Dedicato ai sognatori, agli innamorati, ai viaggiatori, ai ribelli. A chi, invece di puntare in alto, sceglie di puntare “oltre”.
Questa frase mi aveva colpito molto quando il libro era arrivato in redazione per una segnalazione. E così, ho deciso di leggerlo. Quel “scegliere di puntare oltre” mi aveva proprio presa all’amo. E il prologo mi ha incatenato a queste pagine, in un turbinio di emozioni, anche contrastanti, lungo tutto il romanzo. Ma andiamo con ordine.
La storia inizia con la descrizione di una situazione che conosco bene. Sarà per stile di vita, per desideri o aspirazioni, ma più leggevo e più sentivo di conoscere bene quello di cui si stava parlando. E ritrovare lì, con quella forza che solo il nero su bianco sa dare, alcune delle emozioni che provo, è stato terapeutico, come tutte quelle cose che ti fanno sentire meno estraneo all’umanità a cui apparteniamo.
Il ritmo della lettura ha così iniziato a galoppare: volevo assolutamente capire come il protagonista si sarebbe districato in questa matassa. Voracemente ho divorato pagine su pagine. Ammetto di aver provato anche un po’ di impazienza perché nella foga ho trovato alcuni passaggi un po’ lunghi e ripetitivi. Però mi rendo conto che quest’ultima sensazione può derivare dal fatto di conoscere già quelle emozioni e quei pensieri. A un estraneo, magari, sono necessarie per capire fino in fondo l’argomento.
Ho adorato questa citazione di Charles Bukowski, all’inizio del primo capitolo:
“Come cazzo è possibile che ad un uomo piaccia essere svegliato alle 6.30 da una sveglia, scivolare fuori dal letto, vestirsi, mangiare a forza, cagare, pisciare, lavarsi i denti e pettinarsi, poi combattere contro il traffico per finire in un posto dove essenzialmente fai un sacco di soldi per qualcun altro e ti viene chiesto di essere grato per l’opportunità di farlo?”
I capitoli si susseguono e arriviamo a un punto di svolta e, poco dopo, il mio ritmo di lettura cala. Sono rimasta infatti un po’ delusa dall’uso di quello che ho percepito come un cliché, un deus ex machina che in qualche modo risolve un po’ la situazione facilitando le cose al protagonista, in cui oramai mi ero immedesimata. Volevo qualcosa di più per lui/me. A posteriori però, riflettendoci ora mentre scrivo la recensione, si tratta di un fatto plausibile, forse un po’ scontato ma comunque realistico. Tutto il romanzo ha infatti il profumo di essere stato ispirato da una storia vera. Egoisticamente, avrei preferito che in questa fase il personaggio principale fosse un po’ più solido e fornisse una risposta diversa al quesito, una risposta che dipendesse da lui più che da avvenimenti esterni.
La storia prosegue in modo molto piacevole, tra alti e bassi, fino alla fine quando mi innamoro di nuovo di questo romanzo. Un vero e proprio colpo di coda, più che di fulmine. Nelle ultime righe, quando ormai ero convinta di come sarebbe andata a finire, mi ha stupito di nuovo con una conclusione semplice ma toccante, di ispirazione, che tuttora mi lascia con un sorriso e un senso di leggerezza nell’anima. E adoro quando un romanzo sa stupirmi.
Mi è piaciuto molto lo stile con cui Gianluca Gotto ha scritto Come una notte a Bali. Uno stile pulito, onesto nel bene e nel male, sincero. Mi ha colpito anche la sua capacità di comunicare sensazioni ed emozioni molto personali, tanto da trovare alcuni passaggi quasi catartici, in grado di lasciare in me un segno, un piccolo cambiamento.
“Fatti trascinare dalle correnti del vento della vita. A volte ti porteranno al caldo, a volte al freddo, a volte ti faranno volare, a volte ti faranno schiantare. Ma è questo il bello: solo così vedrai da vicino tutte le sfumature di questa vita.”
Gianluca Gotto
Classe ’90, lascia Torino quando ha vent’anni per trasferirsi prima in Australia e poi in Canada. Da allora non si è più fermato e gira il mondo come nomade digitale. Puoi trovarlo online sul suo blog Mangia Vivi Viaggia. Questo è il suo primo romanzo ma non il suo primo libro: Le coordinate della felicità, infatti, è l’opera con cui ha esordito nel 2018.