Dopo aver letto Il viaggio di Halla, credo di aver avuto l’equivalente letterario di un’infatuazione per Naomi Mitchison, per il suo stile e i mondi che crea. Quindi, non appena ho scoperto che Fazi Editore avrebbe pubblicato Il Re del Grano e la Regina della Primavera, all’interno della collana Lainya, non c’è stato nulla da fare: leggerlo è diventata una necessità impellente.
È stata un’esperienza completamente diversa, rispetto all’altro volume. Questo perchè, dove Il viaggio di Halla rientra nella categoria della fiaba con sfumature mitologiche (meravigliosa, secondo me), Il Re del Grano e la Regina della Primavera è un romanzo storico. Non solo, quindi, l’intento narrativo è diverso, anche le stesure delle opere sono separate da un bel po’ di anni – 1952 per Halla e 1931 per Il Re del Grano, anche se venne pubblicato solo nella seconda metà del secolo scorso.
Di cosa parla Il Re del Grano e la Regina della Primavera di Naomi Mitchison? È prima di tutto il racconto di un viaggio, fisico e interiore, lento e tortuoso, che fa spostare i personaggi da un paese di fantasia sul Mar Nero, alla Grecia ellenica, fino ad Alessandria d’Egitto, alla scoperta di se stessi e di diversi modi di vivere.
Tutto parte da Marob – la città – e da Erif Der – Regina della Primavera – e Tarrik – Re del Grano. Il rapporto tra i due è complesso e pieno di ombre: lui non vede l’ora di rendere la giovane sua moglie; lei sa di doverlo sposare, per poi stregarlo con la sua magia, in modo da renderlo una marionetta nelle mani di suo padre. Esatto, magia. Perchè Erif è una strega: lancia incantesimi, può passare inosservata, influenzare il pensiero e annebbiare la mente.
E quando le cose non potrebbero essere più complicate, ecco che arriva a Marob, praticamente per sbaglio, un ellenico che introduce tra gli sciti la filosofia. Da quel momento, nulla sarà più lo stesso.
Il Re del Grano e la Regina della Primavera di Naomi Mitchison: ecco la mia recensione
Siamo finalmente giunti a parlare in modo più dettagliato del romanzo di Naomi Mitchison. Come anticipato, si tratta di un’opera dalla lunghezza non indifferente, e ciò le consente di prendersi i propri tempi e i propri spazi. L’autrice descrive usi e costumi degli sciti di Marob, così come quelli delle varie città elleniche che la trama tocca e di Alessandria d’Egitto. Non c’è foga, non c’è fretta nella narrazione: vi sono descrizioni di paesaggi, di balli e vestiti, di eventi sia storici sia quotidiani. Il tutto aiuta a dare forma a un quadro che va oltre le vicende dei – molti – personaggi.
Purtroppo, da lettrice abituata a prodotti più moderni quale sono, non nascondo di essere stata sopraffatta, a un certo punto, da una tale mole di brani non così legati alla trama principale (non che io non legga libri che vanno ben oltre le 500 pagine, sia chiaro, ma in questo caso la situazione era diversa). Tuttavia, si tratta di una mia sensazione personale.
Mi è difficile parlare dei personaggi, perchè da una parte ce ne sono davvero molti, e dall’altra quasi nessuno di quelli principali ha suscitato in me forti impressioni. Per quanto Erif e Tarrik (gli altri non li cito, per evitare spoiler) siano stratificati, pieni di contrasti, di luci e ombre che li rendono estremamente umani – seppur per Marob loro siano praticamente delle divinità – mi è sembrato che regredissero improvvisamente a più riprese. E sebbene questi cambiamenti fossero giustificati dalla trama, mi hanno lasciata un po’ perplessa.
Berris Der, fratello artista di Erif, invece, mi è molto più affine. La sua necessità di ricerca interiore è spinta non soltanto dalla voglia di migliorarsi, ma anche dal desiderio di condividere ciò che ama – la sua arte, principalmente – con chi gli sta intorno.
Un quesito, però, mi è sorto spontaneo: perchè alcuni personaggi, come Erif Der, Tarrik e Berris Der, hanno nomi “stranieri”, mentre altri sono chiamati, ad esempio, Pesce Rosso, Toro Giallo, Spiga Dorata? Probabilmente si tratta di una scelta stilistica, ma mi ha incuriosito.
La cover è molto carina: dà l’idea di qualcosa di ellenico e di storico, senza però confondersi con le svariate altre che popolano il mercato editoriale ultimamente.
Per concludere, direi che Il Re del Grano e la Regina della Primavera di Naomi Mitchison è un romanzo storico d’altri tempi, che mette sullo stesso piano trama e narrazione di eventi realmente accaduti. Ciò lo rende qualcosa di più di un romanzo: sembra quasi tendere al testo divulgativo (molto alla lontana, sia chiaro, ma in alcuni tratti sembra proprio che le vicende dei protagonisti non siano la priorità). Il mio unico consiglio, nell’approcciare la sua lettura, è di sceglierlo in un momento in cui non si sente il bisogno di una storia dal ritmo serrato e pressante.