Scorrendo tra gli audiolibri, ho scoperto il libro Grazie per quella volta. Confessioni di una donna difettosa della presentatrice Serena Dandini, letto da Orsetta De Rossi. Seppure autrice e lettrice hanno voci diverse, la De Rossi ha saputo interpretare e rivivere l’ironia e il sarcasmo della Dandini.
Recensione di Grazie per quella volta
L’autrice racconta episodi della sua vita, o comunque adattabili più o meno a chiunque. Forse il primo racconto può essere più semplice da sentire e far proprio. La prima parola che la Dandini ricorda è proprio quel “magna!“, che ognuno di noi ha sentito almeno una volta da piccolo, e ovviamente nel proprio dialetto d’origine.
È un vero e proprio elenco di episodi che mostrano l’evoluzione di una ragazzina che diventa donna. Racconta con estrema facilità alcuni episodi cruciali per una donna. Ovviamente dietro a questa apparente facilità, ci sarà sicuramente uno studio lungo e ragionato. Serena Dandini parte da se stessa, con le confessioni di una donna “difettosa” e con una certa nonchalance esplora il vasto universo dei difetti e delle debolezze che spesso ci attanagliano, ci fanno vergognare, ci scoraggiano. Con ironia tenera quanto dissacrante, con frivolezza quanto con riferimenti letterari (Borges, Simenon, Ovidio) o musicali (Giorgio Gaber e gli U2).
Ed è con queste premesse che l’autrice riesce ad arrivare a quello che dovrebbe fare qualunque donna, ovvero: perdonarsi. Meglio ancora, sarebbe imparare a convivere con tutti i punti deboli che abbiamo, ma che se uniti vanno a formare le donne forti che siamo. Perché, se abbiamo superato anche una sola esperienza raccontata dalla Dandini in Grazie per quella volta, allora sicuramente abbiamo imparato ad andare avanti, pur portandoci dietro quel trauma che ci imbarazza e che ci fa entrare in perfette fisime mentali, tra l’altro molto inutili.
La dedica dell’autrice
La zia aveva occupato a pieno titolo i miei sogni di emancipazione pre-femminista. Alta, fiera, occhi carbone, labbra rosse anche senza rossetto, possedeva alcuni tratti spagnoleggianti di un antico ramo iberico della famiglia che mi illudo di aver ereditato anch’io. Classe 1919, spirito arguto, intelligenza brillante, è stata tra le prime donne laureate in Architettura nell’Italietta fascista.
Della zia parla con ammirazione mista a commozione. Dei genitori, invece, con maggiore distacco:
C’è chi conserva per preservare la propria identità, privato delle cose che ha posseduto si sentirebbe perso, senza passato. Perché è fragile. Mamma era così, appena disegnata a matita, semitrasparente e se si fosse liberata di tutte le ‘cose’ che la circondavano sarebbe scomparsa definitivamente. Di tutt’altro carattere papà. In cima all’armadio abbiamo trovato una sua valigia piena di cambiali, i famosi pagherò del boom economico, ‘farfalle’ come si chiamavano negli anni Settanta. Le abbiamo fatte volare nel cassonetto in allegria, tanto erano scadute.