Questione di virgole il nuovo romanzo di Leonardo G. Luccone edito Laterza non è solo un manuale universitario sul corretto del punto e virgola, ma anche un percorso che vuole mostrare l’uso che ne hanno fatto i grandi del passato.
Eccovi un estratto
Quel vigile del punto e virgola
Ormai dovrebbe esservi chiaro: la punteggiatura mette in luce le nervature del testo. Questi segnetti meravigliosi sono come torce che delineano la struttura, dando risalto ai piani del discorso, alla gerarchia dei contenuti e alle connessioni (attraverso meccanismi di avvicinamento e allontanamento). È per questo che una buona punteggiatura contribuisce a una buona leggibilità del testo e a una comprensione liscia del contenuto. Il punto e virgola, sulla base di questo criterio, è uno dei segni più potenti che abbiamo, perché ha un’incredibile capacità organizzativa dei segmenti del discorso.
Il punto e virgola dovrebbe essere congeniale a noi italiani, che abbiamo sempre mostrato una certa ritrosia per le decisioni nette, specie a quella grossa genia di amanti della sfumatura.
Il punto e virgola è un mezzotono, un modo per non fermarsi bruscamente e per far capire che quello che segue è ben connesso con quanto appena detto. Vale quello che abbiamo sostenuto per la virgola: il punto e virgola separa e collega.
Il punto e virgola è il nostro grigio sulla tavolozza del bianco e nero. Anzi è tutti i grigi. Per questo lo vogliono far fuori, perché è pieno di gente che non ama le mezzetinte.
Molte grammatiche se la cavano dicendo che il punto e virgola è una «pausa intermedia tra il punto e la virgola», buttano lì un paio di esempi, precisando che è un segno, ahiloro, in via di estinzione (rieccola l’estinzione), provano ad elencare qualche buon motivo di redenzione e bum. Mi sembra che non sia nient’altro che un coccodrillo.
Ho detto «molte grammatiche», non tutte evidentemente, perché c’è un partito carbonaro di difensori del punto e virgola – scrittori, linguisti, gente comune – che lo usa con ossuta costanza.
C’è poi un drappello robusto di persone – anche piuttosto influenti, purtroppo – che negli anni si è accanito contro questo utilissimo segno. Purtroppo ce n’è uno che stimo parecchio: Gérard Genette, e Genette ha detto: «Punto e virgola: colmo della villania; opporsi sempre».
A scuola, l’abbiamo ricordato, con la punteggiatura non ci si spezza certo la schiena, non si va a fondo e gli studenti escono dal liceo confusi. Più di un ragazzo ha ammesso: «Non so mai quando devo usarlo». Il punto e virgola è circondato da una nebbiolina d’incertezza. E poi c’è quest’altra cosa che mi fa andare fuori di testa. Ricordo che una volta quella buonanima della professoressa d’italiano disse che ci avrebbe fatto fare il dettato. Avevamo diciassette anni e voleva farci fare il dettato! «Prendo un brano di Savinio o di Malaparte, che usano tutti i segni di punteggiatura. Compreso il punto e virgola»; beh quel benedettissimo giorno arrivò e in classe eravamo in sei. «Vabbè, ragazzi, facciamolo lo stesso, non fa media». Avete presente mettere la punteggiatura a caso? Ricordo poi un terrore più che raddoppiato quando proposi, più o meno con le stesse parole, ai miei allievi del corso per redattori di fare la stessa cosa. (E non ditemi che i bravi professori non vi lasciano qualcosa di definitivo.) Tre ragazze sono svenute, un paio si sono chiuse in bagno, un altro paio si sono fatte venire a prendere.
Perché la maggior parte di noi fino a un certo punto della vita è come se leggesse senza guardare la punteggiatura? Quante volte si sente dire: «Il più delle volte il punto e virgola può essere sostituito dal punto, o addirittura dalla virgola». Non sanno quello che dicono; non sanno quello che si perdono.
Hanno fatto uscire dai gangheri pure uno compito come Piero Citati:
L’assassinio del punto e virgola è molto più grave dell’assassinio di padri, madri, figli, figlie, mariti, mogli, nonne, cognati di cui parlano con infinita voluttà i nostri giornali. Una lingua deve la propria eleganza alla ricchezza dei suoi strumenti espressivi. […] Nessuno è inutile, perché essi segnano pause più o meno profonde, e danno ritmi diversi alla prosa. Se perdiamo la ricchezza della lingua, diventiamo incapaci di pensare, o di elaborare i nostri pensieri.
[P. Citati, Non uccidete l’eleganza del punto e virgola, «la Repubblica», 7 aprile 2008] Ha ragione su tutta la linea. Una volta un giornalista mi ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere. «Ha troppa concorrenza, ci devi stare a pensare, e fai prima a usare il punto e la virgola». Per lui era una bandiera bianca, e rischia di esserlo per tanti, ma vedrete che avremo la meglio noi. Pronti?
Proviamo a fare tabula rasa partendo dall’ovvio, che è sempre meno ovvio. Il punto indica qualcosa di concluso: la frase è finita. Il che non vuol dire, chiaro, che la frase successiva non sia legata alla precedente. Diciamo che chi scrive ritiene opportuno (vedete come ho appena fatto io) ripartire con un nuovo impeto. La virgola ci mantiene sullo stesso passo, non conferisce al periodo particolari cambi di intensità. Il punto e virgola – che non a caso è un miscuglio tra i due segni – è una sirena per avvertire il lettore che la frase che sta per leggere è al tempo stesso indipendente e legata a quella che la precede.
A rigore, il punto e virgola si dovrebbe impiegare quando serve un’interruzione forte sul piano della forma (cioè quando la virgola non basta e il punto è troppo), ma quest’interruzione non è così forte sul piano del contenuto. Che detto in altri termini vuol dire che ciò che viene dopo il punto e virgola è abbastanza legato a ciò che è stato detto prima…
Leonardo Luccone
Leonardo G. Luccone ha tradotto e curato diversi volumi di scrittori angloamericani tra cui John Cheever, Alexander Trocchi, F. Scott Fitzgerald, Sarah Shun-lien Bynum e Esther Freud. Ha ideato e curato le collane “Greenwich” e “Gog” per l’editore Nutrimenti. Dirige lo studio editoriale e agenzia letteraria “Oblique”. Da settembre 2012 a ottobre 2014 è stato direttore editoriale della casa editrice 66thand2nd. I suoi articoli e le sue traduzioni sono stati pubblicati sul “Corriere della Sera”, “Il Foglio”, “Satisfiction” e “Il Calendario del Popolo”.