualcosa del genere. Purtroppo, sono rimasta delusa.
Immagino che proprio la mia formazione da psicologa abbia influito notevolmente sul giudizio dato a questo libro. Probabilmente a un’altra persona non avrebbe fatto lo stesso effetto e Serena Marotta sarebbe stata più fortunata.
Nel romanzo si fa giusto un accenno alle malattie mentali, che dalla sinossi ufficiale dovrebbero essere tema principale del testo, e ogni tanto vengono buttate lì descrizioni di pazienti e dei loro disturbi. Ecco, questa è una cosa che trovo difficile accettare. Non sono argomenti che possono essere trattati con leggerezza, né tanto meno ci si può permettere di abbozzarli e usarli come base per scrivere un libro se poi il focus è un altro. Non voglio accusare la scrittrice di superficialità, perché quello che si coglie dietro al romanzo è una grande umanità e anche un’attenzione particolare alle persone e ai loro vissuti. Quello che voglio dire è che il suo libro sarebbe funzionato benissimo senza il bisogno di tirare in ballo i bipolari, i depressi e gli ossessivo compulsivi.
Sono tante le cose che vengono presentate e poi non vengono approfondite
Tutto ruota attorno alla protagonista, la giornalista Giada, intenta a preparare un libro “sul disagio mentale”. Le prime pagine sono accattivanti; da persona estranea all’ambiente, la donna viene quasi sopraffatta dalle storie, a dir poco tragiche, delle tante pazienti con cui entra in contatto. Le immagini iniziali sono efficaci e rendono bene l’idea di cosa voglia dire trovarsi in un ambulatorio psichiatrico. Tutto, però, comincia a perdersi quando in scena entra lo psichiatra, Paolo, che poi diventerà co-protagonista della storia. Da questo momento in poi, la trama diventa prevedibile, dalla primissima descrizione dell’uomo si sa già come andrà a finire, tanto che sono andata subito a leggere il finale per vedere se avessi avuto ragione o se fossi stata semplicemente prevenuta. No, avevo ragione. Nonostante questo, sembra che l’interesse per le persone affette dai vari disturbi non venga del tutto sostituito da questa improvvisa passione della protagonista per il bel medico di turno. Giada ci racconta di Simona, una ragazza che soffre del disturbo bipolare. Parla di Claudia, che soffre di depressione, unico personaggio che continua a rivestire un’importanza (relativa) nel resto del romanzo. Importanza che è finalizzata esclusivamente al rapporto tra Giada e Paolo. Anche la storia di Claudia, comunque, viene poi lasciata andare e se ne fa giusto un breve accenno verso la fine. Lo stesso succede con Simona. Tutto quello che conta nella storia sono la protagonista e le sue passioni d’amore, prima per Paolo e poi per altri svariati uomini che si susseguono nel corso della storia. E anche qui, sfortuna, perché i romanzi che ricordano anche lontanamente il genere rosa o erotico è difficile che riesca ad apprezzarli.
Che dire, peccato,
perché le premesse c’erano, le basi erano buone, ma non ci si è voluti sbilanciare troppo e si è preferito restare sul vago e approfondire una storia come tante, a scapito di un tema importante come quello delle malattie mentali (di cui si impara poco o niente). Non escludo che la colpa sia mia, che probabilmente non sono riuscita ad apprezzare appieno la scelta o che non sono stata abbastanza brava da saper leggere tra le righe e cogliere un significato più profondo, fatto sta che il romanzo mi ha delusa e posso dare giusto due stelle, non di più.
Ecco un altro tentativo fallito di vestire i panni di un giornalista. Sarebbe stato più elegante non scriverla la recensione. Questa è mancanza di rispetto per il lavoro altrui. Un consiglio: si faccia la psicologa.
Siete pregati di rimuovere dal sito il mio libro.