Quattro giorni di Antonella Giacon, edito da edizionecorsare è un libro che, pur essendo rivolto ai più piccoli, ho letto d’un fiato, una storia che mi ha appassionata e portata con sé all’interno della stessa.
Siamo nel 1967, Marina, una vispa e arguta bimba di nove anni, come ogni anno per le vacanze estive si trova al Lido di Venezia con i propri genitori e il fratellino più piccolo, Michele; come da routine, la famiglia soggiorna, per tutto il periodo estivo, presso l’abitazione della famiglia Menin: gente cortese, disponibile e calorosa che non manca di far sentire i loro ospiti a loro agio, nonostante le reticenze del padre di Marina, un uomo dedito al lavoro, e apparentemente distaccato, che raggiunge i propri cari solo nel fine settimana.
«Non ci siamo abituati con mio papà. Mia mamma dice perché lui ci sta poco. Io dico che non è per questo, perché anche se non vedo la nonna per tanto tempo quando arriva mi fa felice e sento con il corpo che la conosco.»
Un evento spiacevole costringerà i genitori di Marina a lasciare la bambina per qualche giorno, esattamente quattro giorni, in custodia proprio della famiglia Menin che se ne occuperà quasi fosse quella figlia femmina che hanno tanto desiderato, avendo loro ben tre figli tutti maschi: il più piccolo, Lele, ragazzo scaltro e dal cuore buono, sarà il custode della bambina durante l’assenza dei genitori della stessa.
Quattro giorni: la cover
Se guardiamo bene la prima di copertina questa ci raffigura l’azzurro della laguna che si perde e che quasi si confonde con il colore del cielo, un bambino e una bambina camminano l’uno accanto all’altra scambiandosi sorrisi a mezza bocca, quasi intimiditi, ma dai loro sguardi puoi cogliere quella complicità che sta a metà strada tra la fine dell’età bambinesca e l’inizio di quel periodo che ti introduce nell’adolescenza.
Questi due bambini sono i nostri protagonisti, Lele e Marina: lui ancora con le sembianze fanciullesche ma già adulto, lei bambina alla quale la mamma sceglie ancora cosa indossare e quale taglio sia a lei più consono
«Io vorrei avere i capelli lunghi come quelli della fata nello specchio e quest’anno visto che dovevo fare la prima comunione ce li ho avuti che mi arrivavano alle spalle anche se mia mamma non me li lascia mai sciolti, mi fa le code coi fiocchi che poi si sciolgono subito […] quando è arrivato il caldo come tutti gli anni mi ha portato insieme a mio fratello dal barbiere che mi ha tagliato i capelli uguali a lui: frangia dritta e basette corte […] quando mi vedono quelli che non mi conoscono pensano sempre che sono un maschio.»
Sulla seconda di copertina il paesaggio prosegue nella sua tranquillità in quei colori estivi che ti regalano pace e serenità: ecco cosa mi trasmette a primo impatto la cover di questo libro.
Marina ritroverà la sua vera se stessa in quattro giorni?
Questa è la storia di Marina, una bambina di nove anni che inizia a sentire stretti i panni da piccola e che grazie ad un evento tanto imprevisto quanto poco piacevole – unitamente alla complicità di Lele – comincerà a guardare il mondo con occhi diversi, capendo che quello che vuole non può essere racchiuso, ma deve essere liberato, come una farfalla in volo.
In questo libro tanti sono gli aspetti analizzati e ciò viene fatto dall’autrice in modo naturale, ovvero senza che questi vadano ad interferire con la storia principale, insomma senza prendere il sopravvento. La figura paterna spesso assente, certo per motivi di lavoro, ma che anche quando sarà presente si pone come una presenza ingombrante, tutto si svolge secondo uno schema ben preciso; la figura materna, per contro – e a differenza del padre – è onnipresente e forse anche in maniera asfissiante.
«Mia mamma per non farci sporcare il vestito della domenica ci ha messo davanti il fazzoletto voltandolo sotto il colletto come se fosse un bavaglio da bambini piccoli e mi faceva vergognare.»
Marina vorrebbe maggiore apprezzamento sia dalla madre che dal padre, seppur in maniera diversa: più stima da parte del padre e non essere vista da quest’ultimo – il più delle volte – come un’incapace solo perché non è un maschio; dalla madre vorrebbe essere considerata per quel che è: una bambina che sta crescendo e che sente di voler assaporare quella libertà che molti suoi coetanei già hanno – in special modo lì in vacanza – vivere di quella spensieratezza che non ha, scoprire nuove cose e calarsi in avventure mai vissute.
Ma cosa accadrà in quei quattro giorni? Cosa capirà Marina? E in cosa la compagnia di Lele la aiuterà? È il tempo dei primi batticuori, delle domande e delle risposte, è il momento di scoprire che bisogna essere sempre se stessi e che bisogna godere delle piccole cose, dei momenti e degli attimi vissuti, seppur fugacemente.
«Non è possibile che questo albero è del diavolo». Lui si è staccato dal tronco, ha preso un pezzo di ramo caduto per terra e si è messo con quello a frustare l’erba. «Si chiama anche in un’altra maniera.» «E come?». «L’Albero degli Innamorati» e subito si è messo a correre. Non ho fatto in tempo ad andargli dietro che era sparito.
Il libro è composto da cinque capitoli ognuno dei quali di varia lunghezza, ciascuno di essi non ha un titolo, solo l’ultimo fa un’eccezione; successivamente ci sono le note, le precisazioni ad eventi citati nel libro, un elenco delle canzoni nominate nel testo e infine i ringraziamenti.
Nella narrazione sono intercalate delle espressioni in dialetto veneto e di queste, poi, a piè di pagina puoi trovare la traduzione; le note, peraltro, possono anche riguardare delle trasmissioni televisive di quegli anni alle quale vi si fa riferimento. Pochissimi i refusi.
Una particolarità: il linguaggio usato è quello di una bambina di nove anni, ovvero è come se tutto ci fosse raccontato direttamente da lei, con il suo modo di pronunziare le parole e di narrarci ciò che succede.
La storia ha come protagonisti principali Marina e Lele, viene descritto tutto ciò che attorno a loro accade, ci viene raccontato chi sono le persone che incontrano, quali situazioni li coinvolgono, o anche fatti successi in precedenza, non necessariamente in un passato recente – vi sono, infatti, dei riferimenti alla Seconda Guerra Mondiale: ricordiamo, tra le altre cose, che ci troviamo nel 1967 e che, benché siano passati parecchi anni dall’ultimo conflitto, taluni fatti si percepiscono ancora sulla pelle della gente.
Tutti personaggi, oltre a quelli principali, vengono descritti con dovizia di particolari, così come le scene e i luoghi. Mi è piaciuto soprattutto il modo, come detto poc’anzi, di come viene narrato questo libro: ovvero attraverso gli occhi di una bambina.
Consiglio di leggere Quattro giorni non solo ai più piccini ma anche ai più grandi perché magari, in taluni casi, possono rivalutare il rapporto con i propri figli e intuire ciò di cui loro sentono veramente il bisogno.
«Quando mi toglieva il sapone con la spugna mi pareva che voleva portare via tutte le cose che erano successe in questi giorni e farmi tornare come prima, ma io lo so che non è possibile, ormai sono entrate dentro.»