Nato dalla penna dello scrittore tedesco Lukas Erler, [amazon_textlink asin=’8822715462′ text=’Dentro il bosco’ template=’ProductLink’ store=’game0ec3-21′ marketplace=’IT’ link_id=’af58d59c-44a4-11e8-bdd3-c335316e8b0b’] è un poliziesco sorprendente, non banale e con una trama intricata e avvincente.
Se vi piacciono i thriller, ma non vi accontentate della solita storia trita e ritrita, del classico poliziesco costruito in modo prevedibile, questo è il romanzo che fa per voi. Accuratezza storica, opere d’arte che rendono i luoghi del delitto ancora più suggestivi e personaggi che molto hanno da raccontare.
La trama, come già detto, cattura immediatamente il lettore
In occasione dell’evento culturale documenta, dove ogni anno vengono esposte le opere artistiche più particolari, si verifica un delitto insolito. Henk de Byl, un cameraman recatosi sul luogo per fare delle riprese, viene ritrovato morto. Nessuno sa spiegarsi cosa sia successo, chi sia l’assassino e, soprattutto, l’insolita tortura a cui è stato sottoposto il cadavere. Alla vittima, infatti, sono state asportate le palpebre. In questa macabra faccenda si ritrova coinvolto Cornelius Teerjong, uno storico dell’arte, diventato cieco a causa di una malattia ereditaria, amico dell’uomo trovato ucciso. Le indagini procedono lentamente e finiscono in un niente di fatto. Solamente molti anni dopo viene scoperta la relazione tra questo delitto e un altro, avvenuto trentasei ore dopo, a Rotterdam, in Olanda. Sul corpo del secondo uomo erano stati infatti trovati gli stessi segni di tortura. Cornelius, affiancato dalla fidanzata e giornalista Jenny Urban, decide di indagare. Avendo collaborato per anni con la polizia per furti d’arte, l’uomo comincia a mettere insieme i pezzi e ad addentrarsi in un mistero che si rivelerà molto più complicato del previsto. Un serial killer, brama di vendetta e un tormentato passato, legato alla guerra in Bosnia, vittime che non sembrano poi così innocenti. I due si addentreranno in un labirinto sempre più intricato che li porterà faccia a faccia con l’assassino.
Come ogni thriller che si rispetti il romanzo inizia con un delitto, ma un delitto particolare
L’uomo non è stato solo ucciso, ma gli sono state asportate le palpebre. Una tortura assai insolita che porta subito il lettore a formulare le prime congetture.
Che l’assassino sia un killer seriale?
Dopotutto si sa che i più famosi serial killer della storia uccidevano le loro vittime in modo particolare, lasciando sul luogo del delitto una sorta di firma. Jack lo squartatore sceglieva esclusivamente prostitute, mutilava le vittime con la precisione di un chirurgo e lasciava chicchi d’uva accanto ai corpi (o almeno così è nella versione cinematografica); Earle Nelson, il cosiddetto Gorilla Killer, uccideva tutte le sue prede strangolandole con forza micidiale; Albert Fish non solo uccideva, ma mangiava anche le sue vittime, solitamente bambini. Insomma, la storia di esempi ce ne fornisce a bizzeffe e il nostro serial killer non è da meno, sceglie un modus operandi particolarmente macabro, che risveglia subito la curiosità. Capito questo, il lettore continua con i suoi interrogativi.
Perché proprio le palpebre?
Un appassionato di psichiatria o un lettore con un fantasia particolarmente vivida può arrivarci facilmente da solo, ma, in ogni caso, veniamo aiutati da un criminologo, contattato dal nostro protagonista. Le vittime non possono più chiudere gli occhi, saranno costrette a guardare e fissare nella memoria ciò che accade davanti a loro. In senso metaforico, non potranno più fingere di non vedere. Che quindi i delitti non siano casuali, ma connessi da un preciso desiderio di vendetta del killer? Che si tratti di un abuso? Insomma, mille sono gli interrogativi che già le prime pagine suscitano in noi lettori. E non vediamo l’ora di continuare, tanto che verrebbe quasi voglia di leggere subito l’ultima pagina, giusto per scoprire tutto subito.
“Quando compro un libro, io leggo l’ultima pagina per prima: così, se muoio prima di finire, so quello che succede“, come direbbe Billy Crystal in Harry ti presento Sally.
Un critico dell’arte cieco dall’animo sherlockiano, una giornalista intraprendente, un serial killer improvvisato, da un passato triste e oscuro. Un’accozzaglia di personaggi che si intrecciano tra loro perfettamente
Cornelius è un personaggio unico e non mi stupirei se l’autore decidesse di farlo tornare. Determinato, incredibilmente cinico, un uomo che con molta fatica è riuscito ad accettare la sua cecità improvvisa. Delineato magistralmente, riusciamo in pochissimi capitoli a farci un’idea completa dell’uomo, dei suoi incubi e cose da dimenticare. Abituato ad avere il controllo sulla sua vita e su tutto ciò che lo circonda, si trova invece a dipendere dagli altri, per via della sua malattia. Un rospo duro da ingoiare, con il quale non riesce a fare i conti del tutto. Solamente alla fine sembra accettare completamente la sua situazione, comprendendo che, nonostante questa mancanza che necessariamente ha condizionato la sua vita, continua a essere l’uomo forte che era sempre stato.
“Non ero stato debole, ma forte come un vedente. Non ero stato un’ombra dell’uomo di una volta“.
Ciò che colpisce è che, nonostante si possa pensare che sia svantaggiato, Cornelius è in realtà sempre un passo avanti agli altri. Perspicace, ipersensibile, non gli sfugge niente. Un uomo con una naturale predisposizione per i misteri, con un animo innato da detective. Talvolta sembra anche nascondere una sorta di quinto senso: una via di mezzo tra Daredevil e Dylan Dog. Un odore di lavanda che lo segue da tempo, “un odore fantasma che scaturiva dalla sua testa, suscitato da un sogno che da anni lo affliggeva a intervalli irregolari e che raccontava dell’avvicinarsi delle tenebre“.
Già questo personaggio basta a tenere in piedi tutto il romanzo ma anche il serial killer non è certo meno interessante. Senza entrare nello spoiler, non è il classico assassino che ci aspettiamo. Ha sì molte delle caratteristiche che tutti i serial killer hanno, ma se ne discosta anche. Ha alle spalle un passato tormentato, traumi infantili difficili da portarsi dietro, ma è lucido, metodico, controllato. Non è certo pazzo, né esaltato; è un uomo comune. Un uomo che non ha mai avuto fortuna e il cui unico obiettivo rimane uccidere tre persone ben precise. Tre vittime che, alla fine, risultano quasi antipatiche, al posto del killer che, a fine romanzo, si attira sicuramente se non la simpatia, almeno la comprensione del lettore.
Molto interessante anche la voce narrante, in quanto la focalizzazione si sposta dall’improvvisato detective, alla giornalista, all’assassino.
Grazie a questo accorgimento, è più facile capire le motivazioni che spingono i tre personaggi principali. In questo modo viviamo la storia immedesimandoci nei personaggi e accedendo alla loro Psiche, vedendo il mondo come lo vedono e lo pensano loro.
In particolare, è interessante conoscere il punto di vista dell’assassino, che ricorda il suo passato in una serie di flashback, efficaci per la narrazione e forti da un punto di vista emotivo.
La storia si sposta da città in città, si parte dalla Germania e si arriva nei Paesi Bassi, camminando per le strade insieme ai personaggi e andando a rivangare nella storia dei due paesi
Accuratezza. Questa è forse la cosa che più si nota di questo libro. Le ricerche, la documentazione, la precisione storica. Possono sembrare cose da poco, ma alla fine sono queste le cose che rendono un romanzo ben fatto. Le descrizioni accurate delle opere d’arte, degli eventi tragici della guerra in Bosnia, dei luoghi in cui si svolge l’azione sono così vivide che potrebbero da sole essere il soggetto per un’altra storia.